BASTARDI SENZA GLORIA

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USA 2009
Regia: Quentin Tarantino Sceneggiatura: Quentin Tarantino Attori: Brad Pitt, Diane Kruger, Mélanie Laurent, Christoph Waltz, Eli Roth, Michael Fassbender, Julie Dreyfus, Cloris Leachman, Samuel L. Jackson, Til Schweiger, Maggie Cheung, B.J. Novak, Rod Taylor, Christian Berkel, Daniel Brühl, Paul Rust, Samm Levine, Martin Wuttke, Gedeon Burkhard, Jacky Ido Ruoli ed Interpreti Fotografia: Bob Richardson Montaggio: Sally Menke Produzione: Lawrence Bender Productions, The Weinstein Company Distribuzione: Universal Pictures.
Durata: 148 Min Formato: Colore 35mm – 2.35 : 1

Ingloriuos Basterds come recita il (bel) titolo originale, quindi dichiaratamente non puro remake di ‘Inglorious Bastards’ del 1978, titolo americano per l’italianissimo ‘Quel Maledetto Treno Blindato’ di Enzo G. Castellari, ma con quella ‘e’ al posto della ‘a’ (errore grammaticale) vuole semplicemente dire che è il sesto grandissimo film di Quentin Tarantino.
Punto e basta.

Forse perché , dopo la prima visione in un rarissimo vhs dell’epoca, Tarantino e i suoi amici che avevano visto una marea di volte e consumato il nastro , si chiamavano tra di loro inglorious basterds, chi lo sa…
Enzo G. Castellari, c’è eccome, sia come spirito iconoclasta di una industria italiana che osava, e che ora non osa più neanche di striscio, sia fisicamente, come cameo, voluto fortemente da Tarantino in persona, nella scena girata negli studi Babelsberg di Berlino, con l’incontro tra Brad Pitt e i suoi colleghi tutti travestiti da registi italiani.

I bastardi si presentano, uno come “Enzo Girolami”, che è il vero nome di Castellari, facendo saltare di sorpresa il “vero” Enzo nel suo cameo, peccato non poterlo godere pienamente perché non è volutamente a fuoco la sua silohuette!!
Poi arriva Eli Roth (Hostel, Cabin Fever), ‘L’orso Ebreo’un altro dei bastardi in incognito e dice: “Piacere , Antonio Margheriti” ed è poesia…
Eli Roth stesso dice di aver recitato quella sequenza in puro stile del nostro ‘Bombolo’…
Insomma, tutto il film è una citazione diretta ed indiretta ad un certo modo di fare cinema di genere italiano, anche spaghetti western, lo stupendo motivo che si sente nel folgorante inizio, è di Morricone, il pezzo è ‘Un amico’ dal film Revolver, preso dal dimenticatoio cinematografico di noi italiani apposta da Quentin.
Un inizio da storia del cinema, che verrà studiato nelle università istituzionalizzate, al pari di Hitchcock, Bunuel, Godard, Truffaut, William Wyler ed altri ancora.
Perché c’è tutto il loro cinema, c’è tutto il cinema in Quentin Tarantino, volenti o nolenti.

Capitolo 1: C’era una volta nella Francia occupata…
Una attesa lenta, di qualcosa che sappiamo deve succedere, incedere lento dell’attore, una fattoria isolata, la cinecamera lo riprende da lontano, poi gli si avvicina, lo segue, lo pedina guardinga, foriera di tragedia.
Da lontano, nell’unica stradina che si vede da un bel po’ di metri, sta arrivando una macchina con un ufficiale delle SS (Christoph Waltz), parte ironicamente ‘Un Amico’ di Morricone, ed è poesia cinematografica, di messe a fuoco, primi piani, mezzi busti, dettagli di occhi, mani, un cinema del sentire e del provare, precluso a chi si fa ( e fa far) solo seghe mentali e catarsi delle pure teoresi.
Poesia percettivo/visiva dell’anima, il vero ‘Cinema’ come sapeva bene gente come Sergio Leone (che, guarda caso viene citato proprio qui), e per i relativi otto/nove minuti dopo, tutti in uno studiato e perfetto crescendo emotivo e fisico, fino all’esplosione di violenza finale, sangue, catarsi,istinto, cattiveria, guerra, il film prosegue.

