SWORD OF THE STRANGER

swordstranger

Giappone 2007.
Durata: 107’
Regia: Masahiro Ando.
Character design: Tsunenori Saito.
Musiche: Naoki Saito.
Sceneggiatura: Fumihiko Takayama.
Produzione e animazioni: Studio Bones.
Inedito in Italia.

Primo film d’animazione con soggetto originale per lo studio Bones.
Dopo il bel Cowboy Bebop il film (Tengoku no tobira), Full metal alchemist il conquistatore di Shambara e Raxephone il film (ancora inedito in Italia) .
Tutti i film insomma erano pellicole legate in un modo o nell’altro a serie dello stesso studio, se poi volessimo aggiungere il bellissimo Wolf’s Rain e Darker than Black (ancora inedito in Italia) altre serie che hanno beneficiato anche della produzione di qualche Oav per il circuito home video, possiamo dire che questa pellicola è assolutamente la prova del fuoco per Bones, che supera il tutto più che brillantemente.

Lo studio Bones nasce da una costola del grande studio Sunrise, quello di Gundam per intenderci.

E’ stata una scommessa produttiva non indifferente realizzare in animazione un film di chambara (letterariamente: spada, genere di film di cappa e spada in Giappone ndr), ci avevano provato negli anni 80’ Rin Taro con lo stupendo La spada dei Kamui, ci ha riprovato negli anni 90’ Yoshiaki Kawajiri con il suo capolavoro Ninja Scroll, all’inizio del nuovo secolo ci sono state serie che hanno preso in nuce l’anima del chambara e l’hanno resa epicamente shonen e malinconica come Kenshin samurai vagabondo, oppure l’hanno amorevolmente dileggiata a colpi di ‘reggae’ e ‘ska’ come Samurai Champloo di Shinichiro Watanabe, in ogni caso nessuna produzione di queste ha raggiunto il successo commerciale sperato, pur diventando ‘cool’ e di culto per una ristretta ma attenta cerchia di spettatori.

Masahiro Ando ha lavorato con artisti degli anni 70’ del calibro di Osamu Dezaki e Akio Sugino (character designer a cui si devono tutti i personaggi più conosciuti in Italia degli anni 70’ da Lady Oscar a L’isola del tesoro fino ad arrivare a Rocky Joe)  arriva dall’animazione di pellicole quali Memories con Katsuhiro Otomo, Ghost in the shell del suo mentore Mamoru Oshii, il film di Evangelion: You are (not) alone  con Hidaki Anno,  si fa le ossa alla Bones sugli storyboard delle serie di Full Metal Alchemist e Wolf’s Rain  e arriva con questo progetto al Tokyo Anime fair del 2003.
Quattro anni dopo, la realizzazione del progetto, un film epicamente ricco di azione, azione eticamente corretta, di quella che ti fa vivere i personaggi dentro, una animazione selvaggiamente performativa e primitiva, di una purissima e primigenia bellezza che, per ora, solo l’animazione giapponese sa infondere con questi crismi nelle sue opere.
Una piccola perla che rischia di rimanere misconosciuta.

In patria, tra i professionisti del settore, se ne è parlato molto e in termini assai lusinghieri, Tensai Okamura regista di Wolf’s Rain e Darker than Black non nasconde il suo stupore, mentre il mangaka Atsushi Okubo autore di Soul Eater ( in Italia da Panini Comics) è rimasto piacevolmente scosso dallo scontro nel finale del film.
E su questo bisognerebbe soffermarsi un poco, gli ultimi minuti di pellicola raggiungono livelli davvero eccelsi di concezione scenica e di spazio/tempo dello spettacolo, una lezione per un cinema animato/ritmico, una lezione in parte che Eisenstein avrebbe anche ironicamente preso volentieri.
L’intera sequenza dello scontro finale è stata curata dall’animatore Yutaka Nakamura, che arriva dall’eccellente lavoro sul film di Cowboy Bebop, corpi senza peso apparente che si buttano nel vuoto e cadono, una sospensione dell’incredulità mai strappata, ma tenuta in bilico sul sottile filo dell’animazione demiurgica di scuola Miyazaki/Takahata/Otsuka.
Il film, per stessa ammissione del giovane regista in una anteprima a Parigi prima della distribuzione nazionale in sala (beati loro ndr), potrebbe situarsi a metà strada tra la cinematografia di Akira Kurosawa e quella di Sergio Leone.

Inoltre, il soggetto non è neanche stupido o lineare come si potrebbe pensare ad una prima superficiale occhiata, l’idea dello “straniero”, il gaijin o stranger del titolo, che deve nascondere la sua diversità per amalgamarsi al sistema è una realtà, sia nell’epoca Sengoku (1493-1573), sia  nel Giappone di oggi, ma non è stata ancora presa in considerazione dal popolo giapponese.
Le musiche di Naoki Sato già sentito in Eureka Seven e la serie di X sono qualcosa di epico e trascinante, malinconiche e ieratiche, stupende da sentire con le sequenze della pellicola.
Il character design di Tsunenori Saito già stato direttore dell’animazione in Wolf’s Rain e nei film di Rahxephon e Escaflowne, viene seguito attentamente dal regista Ando, per renderlo espressivo ai massimi livelli, per capire chi sono davvero i personaggi e le loro “posizioni” nei confronti della storia, un lavoro di cesello piuttosto raro.
Il 2d viene mischiato abilmente con il 3d, nella sequenza di presentazione della fortezza di Shishine, grazie alla cgi un travelling circolare permette in un solo piano sequenza di vedere l’enormità della torre, dando un senso di mancamento di respiro.

La stessa tecnica, ma per fini diversi, era stata utilizzata nel finale di Patlabor con il piano sequenza del battello ci dice Masahiro Ando, rivelando(ci) una citazione indiretta.
Sword of the stranger è stato insignito al Fantaspoa 2008 (Brasile), ad Annecy fuori competizione ma nella selezione ufficiale (Francia) e al Future Film Festival 2009 come premio speciale della giuria (Italia).

Davide Tarò di neo(N)eiga.

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