PONYO SULLA SCOGLIERA

ponyo

Gake no ue no Ponyo
Giappone, 2008
Regia e sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Fotografia: Atsushi Okui
Montaggio: Takeshi Seyama
Direttore artistico:Noboru Yoshida
Direttore delle animazioni e character design : Katsuya Kondo
Musiche: Joe Hisaishi
101 minuti.

Se si dovesse dar retta ad una genuina quanto improvvisata frase di uno spettatore casuale di Miyazaki di cui tra l’altro si auspica un benedetto, marcato e definitivo aumento in sala per l’occasione della “coraggiosa” uscita italiana della benemerita Lucky Red, i film di Miyazaki, almeno gli ultimi che abbiamo potuto vedere al cinema e in home video e che hanno goduto di un battage pubblicitario maggiore (Il castello errante di Howl e La città incantata) sono “tutti liquefazioni e mutazioni”.
Oh mio Dio! Quale orrenda bestemmia per chi lo segue sin da bambino, da quegli episodi di Conan il ragazzo del futuro sul network EURO TV, o IL FIUTO DI SHERLOCK HOLMES sulla RAI, o ancora IL CASTELLO DI CAGLIOSTRO per i natali animati della vecchia RETE4.

Per chi ha aspettato febbrilmente l’uscita nei cinema italiani nel 1999 di PRINCESS MONONOKE (MONONOKE HIME) “grazie” all’empio accordo della Buena Vista/Disney, chi l’ha potuto vedere nelle 5 sale in tutta Italia (ringrazio ancora il direttore del cinema NAZIONALE di Torino, testimone di un bellissimo ed indimenticabile pomeriggio di “premiere” in famiglia), chi ha comprato in dvd d’importazione Totoro, Laputa, Kiki’s delivery service, Porco Rosso, Nausicaa come prenderebbe questa affermazione?
Malissimo.
E sbaglierebbe.

In fondo, a ben pensarci, negli ultimi film, l’idea della liquefazione e della mutazione prende il soppravvento su (quasi) tutto il modo di fare cinema di Miyazaki.
Non che prima non ci fosse una tensione verso questi elementi, la stessa sequenza in cui uno degli Antichi si erge dal terreno in Nausicaa, scena curata da un giovanissimo Hideaki Anno futuro regista di Le ali di Honneamise, Nadia Il mistero della pietra azzurra e soprattutto dell’imprescindibile Neon Genesis Evangelion, ne è la conturbante prova, o ancora in alcune sequenze memorabili di Princess Mononoke, le prime che schiaffeggiano violentemente la memoria.
L’idea di liquefazione (e mutazione) in realtà è piuttosto antica nel Giappone e nell’uso che Miyazaki ne ha sempre fatto.
Come nota acutamente, tra l’altro, un Carlo Chatrian che si sta occupando solo recentemente di animazione giapponese, in un bell’articolo sui ‘Duellanti’ di marzo fa notare quanto l’acqua sia davvero una geografia mentale (e fisica) da percorrere per il regista, e come, la poetica pretesa sempre “in volo” dell’Hayao più amato e ambito dagli italiani, sia in realtà una poetica che si rifà alle profondità marine, in fondo vero “blu” quanto se non più  del cielo in ogni film del regista giapponese.

L’idea non è assolutamente peregrina, e aggiungo io, basti ricordare con un po’ di malcelata malinconia, Conan o il suo amico Gipsy, o Lupin e Gigen, quando prendono inumane e immani boccate d’aria per poi tuffarsi nelle profondità più assolute (e blu) di fiumi, oceani e passaggi segreti di castelli sommersi dall’acqua, con una permanenza in apnea tra una bracciata divinamente animata e l’altra, invidiabile e da far venire il fiato corto al visionante, potenza che esiste da anni in Miyazaki.
Eppure, nelle ultime tre pellicole, vuoi per la morte di Yoshifumi Kondo, suo ben più che character designer di completa fiducia (sua ultima opera come disegnatore fu Mononoke Hime, ma sua fu anche la regia del bellissimo Mimi o subaseba/’Se drizzi le orecchie’ come potrebbe essere reso in una eventuale traduzione), vuoi per la sua direzione più virata esplicitamente verso un pubblico ” più giovane”, cioè i bambini, il character design curato negli ultimi tre film, compreso quindi quest’ultimo, da Katsuya Kondo (attenzione all’omonimia, nessuna parentela con il geniale Yoshifumi) è più superficiale e “liquido”.

