BATMAN IL CAVALIERE OSCURO

Regia di Christopher Nolan. – L’articolo contiene rivelazioni, si consiglia di vedere la pellicola prima- “[..] Dark Knight rappresenta ciò che il quasi omonimo Ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller fu vent’anni fa nei comics, portando alla considerazione che dopo questo lungometraggio la concezione che i film tratti dalle ‘Bandes Dessinèes’ non potranno essere più come prima, irrompendo in una tridimensionalità concettuale azzardata ma affascinante”[1]

Uomo corazzato in macchina corazzata.

Ne è passato di tempo dalla Ghotam City gotica e fiabescamente oscura di Tim Burton e dei premi oscar (anno 1990) per la migliore e visionaria scenografia ad Anton Furst e Peter Yong.

Qui le scenografie di Nathan Crowley sono “minimaliste”, nell’onda della normalizzazione della città,  Ghotam e’ una piccola New York con luci inquietanti, fredde, al neon, in un alba brumosa color blu elettrico tendente al grigio, con skylines dei palazzi che si ergono in alto su un cielo di una indifferenza da far venire le lacrime agli occhi, né oscuro, né piovoso, ma uggioso.

Perché sei… cosi serio!!

In questo contesto “normalizzato”, fa davvero impressione un uomo corazzato (cioè costantemente “in guerra” con sé stesso e con il mondo) con un armatura da pipistrello antropomorfa che si aggira per la città, non potendo essere peraltro d’appertutto (anche per la “pesantezza” dell’armamentario), anzi non essendo quasi in nessun posto (dirà un criminale ad un altro: Hai forse paura di quel Batman? E’ più difficile incontrarlo che vincere alla lotteria!) rendendo la città, il tessuto urbano, il vero personaggio assoluto, in assenza di Batman.

Ed è proprio così che inizia la pellicola, in una banca, durante una rapina fatta da strani tipi mascherati da pagliacci che, con il passare dei minuti, continuano ad uccidersi meccanicamente e diabolicamente tra loro, minuto dopo minuto, battuta di sceneggiatura dopo battuta, come in un ‘Aspettando Godot’ di Beckettiana memoria (“Tu dovevi uccidere lui? Ma pensa! A me hanno detto di uccidere te!” Dirà un criminale all’altro suo compagno, che ha appena ucciso uno di loro, mentre gli sta sparando a bruciapelo).

Finchè ne resta solo uno.

Alla fine della rapina, si toglie la maschera di pagliaccio solo per farne vedere un’altra forse più vera, quella imbiancata di un pagliaccio dal trucco colante, e da due ferite sulle guance che disegnano un lugubre sorriso inesistente sul volto, la faccia del Joker.

La sceneggiatura come una trappola congegnata a tempo, ha fatto il suo dovere, era dai tempi dei solidissimi e spietati noir anni ‘40 e ’50, per passare da Torneur e Kubrick, che il film e lo spettatore non rimanevano intrappolati in un contesto angusto e malato, in una sceneggiatura perfetta e “ad orologeria”.

Il caos primordiale forse sempre te(m)nuto nascosto a Ghotam, si è incarnato fatalmente, e proprio come un virus sociale, è pronto a diffondersi.

“Una città oscura come questa ha bisogno di criminali di altro livello, uno come me!!”

” Ci vuole una motivazione più seria che questa cartaccia! A me basta un po’ di benzina e del fuoco! “.

(Dirà il Joker mentre brucia il denaro di una rapina ad un esterefatto criminale che delinqueva essenzialmente per quello)

“Non ha ancora incontrato criminali come questo, non lo si può capire, non si può contrattare con lui,  vuole solo vedere il mondo bruciare”

(Dirà un Alfred a Bruce Wayne mentre osserva dal monitor un fermo immagine del Joker nella bat-caverna, ricordante un solitario hangar smilitarizzato con fredde luci al neon, specchio della solitudine del giovane miliardario)

Apocalisse su Ghotam City.

La storia della progressiva caduta nel caos della città è il vero fulcro della sceneggiatura, dicono Christhoper e Jonathan Nolan, una storia di una città con i suoi abitanti, una esplosione nella follia assoluta, un microcosmo che in effetti rappresenta la nostra società.

Proprio come un Arlecchino proveniente da un altro mondo, arriva a Ghotam City questa dinoccolata figura a cui la perfetta sceneggiatura si guarda bene dal fornirne una origine o una provenienza.

