LUPIN III In MOSTRA a LUCCA COMICS 2009
Testi dei pannelli della mostra: Davide Tarò.
(La versione che verrà riproposta a titolo esplicativo di alcuni stralci di testi, è in edizione originale, per intenderci quella concepita inizialmente dall’autore prima dei successivi rimaneggiamenti, in alcuni casi molto diversa da quella dei pannelli visti nella mostra).
In occasione di Lucca Comics quest’anno, storica fiera del fumetto italiano, si è potuta ammirare al padiglione Mediaset una mostra interamente dedicata alla serie animata di Lupin III.
Una Fiat 500, sagome dei personaggi, quadri realizzati da artisti italiani raffiguranti i personaggi dell’anime, modellini in serie della mitica utilitaria torinese in rigoroso color giallo e sette pannelli informativi (con video annesso) sulla saga di Lupin.
I sette pannelli informativi, di cui l’ultimo con un monitor troneggiante al centro e l’elenco completo ed esaustivo di tutte le produzioni legate a Lupin, ha permesso ad un pubblico curioso, partecipe ed attento di avere finalmente informazioni, curiosità e qualche punto critico e di approfondimento raramente toccato in Italia.
Ecco, per chi fosse interessato, due stralci dei testi.
Tratto dal pannello cinque:
“Bellezza nell’anime di Lupin”
“ Negli anime del periodo dei primi anni ’70, quello che si vedrà nella prima serie ‘Lupin Sansei’(giacca verde), e successivamente nella seconda serie ‘Shin Lupin Sansei’ (giacca rossa), non sarà per niente convenzionale per l’epoca, né per il cinema, né per il vecchio tubo catodico televisivo di casa, questo sarà utile ricordarlo.
La figura della donna ( e della bellezza) nella saga di Lupin è assai interessante e paradigmatica per la storia dell’animazione giapponese, assolutamente non membro comprimario inutile o messo lì per bellezza o, peggio, per attirare un pubblico femminile, ma vero e proprio personaggio, il più delle volte effettivo deus ex machina che decide piani strategici (quasi) sempre a danno dell’uomo.
Una donna indipendente, con il potere di cambiare il suo destino, e di usare la sua bellezza per i propri fini e per il suo rendiconto.
Una donna per niente remissiva, anzi fagocitatrice e dominatrice, perfettamente padrona e consapevole della bellezza del suo corpo, che fa vedere o intravedere con pochi veli e senza il minimo pudore.
Bellezze che sanno usare con molta abilità il più delle volte maggiore che il loro corrispettivo maschile, oltre le arti femminili di seduzione, anche le armi da fuoco.
Tra il 1970 e il 1971, la casa produttrice cinematografica Nikkatsu, diede alla luce cinque film dal titolo collettivo di ‘Stray Cat Rock’, dove una allora giovanissima e meravigliosa attrice dai capelli lunghi e di un nero corvino dal nome Meiko Kaiji, fa il suo debutto, sarà l’inizio della figura della ‘Bad Girl’ giapponese della fine dei ruggenti anni ‘60.
“Cattiva ragazza”, in realtà, non tanto perché cattiva a tutti gli effetti, ma per il grado di pericolosità che l’uomo le riconosce, abituato per generazioni ad essere la figura dominante del rapporto di coppia, pericolosa per uno status quo fino ad allora dominante, troppo “attiva” e indipendente.
Bene, il personaggio di Fujiko Mine è il perfetto figlio di questi anni di contestazione e di libertà, proveniente come idea originale dal manga di Monkey Punch, che già di suo aveva una concezione della donna dalla forte femminilità, anche fisica, e dal carattere deciso, provocatorio e forte.
Da notare una cosa, in tempi recenti, una intera collezione di sei miniature intitolata ‘Monkey Punch Girls Collection Cuties’, riproduzioni di figure di donna in posa, sedute, all’occorrenza con armi e fucili, con i nomi più svariati, si va da Naomi a Cindy, da Nanami a Jun e Reina, per arrivare ad una Fujiko (proprio lei!) elegantemente di bianco vestita con una pistola di piccolo calibro nella mano sinistra, sono state messe in vendita nei negozi, e nei distributori automatici di tutto il Giappone, dove vendono i candy toys, caramelle e dolciumi acquistati in allegato a questo tipo di miniature/gadget.
Questo dovrebbe far notare quanto sia ancora vivo, tra i fan ed i collezionisti, il gusto e l’idea di un certo tipo di femminilità, di bellezza e di fascino, che nelle serie di Lupin III è stato sempre predominante nei personaggi femminili.
