Vita Vissuta nel Cinema Italiano 12

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Capitolo 12.
La Cameretta sta lavorando a questo film da dieci anni ormai. Dieci lunghi e faticosi anni. Dieci anni passati a scrivere, a cercare i finanziamenti, a mettere insieme la troupe, i migliori capi reparto del cinema italiano, attori conosciuti in tutto il mondo. La sua delusione, ci dice Barbara, è profondissima, perché è un progetto cui tiene molto.
Barbara è la sorella minore della Cameretta. Alta la metà, impacciata e timida, prima di parlare emette un suono simile a una risatina soffocata. Ha provato a fare la cantante, la scrittrice, forse anche l’attrice. Ora fa la sorella della Cameretta. Vive nello stesso palazzo. Ha scritto il film. Viene invitata alle trasmissioni televisive del pomeriggio, per parlare della sorella maggiore.
– Piacere, Barbara.
Si siede accanto a noi.
– Mh, ho pensato che posso stare qui con voi, magari avete bisogno di una mano.
– Di che tipo?, le chiedo.
– Mh, non so, sono la sceneggiatrice, magari c’è qualcosa che non capite.
– Ti ringrazio, ma ce la caviamo.
Si liscia i lunghi capelli neri.
– Mh, okay, allora se non vi do fastidio resto a vedere come lavorate, mi interessa molto il montaggio.
Che le dovrei rispondere?
– Resta pure, se vuoi.
Non ce la togliamo più di torno. Tutte le mattine arriva, si siede accanto a noi e dopo pochi minuti di silenzio passati a lisciarsi i capelli, inizia a parlare:
– Mh, non sapete quanto ha sofferto Maria Teresa per questo film. Tutti si sono approfittati di lei, tutti, perché lei è buona e sensibile. Ma io la ammiro tanto. Mh, è coraggiosa, e poi è brava. E poi ha una figlia bellissima e molto intelligente. Mh, con la figlia ha un rapporto bellissimo, non ho mai visto una madre così.
Quando parla non ti guarda negli occhi, fissa un punto in alto a sinistra.
La immagino sdraiata nella sua cameretta, mentre disegna sul diario dei cuori attorno a una foto di Ralph Macchio.
Quando torniamo dal pranzo la troviamo in postazione, pronta a parlare di Maria Teresa. Ogni tanto il discorso si sposta sul film:
– Mh, scusa, non vorrei dire, ma…
– Dimmi.
– Mh, non potresti far vedere un po’ di più Maria Teresa?
– In che senso?
– Mh, dopo che quello ha parlato, non potresti mettere un po’ di Maria Teresa?
– Guarda: no, non c’entra niente.
– Mh, ah, okay, era per dire.
E dopo un po’:
– Mh, scusa, ma non ce n’è un’altra dove Maria Teresa è meno spettinata?
– In questa scena è spettinata.
– Sì, okay, ma una che è meno spettinata?
– Ho già guardato, non c’è.
– Ah, okay.
Mi sto spazientendo.
– Mh, scusa, eh, ma qui non puoi fare così: sembra che c’è un sacco di gente, ma quando l’hanno girata non c’era nessuno.
– Lo so, l’ho fatto apposta, ci dovrebbe essere una folla e invece ci sono quattro gatti. Così almeno non si vede.
– Mh, okay, però non puoi fare finta che c’era tutta quella gente.
– Ora la lascio così, poi vediamo.
“Il montaggio”, ovvero: una nazione di commissari tecnici.
Quando viene la Cameretta, nelle pause del film dei Branzini, la situazione non cambia, anzi: si danno manforte.
– Cioè, scusa, ma non mi puoi mettere un po’ di più? In questa scena ci sono proprio poco.
– No, non posso ‘metterti di più’.
– Ma prova!
Provo. Aggiungo un primo piano brevissimo, subliminale. Fa schifo.
– Vedi? Cioè, molto meglio. Tu che dici, Barbare’?
– Mh, sì, molto meglio, adesso sì che si capisce!