Basti fare una prova empirica, osserviamo le scene in cui le lacrime scorrono sovrane, ce ne sono, ce ne sono eccome in tutti i film di Miyazaki, in Yoshifumi Kondo erano un elemento che rigava la profonda eticità e fisicità dei visi, oserei dire la solidità scolpita nei volti di ragazzine e ragazzi in pubertà,  ma erano intelleggibili, presenti ma quasi invisibili, molto discrete ma di una presenza semiologica e cognitiva enorme, negli ultimi tre film esistono le “lacrimone” da bambino, quelle morbidose e spesse, che colano come un punchball liquido dagli occhi, e dal naso di bambini, guardare per credere.
Io credo che la differenza stilistica di character design abbia portato Miyazaki a dirigersi e far pesare di più degli elementi della sua poetica che altri.
‘Ponyo’, cioè morbido, “morbidoso” , forse dovrebbe essere letto proprio in questa maniera, character design morbido morbido per un film morbido morbido.
L’essenza di un certo (e più conosciuto) modo di fare opere di Miyazaki.

“Morbidoso”…  non lo era forse anche Totoro (a cui, è utile ricordarlo, non partecipò Yoshifumi Kondo) ? Diventato simbolo del Ghibli Museum di Tokyo Frequentato da (moltissimi) bambini festanti e qualche visitatore internazionale magari interessato al cinema e agli anime ?

In Miyazaki ha sempre convissuto questa doppia anima tra il “kawai” agrense e sorretto da una profondissima etica stilistica ed umana (come in Osamu Tezuka per altre opere), ed una sorta di “shonen” in divenire, avventuroso e fiabesco.
Con questo, nessun difensore d’ufficio (che non ne ha proprio bisogno) del cinema dal vero si azzardi a dire: “l’animazione non riescie a fare cose ‘serie’, vedete? E’ per bambini, è inutile”, pericolo di ricezione sbagliata del messaggio semiologico della pellicola (rivolto soprattutto al gotha cinefilo e di critici/produttori/festivalieri) che fa notare molto lucidamente in un articolo sempre sui “Duellanti” di marzo, Anna Antonini, già autrice di un prezioso saggio italiano su Miyazaki (L’incanto del mondo).
( Forse) Miyazaki ormai lavora per i bambini (e i vecchi), non è un brutto lavoro, tutt’altro, forse il più nobile e degno di esistere al mondo (incantato).
Ma non è assolutamente solo, e in questa pellicola, la scelta “un po’ così”  di mettere tutti i nomi dello staff senza nessun riferimento al lavoro compiuto da ognuno, sembra quasi autoreferenziale ad una convinzione anche intima divenuta, però, spot.

” Ai bambini non  frega niente di chi fa cosa in un film d’animazione” rivela serafico Miyazaki in una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica per Il Venerdì ( e qui mi viene da sorridere, quanto tempo è passato quando non lo conosceva nessuno e, soprattutto, a nessuno fregava qualcosa di sapere chi fosse).
Quindi, Miyazaki ha ben deciso di togliere (forse) professionalità ai tanti collaboratori, intercalatori, designer che danno il sangue, la china e il sudore per il raggiungimento dell’opera finita, per dare una “Impressione di naivitè”, ma intanto, il suo nome di regista campeggia bello alto, e bello grosso, senza possibilità alcuna di essere confuso con chissàchi.
Mi viene in mente una dichiarazione rilasciata a Torino in marzo, da Kitaro Kosaka, regista del bel Melanzana, un’estate Andalusa, e collaboratore dello  Studio Ghibli già da anni, alla domanda, “cosa si ricorda della sua collaborazione con Miyazaki?” risponde: “preferisco non ricordare, è stato un periodo molto brutto”.
Forse è vero, i grandi registi, non sono propriamente delle “bellissime” persone con cui avere a che fare.
Anche Miyazaki non fa eccezione.

Davide Tarò di neo(N)eiga.

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