Fujiko Mine nel 1971 (ed ancora oggi) incarnava pefettamente la donna fatale, bellissima, determinata, giovane agile e precisa nel suo lavoro.
Il direttore delle animazioni della prima serie Yasuo Otsuka, disegnò parecchi modelli prima di trovare quello con il tratto femminile giusto, non senza fatica, ma alla fine trovò il tratto disegnato che più si addiceva all’icona femminile per eccellenza della saga di Lupin III.
Tra le scene che più rimangono nel cuore non si può certo dimenticare la sigla finale originale di tutti gli episodi della prima serie, dove si vedeva la silohuette di profilo della bella Fujiko Mine in sella ad una stupenda moto Kawasaki su una strada al tramonto.
La moto Kawasaki, nelle sue diverse incarnazioni di modelli diversi, rimarrà il simbolo della ragazza soprattutto nella prima serie e in qualche special televisivo, oltre che nel primo film ‘La pietra della saggezza’ (1978), o anche nel secondo film ‘Il castello di cagliostro’ (1979) con un modello di moto più “Militare”, nel terzo film ‘Il tesoro di Babilonia’ (1985), nello special televisivo del 2002 ‘Episode 0’ e via dicendo.
Da notare come il personaggio di Fujiko venga presentato quasi immediatamente in una tuta molto aderente che risalta le sue forme sinuose.
Non sarà un caso che questo stratagemma espressivo venga usato spesso, non solo nella prima stagione, ma per le produzioni successive.
Per la seconda serie di Lupin III, oltre al cambiamento di giacca (che diventa rossa) del nostro ladro preferito si ha un cambio nel design dei personaggi.
Si tende ad alleggerire il tratto, a rendere le figure più allungate e dinoccolate, in qualche modo esaltandone la naturale caricaturalità, ma per quanto concerne il personaggio di Fujiko, che per un adattamento italiano senza reali connessioni con l’adattamento della serie precedente (già capitato per gli adattamenti italiani di serie tratte dai manga di Go Nagai quali Mazinga Z, Il grande Mazinga e Ufo Robot Goldrake dove Alcor altri non era che Ryo, il pilota del primo Mazinga), viene chiamata nel nome francesizzato ‘Margot’.
Quindi ‘Margot/Fujiko’, sotto il tratto dell’abile character designer Takeo Kitahara, diventa una donna più matura della prima incarnazione di Fujiko, più specificamente “donna di classe” e, soprattutto, con i tratti fisici più marcati, i seni gonfiati naturalmente a dismisura, e le gambe pressochè perfette quasi sempre presentate con una minigonna, insomma, una Fujiko/Margot sempre più sexy e matura, ora donna, con atteggiamenti anche marcatamente provocanti.
Una delle sigle finali della seconda serie, in simmetria con la prima, vedeva la silouhette di Fujiko/Margot alla guida di un MiniBuggy in riva alla spiaggia al tramonto.
Entrambe le sequenze finali, quella della prima e della seconda serie, si possono ascrivere ad una visione cara alle arti figurative giapponesi e al sentire comune della popolazione dell’arcipelago: la visione o, meglio, la sensazione del ‘Furusato’.
Il ‘Furusato’ è un concetto di difficile ascendenza, della fugacità della bellezza, ma riassumibile in concetti semplici come una malinconia indefinita verso l’idea astratta di un proprio luogo natio, qualcosa che non si sa ben definire, di solito un luogo che viene ben rappresentato in una spiaggia al tramonto, o un panorama naturale come il cielo o un luogo idilliaco in campagna.
Le serie di Lupin III non sono le sole che usano questa sensazione per le sigle finali, la bella sigla di ‘Baldios, Il guerriero dello spazio’ (Uchu Senshi Baldios, 1981) dove si vede il giovane Marin, pilota del Baldios, e tutti i protagonisti attoniti, al tramonto su una scogliera, ne è un imprescindibile esempio.
Con il passare degli anni, e delle produzioni, il corpo di Fujiko viene sempre meno “messo in pericolo” da mani e da desideri che non siano quelli di Lupin, soprattutto nella seconda serie, più adulcorata sotto molti aspetti, anche se la bella e sensuale sigla iniziale (che abbiamo potuto goderci anche nella versione italiana cantata dai ‘Castellina Paso’), dove un Lupin molto voglioso salta letteralmente addosso al letto dove c’è una Fujiko/Margot magnificamente di profilo e nuda, lasciandosi i vestiti alle spalle e rimanendo in mutandoni (citazione a molte scene che succedevano davvero nel manga originale di Monkey Punch), per poi falsi colpire a tradimento da un guantone da pugilato a molla nascosto, che scatta sulla sua faccia irresistibilmente da scimmia.”
