METAMORFOSI, Schegge di violenza nel nuovo cinema giapponese
Maria Novielli, Epika Edizioni, 2010, 144 pagine più un inserto di 24 pagine a colori (66 fotografie ed immagini), Euro 27,50.
Il prezzo innanzitutto, un po’ caro, ma ci si può chiudere un occhio anche perché fino a qualche mese prima della pubblicazione il progetto originale in nuce è stato a tutti gli effetti ‘creative commons’, cioè scaricabile gratuitamente dal bel canale orientalista dell’Università veneziana Cà Foscari Asianmedia, quindi chi era interessato all’essenza dell’ultimo scritto della Novielli, con pura e gratuita sete di conoscenza poteva “scaricarlo” legalmente, senza le immagini a colori e alcune aggiunte della edizione bolognese of course .
Un po’ tutti i saggi dove professori universitari affermati scrivono i loro pensieri sono piuttosto costosi in effetti, c’è da dirlo.
Eppure un ritorno economico garantito pur ci sarebbe per la casa editrice, cioè la sicurezza che nell’anno accademico in corso o in quello successivo gli studenti che seguiranno i corsi dei suddetti professori “dovranno” per forza comprare il volume visto che sarà molto probabilmente inserito nel programma d’esame.
Ed é proprio per questo che dei giovani (o vecchi) “signor nessuno” trovano molta difficoltà a scrivere, e pubblicare le proprie tesi (ed è per questo che di esordi critici ce ne sono ben pochi nelle edizioni blasonate o in quelle “ricche di immagini” perché hanno i contatti giusti) e quelle volte che ci riescono vengono per giunta guardati dall’alto in basso con malcelata, miope e gerontocratica supponenza dall’Olimpo del potere universitario (e culturale in genere).
Detto questo ovviamente il saggio è interessante per due motivi.
Uno: La Novielli in effetti si occupa (tra le altre cose) di cinema e cultura giapponese da 28 anni ed è sempre capitale leggere qualcosa da un luminare dell’insegnamento di cinema e di letteratura del Giappone all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Due: Di saggi sul cinema giapponese ne escono così pochi (e per assurdo nel mondo del gotha culturale di questo settore, come di altri, se ne vorrebbero sempre meno se non appartenenti alla propria cerchia o al proprio ‘salottino buono’) che appena ne esce uno è quantomeno un evento da citare e da divulgare.
Non prendiamoci per i fondelli: il cinema giapponese è roba morta in Italia, uno di quei cinema che nello stivale non viene considerato, è la cenerentola delle filmografie, testimonia la cosa l’ennesima posticipazione ad libitum di un film di Miike Takashi che doveva uscire i primi di giugno del 2011 al cinema (regolarmente pubblicizzato) ‘13 assassini’ e distribuito a fine mese per qualche settimana.
Le cose (forse) cambieranno (un po’) se con il digitale terrestre reti come Rai Movie, Rai 4 (attivissima sul fronte orientale grazie ad un illuminato Freccero) Iris ed altre ancora, trasmetteranno in quantità massiccia opere giapponesi (ed orientali) che sarebbero pur disponibili in versione italiana doppiata (la library Dynit con una parte scelta di filmografia di Miike, la library Dolmen, le piccole sotto etichette attivissime).
Insomma più si vedranno queste opere in televisione e nei canali ufficiali, più la gente le conoscerà e magari si incuriosirà ad esse.
Stessa cosa vale per gli scritti su questa tanto travagliata e sfortunata (come la nazione di provenienza) filmografia.
Si parte con una prefazione di Shinya Tsukamoto , che narra più che altro i suoi rapporti cinematografici con l’Italia e con la Novielli piuttosto che presentare il contenuto del libro.
Il libro, con il titolo più azzeccato degli ultimi anni, è la dimostrazione che il Giappone stesso più di altre nazioni è stato l’estremo prodromo delle mutazioni sociali e politiche, oltre che antropologiche, cose che si sono riversare ovviamente nella settima arte, e si compone di cinque parti intitolate rispettivamente: Il sovrannaturale, Psycho, Materia scienza e tecnologia, La violenza nelle logiche di mercato: cinema action ed erotico.
Quello che delude lo scrivente in questo libro è la mancanza di un livello micro-analitico, di un insieme degli elementi formali relativi alla composizione, risultando come un approccio “generalista” che attua la pur competente e brava autrice.
