A BEATIFUL MIND

La storia, edulcorata a dovere, è quella del geniale matematico John Forbes Nash jr, ammesso a Princeton nel 1947 e inventore di modelli matematici destinati ad avere, non soltanto nel campo dell’economia, uno sviluppo imprevisto e sorprendente, tanto da valergli il premio Nobel nel 1994. Il film ne segue il percorso dagli anni giovanili fino alla vecchiaia, soffermandosi sulla difficoltà di John a relazionarsi con le altre persone, descrivendo il toccante rapporto con un’allieva che diventerà la sua adorata moglie e, soprattutto, scandagliando la tremenda forma di schizofrenia che accompagnerà Nash per tutta la vita, ponendolo tra l’altro di fronte al crudele bivio che lo costringerà a scegliere tra la sottomissione alle cure mediche e ai ricoveri precauzionali (rinunciando quindi alle sue esplosive capacità logico-deduttive), oppure imparare a convivere con il suo male senza abdicare al talento che gli è toccato in sorte.

Scritto dal veterano Akiva Goldsman e diretto da uno dei più “classici” tra i registi di Hollywood, Ron Howard, “A Beautiful Mind” potrebbe essere riduttivamente definito come “film da oscar”, visto che possiede tutti gli ingredienti giusti, a partire dal tema della malattia, per piacere ai membri dell’Academy. Se è innegabile che il film smussi gli elementi più scabrosi della vita di Nash (come avveniva per esempio in “Risvegli”, tratto da Oliver Sacks, in cui il “risvegliato” Robin Williams sembrava solo un innocuo picchiatello, mentre nella realtà i suoi comportamenti erano molto più violenti e aggressivi), è anche vero che la storia di questo genio messo con le spalle al muro dalla crudeltà del destino riesce a intenerire, commuovere e perfino inquietare, grazie anche alla performance interpretativa di un grande Russell Crowe (il professore universitario con le braccia più grosse della storia), ingobbito, imbruttito e con lo sguardo che vaga perennemente a cercare qualcosa che non riesce proprio a trovare o che, disgraziatamente, vede soltanto lui.

Non gli è da meno la sofferta Jennifer Connelly, ex bambina prodigio con un passato in Italia (ha lavorato con Leone per “C’era una volta in America” e con Argento per “Phenomena”), dimagrita e quasi scarnificata nel ruolo ingrato di moglie-coraggio, nel quale riesce comunque a brillare di luce propria. All’ottima riuscita dell’insieme contribuiscono la regia avvolgente, sensibile e mai invasiva di un sempre più maturo Howard (“Il Grinch” era stato solo un incidente di percorso) e la scintillante fotografia dell’ottimo Roger Deakins, operatore di fiducia dei fratelli Coen.

Andrea Pirruccio

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