IL GRINTA
True Grit, Usa 2010, Regia: Joel e Ethan Coen, Sceneggiatura: Joel e Ethan Coen dal romanzo di Charles Portis, Direttore della fotografia:Roger Deakins, Montaggio: Ethan Coen, Musiche: Carter Burwell, Produzione: Joel e Ethan Coen e Scott Rudin, Cast: Hailee Steinfeld, Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Paramount Pictures, 2h 05.
“Una volta alla Paramount vidi il mare” diceva una vecchia madre dagli occhi sognanti che non aveva mai girato di più che l’uscio di casa sua e quello cinematografico, ma che pur tuttavia aveva visto Il Cinema.
E quindi, aveva visto tutto.
“Una volta alla Paramount ho visto il west, e continuo a vederlo” potrei dire io, povero visionante (neanche troppo ferrato) di film western.
La Paramount firma questo remake, questo grande film western, come l’originale dal quale (molto liberamente) è stato tratto.
E si, film western, non “film d’autore dei Coen, magari neanche troppo riuscito” come vorranno farvi credere la maggioranza dei più.
Che sia un film Western con la W maiuscola, lo dicono gli incassi, per questo tipo di cinema il barometro più vero (arrivato ai 130 milioni al box office americano e tra i primi posti degli incassi “meteoropatici” italiani).
Il pubblico su queste cose non lo freghi.
“Possiamo dirlo: fino ad oggi, l’unica volta in cui si erano cimentati in un remake non gli era andata troppo bene (parliamo di Lady Killers, 2004). Oggi i fratelli Coen sono autori da Oscar, e tornano a battere quei sentieri del west che li hanno portati dritti alla consacrazione (con Non è un paese per vecchi, 2007, dal romanzo di Cormac McCarthy). Eccoli dunque con Il Grinta, rifacimento del successone con John Wayne del 1969”1
Io terrei fermo il mirino su John Wayne e sul film originale diretto da Henry Hathaway nel ’69 per cui ‘the duke’ il duca ( in assonanza con ‘the dude’ il drugo come veniva chiamato Jeff Bridges nel mitico Il grande Lebowski, stesso Jeff che incarna il personaggio del film che Wayne interpretò, molti lo hanno visto come un segno del destino e di buona speranza) prendeva per la prima (ed unica) volta un oscar.
La sua sarcastica ed amara battuta quando gli diedero il premio? “Se sapevo che mi davate l’oscar con la benda me la sarei messa anche negli altri film!”.
Da rifletterci, soprattutto su un certo tipo di critica che ora ha, come dire, un po’ di educata e malcelata puzza sotto il naso (è comunque un film dei fratelli Coen, bisogna rispettarlo) per un piccolo capolavoro western come non se ne vedevano (ed in effetti non se ne vedono da tanti, tanti dannatissimi anni).
“Tra due film, i fratelli Coen si prendono delle vacanze come tutti, loro però per fare un altro film: bisogna abituarsi a questo ritmo bifocale, che fa succedere Burn After Reading a Non è un paese per vecchi e, ora, Il Grinta a Serious Man. C’è poco ingegno, poca ambizione in questo piacevole adattamento di un romanzo già portato sullo schermo da Henry Hathaway nel 1969”2
Ecco, non dovrebbe passare l’idea un po’ malsana che questo riuscitissimo film (di suo) sia in qualche modo una opera minore nella filmografia dei Coen, piuttosto che dire come è sacrosanto che è un bellissimo film tout court.
Potrà dare fastidio alla vecchia generazione di cultori di western il personaggio particolarissimo di Matt Damon: c’è, facciamocene una ragione, il film funziona benissimo, viene elargita alla pellicola grazie al personaggio, un qualcosa di insondabile e “alrlecchinesco” nella sua imprevedibilità.
Non è una “pippa mentale” dei fratelli Coen, tutt’altro.
Qui di “pippe mentali” non ce ne sono.
Pur essendo più “fedeli” del Grinta del 1969 al romanzo di Charles Portis, soprattutto alle tre diverse visuali dei personaggi, il film non cade nella definizione di film filosofico.
Ci sono però i fratelli Coen che riescono ad incarnare alla perfezione miti fondanti ed antropologici ben più antichi della fondazione del West Americano, senza però essere saccenti, semplicemente esistono nella pellicola, vengono evocati, come gli impiccati sugli alberi (più alti), o pallottole saettanti, o ancora la polvere degli stivali insieme al cuoio.
Cose concrete dove ti ci puoi sporcare le mani, e i vestiti sdruciti.
Vi è solo una cavalcata dolce, disperata e selvaggia sotto una notte dalle stelle ed un cielo irreali, in cui Il Grinta cerca di salvare la ragazzina (la stupenda Hailee Steinfeld) morsa da un serpente a sonagli, dove tutto lentamente perde di consistenza, dove prima la ragazzina, poi il cavallo e poi ancora il Marshall stesso perdono lentamente coscienza.
E visione.
“Qualità elusiva dell’animazione” verrebbe da dire, il cielo tutt’attorno ai personaggi è volutamente finto, da animazione, i modi percettivi delle inquadrature pure, con questa frase non intendo “togliere di valore all’inquadratura” dicendo che è fatta con una tecnica non particolarmente amata in Italia se non nella disimpegnata serata di Natale, anzi intendo conferirgli un valore semantico in più.
Tanto il pubblico apprezza (forse) senza saperlo.
La scelta non và nella direzione della “pippa mentale” o “filosofia dei Coen” quanto di una zona del crepuscolo in cui è ospite il Western ormai da anni, come una foto sgualcita da cui si guarda da distante, come il direttore della fotografia Roger Deakins abituale collaboratore dei Coen e direttore per il capolavoro di Shyamalan The Village ha abilmente immerso l’intero film.
“Sua” come impostazione la bellissima scena iniziale, una delle più belle degli ultimi anni, dove quasi da un palco oltremondano vediamo in una nottata di neve che scende lentamente quasi fantasmatica, il corpo del padre della giovane Mattie Ross, morto, lentamente viene messo a fuoco, come una immagine da dietro ad un lucernario.
“Entriamo in Il Grinta con un carrello in avanti verso una luce tenue nell’oscurità, quasi un riflesso della cabina di proiezione, e ne usciamo in un epilogo spettrale, dove le vestigia della frontiera passata sono ridotte a spettacolo di dubbio gusto o, più dignitosamente, chiuse in una bara”3
“Se il set e la terra del cinema tremano… Anzi forse già tremarono, e il resto di quel BigOne sono le colonne d’ercole della monument valley, gloriosa di lacrime e risa di ubriachi santi” 4
Il film è stato presentato nel freddo (intenso) e nei tenui (caldi) bagliori e lucori di un Festival di Berlino mai stato così di frontiera, e non è piaciuto tantissimo neanche a chi il western (per professione e per passione) lo ha sempre visto, tranne alcuni illuminati casi.
Il western è morto? No, è nell’aldilà della visione, a tenerci un posto in caldo.
Mattia Cazzaniga, Il Grinta, pag 88, Best Movie n°2, anno X Editoriale Duesse Spa, febbraio 2011 Milano.
2 Jean Philippe Tessé, Les Coen à l’ouest, pag 36, Cahiers du cinema n°664, Cahiers du cinema fevrier 2011 Paris.
3 Andrea Fornasiero, Il Grinta (True Grit), pag 7, Film Tv n°7, anno 19, Editore Tiche Italia srl, Milano 2011
4Enrico Ghezzi, Differenza e Ripetizione, pag 13, id.
Davide Tarò.