“Generalista” in quanto non legato alla materia filmica in sé (non ci sono riferimenti concreti come ho già scritto a modi delle inquadrature, regia, soggetti, queste cose se sono assenti in un libro in cui si tratta di cinema in pratica è come trattare del linguaggio dei sordomuti senza illustrare il significato dei gesti).
E’ pur vero che non sono sempre necessari questi accorgimenti critici, ma il volume allora dovrebbe avere le caratteristiche dell’antologia forse, questo libro dalle intenzioni e dalle dichiarazioni d’intenti sembra non averle.
E’ pur vero però, che la narrazione empatica e scorrevole, chiara e compatta dell’autrice ci trascina in un mondo socio culturale in cui ci si può (deve) imbattere in casi di cronaca recenti come lo stupratore di bambine Tsutomu Miyazaki e lo studente antropofago Issei Sagawa, sostrato (anche) culturale da cui le nostre pellicole prendono vita.
Autori già (abbastanza) conosciuti come Kurosawa Kiyoshi, Hideo Nakata, Kitano, il già citato Shinya Tsukamoto già “anche” trattati da uno dei pochissimi e più dimenticati, è utile e giusto ricordarlo, siti e associazione torinese. Questo sito e associazione che sembra aver avuto una damnatio memoriae, se non una incurante memoria collettiva, ha recuperato e scritto con competenza e rara abnegazione interviste approfondite, dibattiti, articoli e organizzazione di retrospettive uniche e pionieristiche nel loro genere.
Il suo nome era neo(N)eiga, e sua è stata la cura, insieme a Dario Tomasi dell’imprescindibile Anime Perdute, Il cinema di Miike Takashi, in cui la Novielli era stata pur chiamata per dare il suo contributo.
In questo volume invece molti autori (tantissimi) sono trattati insieme ad altri, ma con spirito situazionale, da citazione, il tutto in pratica non dà l’impressione di voler approfondire (anche un poco) il regista in sé e la sua poetica.
Una delle tesi più interessanti del volume è la coniazione del termine “Erogro” per definire una sorta di nuovo genere tra l’erotico e il grottesco.
In parte nei primissimi anni novanta tutta la produzione dell’ Ov-cinema (Original Video, cinema direttamente per l’home video) era già questo.
L’autrice, forse anche con ragione, lascia traspararire dal suo scritto che potrebbe essere questo media il futuro del cinema giapponese.
Asserisce questo anche Chris MaGee, fondatore, editor e responsabile del Toronto J-Film Pow-Wow:
“La reazione alla crisi economica attuale è partita dal mondo delle produzioni indipendenti. In assenza di finanziamenti destinati all’arte, in Giappone i giovani cineasti devono necessariamente ricorrere a qualunque risorsa per realizzare i loro film. Pellicole come Now, I… di Yasutomo Chikuma, This World of Ours di Ryo Nakajima e Live Tape di Tetsuaki Matsue sono esempi perfetti […] se esiste una tendenza da tenere d’occhio, che determinerà il carattere dei film giapponesi nei prossimi dieci, venti, trent’anni, credo sia all’insegna del fai da te.” 1
Io aggiungerei il carattere “di un certo tipo di cinema giapponese”, di quello fatto per la gente che guarda i film direttamente in video, mercato succoso, ma non così dirompente in fatto di creazione di un immaginario collettivo.
I film che guardano tutti i giapponesi, oltre che i film americani, sono quelli tratti dall’animazione giapponese soprattutto Ghibli.
Non è un caso che nel 2010/2011, ci siano stati nell’arcipelago tantissimi film live di successo tratti dall’animazione giapponese, gli anime questi maledetti! (intonerebbe Gasman) mai trattati neanche per sbaglio, come la ‘Corazzata spaziale Yamato’ e ‘Ashita No Joe/Tomorrow’s Joe’ tra i più visti in assoluto, qualcosa vorrà pur dire, ma nessuno (che può) sembra volerne scrivere.
All’alba del nuovo decennio, sembra che l’ispirazione per la cinematografia autoctona nazionale sia più da ricercarsi ancora in vecchie pagine polverose (e accademicamente ignorate) di manga e anime, piuttosto che alla sperimentazione visiva che dagli anni ’90 ha creato pur un vivaio di nuovi e interessanti artisti (che come Tsukamoto o Miike guarda caso, provenivano però culturalmente soprattutto dagli anime).
C’è da pensarci.
E magari (ri)scriverci su.
Davide Tarò.
1 Chris MaGee, XXX le nuove frontiere dei japan movies, XL n°64, Marzo 2011, Gruppo Editoriale L’Espresso Spa, Roma.