Un giorno Renato Meri passa dall’ufficio. Sto lavorando, sento la sua voce dalla stanza accanto. È al telefono, quando mi vede lascia cadere la cornetta e la mascella. Lo saluto, mi guarda come se fossi un fantasma.
– E che cazzo ce stai a ffa’ tu qua?
– Sto montando.
– E che cazzo monti?
– Il film.
– E che cazzo vor ddi’?
– Eh, monto il film.
– Perché, quello de Dolores nun andava?
– Non te l’hanno detto? Non andava, allora Maria Teresa mi ha richiamato.
Si innervosisce.
– Nessuno m’ha detto un cazzo, a me.
– Mi dispiace.
– E da quant’è che staresti qua?
– Mah, ormai saranno quattro o cinque settimane.
– E chi ‘o firma, ‘sto film?
– Direi io, se lo finisco lo firmo io. Già che ci sei ti dovrei chiedere alcune cose sugli effetti speciali e sul missaggio.
– Ahò, ‘a coso, nun me devi chiede’ gnente, a me! Io nun ne vojio sape’ ‘n cazzo. Mò me ne vado, e nun me chiamate più.
Esce. Sorrido.

Qualche volta la Cameretta chiama a raccolta Telma e Selma: bisogna parlare delle riprese aggiuntive. Io cerco di farla desistere, spero di trovare un’alleata tra le due “donne di produzione”. Ma inutilmente.
Guardano alcune scene, le più complesse, e commentano:
– E che ci vuole? Qua chiamiamo Marco e in due ore ti fa tutto, gli dici come la vuoi ed è fatta.
– Scusate, mi intrometto, si può sapere chi è Marco? Giusto per farmi un’idea, non vorrei che sprecate soldi e poi viene uno schifo.
– Ma che schifo, cioè, peggio di così.
Su questo non c’è dubbio.
– Ascolta, Maria Teresa, insisto guardando Telma e Selma (per non sbagliare le guardo entrambe). – Sono scene complesse, è un film in costume, le location dove le trovi? Devi tornare nei posti…. E poi hai scelto Stocasto, non un direttore della fotografia qualunque, non è facile fare una fotografia come la sua.
– E questo è il problema! Allora, tu non ti preoccupare, tu scrivimi su un foglietto le scene che ti ho detto, al resto ci penso io. Una la faccio qui, una a casa mia, una di là.
– Di là? Ma questo dovrebbe essere un caffè liberty, quella è la stanza di una villa secentesca….
Guardo Telma e Selma, ma non colgono. Anzi:
– Tu non ti preoccupare, ci pensiamo noi, dice una delle due. – Due cose di scenografia ed è fatta.
Ci pensano loro. E io penso alla puttanata che verrà fuori.

Quando c’è la Cameretta, c’è anche Enzo, il suo bodyguard. Si mette nella stanza accanto alla nostra, e passa tutto il tempo urlando al telefono con la sua fastidiosa erre moscia che passa attraverso le enormi narici.
Ogni tanto viene a trovarci.
– Allora, come va?
Un piccolo ruolo nel film è stato dato a sua figlia. Solo un paio di battute, per fortuna. Non è per tutti, la recitazione.
– Allora, famola vede’, ‘sta ragazza. Che fai, nun la monti?
– La monto, la monto.
– E falla vede’ de ppiù. Perché la tagli lì? E tienila ancora un po’!
È un venerdì d’agosto, la città inizia ad essere calda, io ho deciso di partire per il fine settimana, vado da qualche parte in cui si riesca a respirare un po’.
Esco a fumare con Gianni. In cortile incontriamo Enzo, sta mettendo alcune valigie in macchina.
– Parti?, gli chiedo.
– Parte Maria Teresa, va al mare. Ma pure io vado con la mia famiglia.
– Ah, bravi, anche io mi sa che vado sabato e domenica da qualche parte.
Mi guarda come se avessi bestemmiato in chiesa durante un battesimo.
– Ma che stai a ddi’? Parti? Nun lavori, domani e dopodomani?
– Veramente domani è sabato.
– E ‘nnamo, su, finiscilo ‘sto film. Lo dico ppe’ te, è un’occasione, nun sprecalla.
Mentre lavoriamo con la Cameretta, Enzo sovente viene ad avvertirla di sbrigarsi: devono partire.
– Mariatere’, l’aereo nun aspetta.
– Enzo, arrivo subito.
E poi aggiunge, alzando la voce:
– Ma poi, scusa, cioè, quello è un aereo privato, parte quando lo dico io.
– Ma che privato e privato, Mariatere’, è ‘n charter.
Lei è contrariata:
– Vabbè, tanto storie non ce ne fanno, cioè, io ho il passaporto diplomatico!
Gianni mi guarda, l’espressione a punto esclamativo.

