“Natale a Beverly Hills” film d’essai? 
Per favore, togliete quella qualifica

Riprendiamo e sosteniamo l’appello di Rosalinda Cappello

“Appello al ministro affinché eviti l’oltraggio alla cultura italiana
Per carità, non è per fare i bacchettoni, non lo siamo. E non siamo nemmeno dei radical chic con la puzza sotto il naso. Non abbiamo nulla contro i cinepanettoni, espressione genuina di uno spirito nazionalpopolare che affonda le radici nelle viscere dell’Italia profonda. Non abbiamo nulla contro i vari De Sica, Boldi, Conticini, Ferilli e le varie “comparse” che anno dopo anno fanno la loro passerella sugli schermi natalizi. Ma a tutto c’è un limite ed è quello che non si può confondere la cultura con il trash, anche se rigorosamente made in Italy.

Perché, come nel caso di Natale a Beverly Hills, il getto continuo di battute francamente poco comiche e certamente sguaiate, di allusioni più o meno esplicite, di finti spogliarelli e di caciara – per dirla alla romana – fa pensare a tutto fuorché a un film d’essai e a un’opera di interesse culturale e nazionale. Per il film in sé, non ci sarebbe nulla da eccepire, perché come tutte le cose sottoposte a un giudizio, anche questa pellicola può piacere ad alcuni e non essere apprezzata da altri, e ciò dipende dalla sensibilità, dal proprio background e dalle aspettative di chi esprime il parere. Ma, in questo caso, il giudizio sulla qualità della pellicola ha un suo valore, perché in gioco è l’attribuzione di una qualifica, il cui valore deve essere protetto, altrimenti si rischia di svilire tutto. Perché le parole hanno un senso e devono continuare ad avercelo. E, allora, forse si dovrebbe intervenire sulla legge, come quella introdotta dalla riforma Urbani – della quale usufruisce anche il nuovo film con De Sica – che stabilisce la concessione di finanziamenti e l’attribuzione della qualifica di “film di interesse culturale e nazionale” per le pellicole che rispondono a determinati parametri. Il problema è che queste attribuzioni avvengono sulla base di parametri puramente matematico-quantitativi, come riconosce Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera. Parametri che non tengono conto dell’effettiva qualità contenutistica della pellicola.

Che valore culturale può avere un film in cui dal primo all’ultimo minuto è un continuo susseguirsi di “pistolini”, “figaless”, “’sti cazzi”, “fregne”, “mortacci tua”, in un crescendo di espressioni tutt’altro che auliche, accuratamente elencate da Cinemotore in una cronaca della proiezione del film attualmente nelle sale?

Qual è il valore aggiunto di film come questo? Che cosa può darti di più una simile pellicola di una passeggiata in una qualsiasi via di una qualsiasi città? Magari cambiano l’accento e l’espressione dialettale, ma i riferimenti sono sempre quelli. E se proprio in un film non si cerca una storia, uno spunto sul quale riflettere, perché si ha voglia di distrarsi e di scacciare via i pensieri, ma che almeno ci sia una trama divertente e che faccia veramente ridere. Ma non è questo il caso.

Anche volendosi sforzare, in pellicole come questa non riusciamo a riscontrare quell’interesse culturale e nazionale al quale fa riferimento la legge. Al limite troviamo il riflesso parossistico di una certa Italia e di una certa maniera di rappresentarla.

Per questo ci appelliamo al ministro. Non ci illudiamo certo di essere ascoltati, ma poco importa. Più importante è l’appello che la risposta: non attribuiamo qualifiche in maniera così facilona e non aumentiamo i privilegi dei multisala che, trasmettendo questo tipo di prodotto, verrebbero a godere dei finanziamenti che, al contrario, potrebbero giovare a piccoli cinema che coraggiosamente danno visibilità a pellicole di più difficile collocazione, perché meno nazionalpopolari, e di qualità meno spicciola. ”

Tratto da http://www.ffwebmagazine.it/

23 dicembre 2009

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