SUPER 8 #anteprima #Spielberg #Abrams
Super 8, Usa 2011, Soggetto e Regia: J.J. Abrams, Direttore della fotografia: Larry Fong, Montaggio: Maryann Brandon, Mary Jo Markey, Musiche: Michael Giacchino, Produzione: J.J. Abrams, Steven Spielberg, Bryan Burk Cast: Elle Fanning, Kyle Chandler, Joel Courtney, Riley Griffiths, Ryan Lee, Zach Mills, Noah Emmerich, Ron Eldard, Durata 112 Min, Uscita Italia: 9 settembre, Paramount Pictures.
Siamo nell’estate del 1979, una di quelle estati che i registi che hanno più di trenta anni usano, a volte, per descrivere la mappa delle loro personalissime e malinconiche vicissitudini sentimentali, umane e famigliari.
Solo con il filtro del genere fantastico, tutto ciò può assurgere a epos, mito, fiaba tramandabile e condivisibile da più generazioni e da più popoli.
J.J Abrams (Lost, Alias, Fringe, Cloverfield, Star Trek) ben lo sa.
Estate del 1979 si scriveva prima, estate in cui se si voleva girare un film per un concorso cinematografico in una città vicina bisognava utilizzare la “mitica” Super 8, formato ormai perduto per sempre, come i ricordi e l’adolescenza, il giovane e grassoccio Charles (un notevole e mimetico Riley Griffiths) cerca di girare un film sui morti viventi con il suo fraterno amico Joe (Joel Courtney) a cui è morta recentemente la madre, ed altri due amici, inoltre vera “musa” del giovanissimo regista è la singolare e biondissima Alice (Elle Fanning, 13 anni, un viso in questo film irresistibile, ospite alla 67°Mostra di Venezia già vista in Somewhere, una delle attrici più giovani ad Hollyood insieme alla [fu] Dakota Fanning), da qui l’edipico, fratricida, mitico rapporto “a tre” tra il regista l’amico e lei, con però interessanti rapporti famigliari segreti inclusi.
Il rapporto tra i ragazzi teenager, soprattutto tra Alice che si presenta nella prima inquadratura con la sua matura e protettiva durezza a Joe, quasi a voler sostituire la madre morta del ragazzo è fortemente voluto da Abrams, un rapporto che non veniva scritto da tempo così, che fa scrivere molto acutamente a Stephane Delorme dei Cahiers du Cinema “Le rayon Bleu”/ Il raggio blu, parlando di questo film, un gioco di parole con l’adolescenza sofferta della bella pellicola storica ‘ Le Rayon Vert’, ed una citazione/rifacimento dell’uso della luce numinosa blu/azzurrognola già utilizzata da Vilmos Zigmond in Incontri Ravvicinati del 3°tipo ed Allen Daviau per E.T.
Basta? No, il sostrato fantastico di cui è permeato, direi intriso nell’essenza questa (un poco) disturbante pellicola è quello che viene dopo: Una notte, i cinque filmaker in erba (notevole e pieno di significati metatestuali le loro silohuettes che si stagliano su un cielo blu elettrico ed una luce irreale che fa capolino da dietro un silos che si perde nel paesaggio di campagna, uno dei tanti teaser pubblicitari usati per il lancio del film) riprendono senza volerlo un incidente di proporzioni immani tra una macchina che si scontra con un treno merci in folle corsa, e sulla pellicola Super 8 rimane impressa la fuga di un qualcosa che sembra fosse prigioniera in un container trasportato dal misterioso treno.
La regia e la direzione delle luci, per tutta la pellicola, fanno intravedere una fastidiosa, inquietante e ,perché no, malinconica (è anche il colore della luce fantasmatica del proiettore super 8, con tutti i ricordi di gioventù) e persistente luce azzurrognola (come da incontro ravvicinato di Spielberghiana memoria), scelta formale di regia che ben si sposa con la volontà nel soggetto e nel trattamento della sceneggiatura originale di essere disturbanti, con una tensione strisciante (che davvero ben poco c’entra con sonnolenti blockbuster estivi con i quali questo film si potrebbe erroneamente confondere quali Transformers o Pirati dei Caraibi) che trasfigura quel vintage/malinconico che poteva essere una rimpatriata con i mitici Goonies o con l’E.T del 1982, in una nuova forma di narrare le proprie “origini” cinematografiche ormai irrimediabilmente intrise di quella paranoia strisciante post X-Files.
Gli interni e i vestiti (insieme alle mitiche bici bmx) sono stati trovati con non poche difficoltà in negozi vintage anche europei (Londra), l’arredamento delle stanze di Joe e soprattutto di Charles sono un monumento all’entertainment 70’/80’, action figures, modellini, maschere e soprattutto poster di rock band, comics (i mitici fumetti dell’orrore di Creepy (Zio Tibia), quelli per intenderci che vennero dopo quelli degli anni 50’ EC Comics di Tales from the crypt…) e film, quanto ci ricordano gli interni così amorevolmente arredati di adolescenti e bambini nei film di Spielberg? Quanto ci ricordano gli interni della cameretta di Dawson in Dawson’s Creek, vero mausoleo eretto in onore di Spielberg fortemente voluto da un altro inguaribile malinconico degli anni 80’ che rispondeva al nome di Kevin Williamson (Scream, The Faculty, Killing Mrs Tingle, Vampire Diaries) in cui una stupendamente dimessa Joey Potter (Kate Holmes) poteva entrare dalla finestra proprio come un’altrettanto dimessa Alice entra in quella di Joe?
Un notevole film fatto di sogni cinematografici altrui, ma mescolati e filtrati in modo personalissimo e presentati in modalità “post-”.
Malinconico ed essenziale.
Davide Tarò.