LA RAGAZZA CHE SALTAVA NEL TEMPO
Toki okakeru Shojo.
Film del 2006, con le animazioni della prolifica Madhouse che scopre e valorizza un talento che alla Ghibli (il Cremlino, per un regista eccentrico e geniali come Oshii Mamoru…) non hanno voluto.
Film di rivincita, per il regista Mamoru Hosoda, che debutta alla Toei Animation con i bei Oav di metà anni ’80 di Criying Freeman dall’omonimo manga di Ryoki Ikegami, per il quale cura le animazioni, come regista per alcuni episodi della serie (adulcorata) del 1997 dell’immortale Kitaro, Gegege no Kitaro, manga di Shigeru Mizuki, per altri episodi di Himitsu no Akko-chan del 1998, l’anno dopo cura la sua prima regia di una pellicola d’animazione: Il primo film dei Digimon.
Nel 2003 continua con la regia della serie Nadja (vista nello stivale anche su Italia 1) per approdare al sesto film di One Piece (dalla omonima e bella serie tratta dal manga di Eiichiro Oda), il migliore ed il più originale di tutti a detta di molti critici e spettatori.
Nel 2004 doveva essere il regista de ‘Il castello errante di Howl’, ma Miyazaki all’ultimo gli fu preferito, sul come fu allontanato il tutto non è ancora chiaro tutt’oggi.
Quello che sappiamo di certo è che questa pellicola è stata realizzata dal prolifico studio Madhouse guidato dal veterano Masao Maruyama, dal fiuto fino e dalla voglia se non impellenza di osare.
Il soggetto è stato tratto dall’omonimo romanzo del 1972 di Yasutaka Tsutsui (lo stesso del romanzo dal quale è stato tratto Paprika di Satoshi Kon), scrittore molto rinomato e conosciuto in terra natia, dallo stile particolarissimo, ma la storia, già rimaneggiata dallo sceneggiatore Satoko Okudera per una fiction televisiva live che non si fece mai, attirò l’attenzione dell’attento Hosoda, che ha voluto con sé lo sceneggiatore in questa avventura animata.
La storia del romanzo si incentrava sul personaggio di Kazuko Yoshiyama, ragazza capace di viaggiare nel tempo, ma ogni volta che lo fa, l’azione sembra provocare disastri come terremoti o incendi.
In questa versione animata, si gioca un po’ con i personaggi, e Kazuko Yoshiyama diventa “solo” la zia della giovane protagonista che si chiama Makoto, e che sembra, possedere gli stessi poteri.
Questo, come sottolineano alcuni critici attenti vuol dire che:
” l’intrigo si svolge una generazione dopo a quella della storia originale, questo permette d’accentuare l’effetto di ripetizione legato al fatto che Makoto rivive gli stessi avvenimenti modificandoli poco alla volta. C’è qui una connivenza con lo spettatore giapponese che conosce l’intrigo originale e che viene sorpreso dai nuovi sviluppi ricordando il testo iniziale, creando una nuova variazione” 1
Il character design è quello giovanile che ci siamo abituati a vedere allo studio Gainax (Neon Genesis Evangelion, Nadia il Mistero della pietra azzurra, Flcl), con corpi di ragazzi rappresentati con pochi ma precisi e raffinati tratti disegnati.
Lui è Yoshiyuki Sadamoto, e che ci crediate o no, la giovane Makoto corre, è distratta, vivida, attivissima, simpaticamente gioviale come ci appare, per gran parte grazie a lui.
Le musiche sono del poco conosciuto Kiyoshi Yoshida, personalmente voluto da Mamoru Hosoda per un suo pezzo al pianoforte che aveva sentito, e l’atmosfera che le musiche creano in questo film, tra un film di Ozu e l’allegra commedia adolescenziale scolastica, oltre che fantascentifica, danno pienamente ragione alle decisioni del regista.
La giovane Makoto, per come riescie a ritornare indietro nel tempo, ci fa capire quanto il meccanismo della messa in scena animata di questo film, sia, in fondo, molto simile alla pellicola del 2004 di Miyazaki, orfana di Hosoda.
L’incontenibile ragazza nella pellicola del 2006, per provare a fare il “salto temporale”, deve saltare davvero, o meglio, correre velocissimamente e saltare il più lontano possibile.
Questo, tra l’altro, crea un paio di sequenze tra le più memorabili nell’animazione attuale (Miyazaki docet…).
Makoto, in effetti, si ritrova più volte nel passato, in posti differenti da dove si trovava prima, se , per ipotesi, prima del salto si trovava in mezzo alla strada, dopo il salto si trova nel passato, ma sulle scale interne a casa sua.
Questa interscambiabilità di luoghi fisici e toponomastici
una essenziale a-geograficità e a-spazialità dello spazio scenico 2
Fatta in questa maniera, è solo possibile nel linguaggio animazione, ben lo sapeva anche Miyazaki che usa una porta dimensionale interna al castello per spostare chiunque in ogni parte del globo, ne Il castello errante di Howl.
Da notare, a proposito del “tempo”, che per sua stessa ammissione, il regista Hosoda ha scelto come catalizzatore dei viaggi una noce, perché lo scrittore Kenji Miyazawa nel suo Ginga Tetsudo no yaru (Il treno della via lattea, da cui Leiji Matsumoto trarrà non poco spunto per il suo magnifico Galaxy Express) rappresenta una città in cui il tempo si svolge sopra la forma di una noce, la noce in effetti per i giapponesi è un carapace in cui le striature sulla superficie rappresentano il tempo.
I dettagli, il ritmo di questa delicata, deliziosa, e solo apparentemente leggera produzione (guardate sino alla fine per capire), fanno davvero pensare come riuscita scenica ad una via di mezzo tra i drammi/commedie famigliari di Ozu, e i migliori anime/manga di autori quali Mitsuru Adachi, con una spruzzatina di perturbante dovuta ad una intima vena “fantastica”.
I colori dei più minuti oggetti, le luci dentro le stanze che provengono dall’esterno, dal sole, prendono significati immaginifici e semiotici più profondi, questa è davvero una piccola meravigliosa creazione animata.
Premiata nell’anno 2006 al Tokyo Anime Fair, ha il suo riconoscimento anche grazie alla giuria del festival di Annecy del 2007.
Da vedere e rivedere, come il tempo che passa.
Davide Tarò di neo(N)eiga.