Arriva metà agosto, stiamo per andare tutti in vacanza. Gianni è già partito, due giorni prima di me, tanto al momento non c’è molto lavoro per lui.
Un pomeriggio Maria Teresa mi chiama da parte, mi fa sedere di nuovo al tavolo da riunioni del primo giorno.
– Allora, cioè, praticamente noi andiamo in vacanza dal 14 al 31 agosto, quindi ora chiamo la società che ci ha affittato l’Avid e glielo restituisco.
– Come sarebbe? Non puoi farlo.
– E perché?
– Bè, quando uno prende un Avid lo prende, non è che poi lo restituisce e poi lo riprende.
Si infastidisce.
– Cioè, ma secondo te io dovrei pagare per i giorni che non lo uso, non ho capito? Voglio vedere se a De Gaudentiis gli fanno pagare un Avid se non lo usa. Ora li chiamo e gli dico di venirselo a prendere domani.
– No, senti, è pure il 10 agosto, quelli saranno chiusi!
– E vabbè, è un problema loro, mica mio. Non posso pagare per questi giorni, cioè, già non ci sono soldi. Qua se ne approfittano tutti.
Non so proprio cosa rispondere.
– Tra l’altro, continua, il tuo assistente, Gianni, deve restare ancora molto? Mi avevi detto che ti serviva cioè solo per fare il tabellone.
– Per fare il tabellone? E c’è bisogno di un assistente per fare il tabellone?
– Tu mi hai detto così. No, perché a me cioè mi sembra che non c’è più bisogno di lui.
– Guarda, innanzitutto gli accordi erano accordi, e ci eravamo accordati per un assistente. E poi ora il film è quasi finito, e bisogna far partire le altre lavorazioni, e solo l’assistente può farlo.
– Non so che dirti, io soldi non ne ho più. Ne parliamo al ritorno dalle vacanze.
– E va bene, ma ti dico che senza assistente questo film non lo finisci.
Ci salutiamo, io aggiungo che tornerò dalle vacanze non il 31 agosto, ma il giorno dopo, il primo settembre. Torno in ufficio. Devo avere un’espressione davvero furiosa, perché subito Barbara mi chiede:
– Mh, tutto bene?
– Più o meno.
– È successo qualcosa?
– Guarda, niente di grave, ma Maria Teresa sta facendo dei grossi errori.
– Mh, ma devi avere pazienza, non sai quanto ha sofferto, per questo film. Tutti si approfittano di lei, e lei è così disponibile e gentile con tutti….
– Sarà, ma se licenzia il mio assistente me ne vado anche io.
– Devi avere pazienza. Mh, e poi se ti ha detto così avrà i suoi motivi: non sai quanto ha sofferto.
– Ascolta, Barbara: avrà pure sofferto, ma se fa così ‘sto film non lo finisce.
Non risponde. Mi rimetto a lavorare.

Vengo a sapere che scrive un’email a quelli che ci hanno affittato l’Avid. Nell’email si legge: “come da accordi presi, ricordiamo che il montaggio è sospeso dal giorno tale al giorno tale, si prega quindi di venire a ritirare il computer, che ci sarà restituito il giorno talaltro. In caso di mancato ritiro, se la macchina dovesse restare in ufficio durante il periodo di chiusura, la nostra produzione non si assume alcuna responsabilità in caso di furto o danneggiamento…”. La ditta è già chiusa, ma rispondono comunque con un’email: gli accordi non erano questi, ormai non c’è nessuno che possa venire a ritirare la macchina, se il computer dovesse subire danni o furti, la produzione verrà ritenuta responsabile eccetera.
Mi chiama la Cameretta:
– Questi sono proprio dei cafoni! Hai letto l’email che mi hanno scritto?
– No, ma al di là di quello che possono aver scritto, devo dirti che hanno ragione ad essersi incazzati.
– Ragione? Voglio vedere se a De Gaudentiis provano a rispondere in questo modo!

L’ultimo giorno sono da solo in ufficio. A fine giornata spengo tutto, faccio la solita copia dei dati per sicurezza e vado via. Prima di uscire mi volto a guardare la stanza: ho una strana sensazione, non sono sicuro che a settembre tornerò a lavorare.

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