Può far davvero invidia Quentin Tarantino, un uomo che è capace, e lo è davvero, di prenderti ‘Gloria della nazione’ (tipologia di film inneggianti il nazismo come quelli documentaristicamente essenziali della Leni Riefensthal) film della gloria del regime nazista.
Mai film venne “amato” così tanto, posseduto.
Eh si, perché Tarantino i film li “possiede” prima che citarli.

Li “possiede” quasi sessualmente, è una cosa di corpo, di pancia, di istinto, niente più e niente meno.
Lui è capace di vedersi otto/nove film al giorno, senza esserne davvero stanco, è un suo bisogno disperato ed intimo.
Citare film sconosciuti ai più (ma esistenti e studiati dagli annoiati studenti di cinema!), di farteli vedere in un’altra visione è la sua missione, farli rivivere a nuova vita.

Riplasmare con la sua bruciante passione la materia di cui è fatto il cinema, di qualsiasi cosa essa sia mai fatta.

Fa registrare le sequenze del cecchino diventato eroe (e si, perché è un rifacimento-tipo di un film di propaganda di guerra, non dimentichiamolo) da Eli Roth in persona.
In questo film il cinema fa la storia: gli snodi della stessa vengono pagati, decisi, creati in una sala cinematografica, o attraverso il cinema.
La macchiavellica vendetta finale dell’ebrea sopravvissuta dalla scena iniziale del film, che ha preso in gestione un cinema nella Francia occupata, ha qualcosa di magico, ieratico, un po’ per l’evento in sé, la trovata del soggetto, poi in realtà, del come viene girata cinematograficamente.
E qui, non c’entrano più i war movies italiani o gli spaghetti western, qui ci si immerge senza paura di sporcarsi le mani nel cinema tedesco, o ancora nella magia della femme fatale francese della nouvelle vague, o ancora della dark lady del noir americano.
Tutto questo si percepisce a pelle, (a pelle, nella pancia che ogni cinefilo possiede, non citazioni teoriche!!) dalla stupenda inquadratura della meravigliosa Melanie Laurent (tutte le attrici diventano meravigliose ed amate sotto la regia di Quentin) vestita in rosso, davanti alla vetrata del cinema, dove fuori nevica.
Aspettando la vendetta.

Poesia incarnata del cinema che diventa TARANTINIANA.
L’aggettivo è sacrosanto, perché i film che vede Tarantino, poi li Appartengono, per sempre.
Straordinaria Rilettura a capitoli del cinema di genere attraverso i suoi archetipi: dopo rapina, noir, pulp, spaghetti western/samurai/kung-fu/chanbara movie, on the road e War movie.
Questa dovrebbe essere la filmografia di uno come Tarantino?
NO.
Non è solo questo, il cinema di Tarantino ha vita propria, fatta di cinema, respira di cinema, trasuda pellicola ed acetato di vecchie sale, ma non è una rilettura.
E con Tarantino le definizioni lasciano il tempo che trovano.
Con Tarantino ci puoi parlare attorno ad un tavolo di cinema, ma intanto parli di come fare un mohito coi coglioni, o della situazione politica…
E stranamente sbaglia, proprio Manlio Gomarasca, storico dei film di genere italiano, fondatore della imprescindibile Nocturno, a considerare aspramente come “gioco” i molti dialoghi o l’apparente mancanza di “background” e di “aspirazioni” dei personaggi in questo film.
Ma il cinema di genere, non si compone di personaggi e topos?
Non sempre i personaggi e i topos hanno bisogno di background e di aspirazioni.
Sarebbe, forse, un altro “genere”.

E dovrebbe dar da pensare la frase di Tarantino sulla diversità di modi di girare una stessa scena: la morte di una madre davanti al figlio, girata diversamente a seconda del “livello” in cui si trova al momento.
Per Tarantino, il cinema è un universo fatto, appunto, di livelli (o generi) diversi, di volta in volta da padroneggiare ed evocare in maniera diversa.
Un cinefilo bastardo con i suoi inglorious basterds che li vanno dietro.
E ringraziamo, ancora una volta.

Davide Tarò.

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