Tratto dal pannello uno:
“ Teatro e modi delle inquadrature nell’anime di Lupin”
“Lupin Sansei (prima serie) fu trasmesso dal 24 ottobre 1971 sul network NTV, alle 19:30 di sera, in orario preserale per ribadire il pubblico al quale era di preferenza rivolto: Ai ragazzi liceali, quindi non esplicitamente bambini.
Andò avanti per 23 episodi (sui 26 progettatti ottimisticamente all’inizio) e non riuscì mai a risollevarsi dagli indici d’ascolto bassissimi.
Ci vorrà la messa in onda, in replica, alcuni anni dopo, e il sempre più crescente ed inaspettato interesse del pubblico per convincere gli sponsor a produrre la seconda, fortunatissima, serie.
Il regista dei primi sei episodi della prima serie si chiama Maasaki Osumi, ed è una figura particolarissima e molto affascinante, classe 1934, originario di Kobe, la sua passione per il teatro delle marionette tradizionali è stata bruciante sin dalla giovinezza, l’incontro con Yutaka Fujioka, patron dell’allora denominata Tokyo Ningyo Cinema (‘Ningyo’ voleva dire marionetta, bambola) casa esperta in spettacoli di marionette, non fu casuale, ma fondamentale.
Difatti nel 1965, Fujioka decise di convertire la produzione della sua casa produttrice, dalle marionette all’animazione, agli anime, cambiò il nome da Tokyo Ningyo Cinema a Tokyo Movie e si mise sopra il progetto, rimasto per anni in stand by (voluto fortemente dal grande Gisaburo Sugii) di una serie legata a Lupin.
Fujioka chiamò Osumi come regista della serie.
E la sua presenza si vede, l’impostazione di molte inquadrature, l’idea stessa di azione dentro un ristretto spazio scenico, il character design dei personaggi, il loro movimento dinoccolato e calcolato ricordano molto uno spettacolo di marionette tradizionali giapponesi, lo evocano direttamente.
Anche l’effetto sonoro che si sente ad ogni apertura di scena, ricorda per assonanza una apertura di scena a teatro.
E’ capitale l’episodio sei: ‘Goemon Il samurai’, l’ultimo della gestione Osumi, per chiarire il concetto.
L’incontro tra Goemon, Lupin e Gigen (che si sono travestiti) ha del burlesque, ma nello stesso tempo è pregno di tensione, Lupin e Gigen stanno come due marionette ferme a mezz’aria in posizioni plastiche, è colpa della tensione, sono stati scoperti da Goemon che giganteggia dietro di loro e cerca di farli a fette con la sua spada, ma intanto l’inquadratura assomiglia ad un gioco nel gioco, sembra che sia una inquadratura di spettacolo teatrale, un palco in legno (la casa) e le mura in carta tradizionale che fanno da sfondo (quadro).
La regia ha un andamento, almeno per i primi episodi della serie, malinconico e vagamente “annoiato”, di quella noia un po’ spietatamente malsana e dura di cui è pregno l’anime all’inizio.
Il character design si rifà anche in parte a questa concezione: le mitiche caviglie lungiformi, i piedi dinoccolati e le gambe lunghe lunghe agilissime, che faranno storia come design dei personaggi (tipici di Lupin, che rimarranno come rimembranza in ogni serie, in ogni film, in ogni special televisivo) si rivedranno 27 anni dopo, non a caso, in una altrettanta mitica e geniale serie dal titolo ‘Cowboy Bebop’.”
“ Di fatto si tratta di uno dei primi anime televisivi in assoluto connotato da una sensibilità adulta e da atmosfere noir riprese in pieno da Cowboy Bebop (Kauboi Biboppu, Shinichiro Watanabe, 1998) [..] magnifica serie prodotta sul limitare degli anni ’90 ed assolutamente memore di quel Lupin degli albori.”
Davide Tarò, in ‘Bad Girls in Pinku Violence anni ‘70: Reiko Ike e Miki Sugimoto’ in neo(N)eiga, Il primo portale del cinema giapponese contemporaneo http://www.neoneiga.it/archivio.php/analisi/badgirls_pinku/
Susan J. Napier, The Renewal of the self: Only Yesterday, pag. 222 in ANIME from Akira to Princess Mononoke, Palgrave McMillan, New York 2001.
Alessia Spagnoli, Lupin III: Il ladro di Miyazaki che amava la pace, in HAYAO MIYAZAKI, Le insospettabili contraddizioni di un cantastorie, pag 108, Sovera Multimedia srl, Roma 2009.
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