MONSTER

monstercoverfoIl mostro della “nuova” serialità fotorealistica di Madhouse.
L’anno di produzione è stato il 2004/05.
Gli episodi 74.
La casa produttrice fu la prolifica Madhouse, che neanche un anno dopo darà alla luce un altro anime dalla serialità fotorealistica di nome Death Note.
In realtà, già nel 1998/99 la stessa casa, illuminatamente produsse dall’omonimo bellissimo manga (dai disegni di Urasawa ma dal soggetto di Hokusei Katsushika autore che lavorò al manga di Golgo 13 dopo Takao Saito), anche Master Keaton, 39 episodi di rara bellezza e (anche qui) di poco impatto d’azione comunemente intesa.
Monster è tratto dal manga in 18 volumi/tankobon di Naoki Urasawa, il più grande narratore moderno che il Giappone abbia in questo momento, già autore del manga di 20°th century boys, di quello di Master Keaton, Pineapple Army e Yawara! Che gli valsero il premio Shogakukan e Tezuka, oltre quello francese di Angouleme nel 1986, 1995, 2003 e 2004.
La strutturatissima e ricercata trama non perde un colpo, episodio dopo episodio, personaggio dopo personaggio, ognuno facente parte di un tassello ineliminabile ed irrinunciabile dell’universo e della tavolozza delle umane passioni.
La regia è affidata al veterano, incisivo e discreto Masayuki Kojima, già visto al lavoro sulla serie Master Keaton, sulla pellicola Piano no Mori e la serie Abenobashi.
Per accentuare il senso di fuga, di essere braccato in continuo movimento e di tensione, l’intera bella sigla iniziale con la musiche sottilmente penetranti di Kuniaki Haishima, dove si vede il dottor Tenma, che si muove furtivo per molti luoghi, dalla stazione ferroviaria, ad una strada piena di persone, la regia si sposta lentamente da destra a sinistra, per ogni inquadratura.
Il character design si deve a Kitaro Kosaka visto già all’opera su Melanzana un estate andalusa, La città incantata, Princess Mononoke (insieme a Yoshifumi Kondo) e nella serie Master Keaton.
Mai una serie animata era arrivata a tali profondità di soggetto e dipanamamento di varie sottotrame a questi abissali e poetici livelli.
Tutto è curato nell’atmosfera e nei dettagli.
Mai la Repubblica Ceca era stata rappresentata in animazione a questi livelli di dettaglio, e forse, qualcosa in più.
Intendiamoci, una Praga come la si vede in Monster, la si può vivere, sentire, respirare, solo nella magica cittadina stessa, per i suoi viottoli, davanti ai suoi campanili, dentro i suoi pub, nelle sue piazze.
Lo staff della produzione ha raggiunto direttamente l’Europa, per poter rappresentare più vividamente e più credibilmente l’intera trama.
La storia si dipana tra diverse città della Germania e della Cecoslovacchia, carpendone l’essenza della cultura e l’impressione dei luoghi stessi.
La fiaba ceca ‘Il mostro senza nome’, inventata per l’occasione e raccontata da immagini disegnate a carboncino prese da un simil libro per l’infanzia, soprattutto  nella bellissima sigla finale, è la metafora di quello che accade almeno per l’inizio al “mostro” Johan, bellissimo, efebico, dallo sguardo profondo e buono, ma diabolico deus ex machina di quasi tutti gli eventi della storia sino al finale, la bellezza del demonio.
Lo staff ed il regista stesso inoltre, si divertono a citare indirettamente, ricorrendo nello svolgimento della trama in un flashback ad un vecchio cartone ceco, che ricorda come fattura e disegno quel leggendario Krtek di Zdenek Miler, conosciuto internazionalmente come ‘La piccola talpa’, che fu una serie conosciutissima in terra ceca negli anni 70′.
Le musiche sono curate internamente alla diegesi del racconto e dell’anime da un Kuniaki Haishima in piena forma, proveniente già da titoli di serie quali Neoranga, Master Keaton e Blue Gender, con orchestrazioni sublimi e assoli che ben delineano la tensione degli eventi.
La capitale sigla finale si compone di spezzoni dei disegni a carboncino del libro immaginario di fiabe ‘Il mostro senza nome’, le azioni a blocchi all’incirca di una decina di episodi alla volta, procedono, e la storia raccontata della fiaba va avanti con il procedere della serie.
Per la prima metà della serie, la sigla finale intitolata ‘For the love of life’ è cantata da David Sylvain in persona, membro dei Japan, che canta con una voce acutamente roca e tagliente, ricordante per arcane armonie la musica del gruppo musicale più citato dal grande regista americano Michael Mann, i Dead Can Dance.
Una serie da vedere e rivedere, fotorealistica sino all’inverosimile, ma che descrive tramite tratti disegnati ciò che inverosimile lo è davvero.
Una cosa che l’animazione sola può fare.
Descrivere i tratti disegnati insondabili dell’animo umano.
Un mostro che mangiò l’animazione seriale comunemente intesa in un boccone di 74 episodi uno più bello dell’altro.

In Francia, la serie è stata trasmessa in chiaro su Canal Plus con un buon seguito di persone ed un ottimo consenso di critica, in Germania è stata trasmessa dalla rete satellitare dedicata completamente agli anime legata a Sony, come pure in Spagna, manca all’appello ormai solo più l’Italia.

Intervista a Masayuki Kojima e Masao Maruyama producer della Madhouse:
http://www.movieplayer.it/articoli/05078/l-animazione-secondo-madhouse-intervista-a-kojima-e-maruyama/

Davide Tarò
neo(N)eiga

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