VALZER CON BASHIR
Regia e sceneggiatura di Ari Folman.
Musiche: Max Richter
“Tu hai visto?”
Questa è la frase che riaffiora in molti momenti di questa pellicola d’animazione/documentario.
“Tu hai visto?”
La domanda ci pone in una posizione di assoluta incertezza.
L’animazione, come linguaggio, si situa ad un secondo livello di percezione iconica rispetto al cinema live, dove un attore in carne ed ossa “rappresenta” un personaggio.
In animazione, dei tratti disegnati “evocano” (frase più potente, dalle gravide conseguenze) un personaggio.
L’animazione è sempre più distante dalla realtà fenomenica, almeno due volte di più del cinema dal vero.
Usare l’animazione, se parliamo di percezione, di memoria, vuole dire dare massima incertezza a quello che si vede.
Un documentario animato, una contraddizione in termini.
La memoria, che arriva a dilaniarti le carni come ventisei cani ringhiosi, famelici e anelanti giustizia, morti anni prima, che tormentano un soldato che li uccise.
“Tu hai visto?”
Mamoru Oshii, regista di animazione giapponese, di titoli quali Ghost In the Shell, troverebbe molte affinità con questo sofferto, anelante e poetico/politico film, quantomeno con la meravigliosa scena in cui, nel film di Folman, il protagonista fa vedere la sua foto da giovane, in guerra, chiedendo ai suoi commilitoni se lo riconoscevano, nessuno riesce a farlo, e non si riconosce neanche lui in quel volto (s)conosciuto, una foto senza appigli, un volto senza memoria, un passato senza “realtà”.
L’uso del rotoscopio ( tracopiare il movimento umano con tratti disegnati da immagini già filmate dal vero) , che già Disney utilizzò per Biancaneve e i sette nani del 1937, e utilizzato recentemente nel cinema americano da quel Richard Linklater già autore di quel meraviglioso film live con Julie Delpy ‘Prima dell’alba’, qui trova un suo uso etico ed appropriato, forse, la sua incarnazione definitiva.
Una scena rimarrà nella storia del cinema:
La scena che il protagonista rivive molte volte ma che non riesce a mettere a fuoco, quasi un sogno:
Tre ragazzi nudi, nel mare, i volti fuori dall’acqua, galleggiano, dalla spiaggia dei bengala, luci abbaglianti che lente scendono dal cielo, come messaggeri divini, delineano il contesto di palazzi devastati e di morte, il Libano, Beirut, una Beirut mai così vicino alla realtà, a dispetto dei telegiornali e i media della cosiddetta informazione, le tre figure, lentamente, ieraticamente camminano verso la costa, verso la spiaggia, si vestono, lentamente, la musica di Max Richter qui, è al suo massimo, i tre camminano per le vie deserte, scontrandosi, improvvisamente ad un incrocio, con una folla di civili, madri, vecchi, bambini, ragazzini che corrono e quasi li travolgono, lentamente, ieraticamente, volti bidimensionali più “espressivi” della realtà.
Qui, il controllo demiurgico dell’animazione è ai suoi massimi, la deformazione dello spazio e del tempo convergono in una etica politico/poetica, in una speranza umana bruciante e disperata.
E poi, la memoria arriva, forse, così anelata e cercata, infine giunta.
La memoria di un paio di minuti con ripresa dal vivo, un massacro, corpi in primo piano, insopportabilmente putrescenti, veri, uno shock visivo senza precedenti dopo il secondo grado di percezione dell’animazione, filmati veri mai trasmessi, dimenticati, ma qui hanno un valore terribile e magnifico di documentazione se non soprattutto di RIVELAZIONE quasi divina.
“Tu hai visto?”.
Davide Tarò