VALHALLA RISING

Regia di Nicolas Winding Refn
Danimarca/Gran Bretagna 2009
Cast: Mads Mikkelsen, Gary Lewis, Jamie Sives, Alexander Morton, Ewan Stewart, Callum Mitchell, Douglas Russell, Gary McCormack, Andrew Flanagan, Gordon Brown.
Fotografia: Morten Søborg
Montaggio: Matthew Newman
Musiche: Peter Kyed
Produzione: Nimbus Film Productions, La Belle Allee Productions, NWR Film Productions, One Eye Production
Formato: Colore 35 mm.
Durata: 100 minuti.
Visto in Italia in anteprima alla 69°Mostra del Cinema di Venezia e al 27°Torino Film Festival, dove al regista è stata dedicata una intera retrospettiva.

Nicolas Windig Refn, per sua stessa ammissione in un’intervista rilasciata durante il Torino Film Festival 2009, apre un nuovo corso nel suo cinema con questa pellicola.
Dopo uno di profonda sofferenza e depressione.
Ci sono stati Pusher (aveva poco più di una ventina di anni quando lo girò) Pusher II e III, Bleeder, Gambler e Bronson (film su Charles Bronson, si!), per finire con Fear X, coraggioso tentativo che ricorda, in qualche modo, l’oscura fantasmaticità di questo Valhalla, ma che fu un sonoro flop al botteghino.
Nelle sale danesi questo giovane ancora ampliamente incompreso e sconosciuto, tornerà a febbraio con questo ultimissimo film, già conosciuto grazie al passaggio in vari festival internazionali.
E che credo vedremo anche noi, seppur fugacemente, in Italia.

Anno 1000.
Dopo Cristo.

“Gli uomini che veneravano la croce spinsero i pagani nelle terre più inospitali, sempre più a nord…sempre più lontani”

Proprio qui, nelle terre danesi dopo anni ed anni di prigionia e schiavitù sotto un capo tribù di cacciatori di teste scandinavo, l’oscuro e misterioso guerriero muto Harald, guercio da un occhio e dai natali sconosciuti, si libera dai suoi aguzzini con colpi terribili e mortali, usando solo la sua forza erculea e la sua incrollabile determinazione, che sembrano a tratti oltremondani.
Insieme ad un ragazzino di nome Are, che diventa un suo improvvisato compagno di viaggio seguendolo fedelmente, si uniranno ad una banda di crociati vichinghi che con la loro nave stanno provando a lasciare quei luoghi che cominciano ad essere martorizzati da “assurde credenze” su una religione cannibalica, dove il credente si ciba del suo unico Dio.
La destinazione è la Terra Santa, creduta un novello paradiso dai neoconvertiti.
Ma Harald, non è cristianizzato, né pagano nell’accezione classica del termine, è una figura mitica ed ancestrale che basta a sé stessa, carne della sua carne, spirito del suo spirito, in una natura fondamentalmente altera, sublime ed indomabile, lui regna sovrano.
Il film si compone di più atti, fino al raggiungimento di una meta finale.
La regia è veramente vicina al documentario, di quei documentari percettivamente potenti di epica memoria.
Il clangore dell’acciaio delle catene, il sinistro sibilo delle frecce, le ossa rotte, il sangue versato, tutto ci viene sbattuto davanti ai sensi increduli ed attoniti, senza filtri alcuni.
Anche il silenzio immanente e maestoso della natura selvaggia danese ha profondi echi in Caspar David Friedrich, anche se in realtà gran parte del film è stato girato in Scozia ed Irlanda, ricordando inoltre atmosfere laicamente “sacre” da pellicole di Tarkosky e Bergman.
Valhalla Rising non è un film sui vichinghi e sulle loro lotte.
Non è Conan il barbaro di Jhon Milius, anche se ne prende, a tratti, quella selvaggia e trascendente bellezza.
E’ un film molto fisico, di una religione profondamente interna e personale, muovendosi per echi lontani, metafore abbozzate, assonanze esili e sottili ma ben presenti.
Harald è un personaggio preso, per stessa ammissione del trentenne regista, dai film di genere western italiani, ma anche, se mi è concesso, da alcuni personaggi manga ed anime quali Hokuto no Ken (Ken Il guerriero) e Bersek.
L’arrivo nella terra promessa, dopo un lungo e periglioso viaggio, quella terra che potrebbe essere davvero il Valhalla delle credenze vichinghe, o il nuovo mondo cioè le americhe, si rivela mortale per i viaggiatori stremati.
Herald stesso, si fa uccidere, novello Cristo, dagli abitanti di questo nuovo mondo, gli indigeni, i nativi americani, o i valorosi guerrieri morti come recita la credenza del Valhalla vichingo.

Perché?

Comunque nessuna traccia di Terra Santa.
Non può esistere in questo film.
Un finale che, a pensarci, è in netta contrapposizione teorica, ma ricorda per arcane armonie il finale di Apocalypto di Mel Gibson.
Un finale ed una pellicola, raramente così potenti, effimeri e fantasmatici come il vero cinema dovrebbe essere.
E questo film, qualsiasi cosa sia la settima arte, è cinema allo stato puro.

Davide Tarò

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