Qualcosa è accennato sull’ “origine” degli squarci sulle guance del Joker, un ricordo lasciato dalle violenze del padre, pare in un primo momento, poi, dopo un po’, quasi ironicamente, un’altra storia viene (probabilmente) inventata sul momento dall’arlecchino riguardante le sue beneamate ferite.

Lui ama raccontare storie senza apparente senso per noi che abbiamo delle ipocrite regole.

In realtà, l’unica cosa “certa” è che non si sa nulla della inquietante figura, né da dove provenga, né come e perché si sia fatto quei tagli e sia diventato quello che è in quel momento, addirittura i vestiti se li è fatti personalmente con ritagli vari da altri già esistenti (di “Arlecchinesca” memoria anche questo), una figura incarnante il caos assoluto proprio perché non proveniente da “questo” mondo, e ad esso non riconducibile neanche per piccoli, minuscoli, impercettibili dettagli.

Il Joker è l’angelo dell’apocalisse di Gotham.

Una figura ammantata di ultraterrenità perché gioca con le “sue” regole, e l’Apocalisse è il disvelamento di una verità:

Che il caos e il caso soggiaciono nell’esistenza umana, e che basta poco per far tramutare l’ordine in disordine, e la cosidetta “giustizia” in caos.

La  giustizia del Caos.

‘Benvenuti in un mondo senza regole’.

Recita il molto azzeccato “strillo” della meravigliosa locandina di un blu elettrico pervasivo quasi accecante, con un Batman sempre più oscuro ed un palazzo in sottofondo devastato nella sua struttura centrale da una esplosione in piena deflagrazione infernale a forma di pipistrello, segno definitivo del caos/caso.

Visione e sceneggiatura dei fratelli Nolan filtrata dal caos assoluto in questa pellicola, un caos perfettamente calcolato ma frutto di una mente alt(r)a, frutto di regole tutte sue, regole del caos a cui tutti devono soggiacere.

Non che in tutta “la poetica” dei fratelli Nolan non ci sia una visione cinematografica filtrata  da qualcosa di ‘patologico’.

“Che sia essenziale la percezione della realtà scenica, del proscenio, di quello che viene messo in campo, visione sempre deformata, deformabile e irreversibilmente compromessa da fattori interni/esterni patologici o procurati al vedente nella filmografia di Christhoper Nolan è più che un legittimo dubbio. Dall’ossessione/pedinamento (Zavattiniano…) di Following, sino alla patologia di memoria/montaggio di Memento, dalla visione attonita e spaesata immersa in un agghiacciante luce e nebbia eterna del sole di mezzanotte della Norvegia, in Insomnia, omonimo remake della bella pellicola di Erik Skjoldbjaerg, alla percezione della visione disturbata dal sentimento pervadente ed invasivo della paura in Batman Begins [..] Invece la visione in questa ultima pellicola mundus dei fratelli Nolan (The Prestige ndr) è filtrata dal prestigio”[2]

Dalla metà della pellicola entra in campo in un improvviso sbocciare in nuovi rami narrativi della sceneggiatura, che non si accontenta più di giocare con i suoi atrezzi a disposizione dall’inizio, ma ne immette sempre di nuovi e perfettamente integrati con la visione di insieme, il procuratore distrettuale Harvey Dent, un uomo tutto d’un pezzo, con una visione quasi commovente della giustizia.

Il “migliore” in assoluto della triade dei “paladini della giustizia di Gotham” da Batman al commissario Gordon, l’unico in effetti (ancora) vergine e pulito, cardine della visione vergine guidata dello spettatore che Nolan voleva dare nel film, la quale lentamente si inabissa e diventa “consapevole”, una visione solenne e serena, né giusta né sbagliata, che sappia sopportarne la pena.

Una visione che non tutti riescono a sopportare, non certamente Harvey per esempio, il preferito, l’eletto dal destino, bel volto, ricco, solidi principi e moralità, come si nota dalla sceneggiatura, che però diventa il mostro criminale guidato dal caso ‘Due Facce’, il  simulacro stesso di tutto il messaggio (se mai ce ne fosse uno univoco) del film, metà faccia devastata dal fuoco, quella metà faccia che comincerà a fargli vedere un’altra visione di mondo, di caos e caso, di sofferenza, testa o croce, la monetina decide se qualcuno muore, quella stessa moneta portafortuna che quando tutto arrideva era ‘truccata’ per vincere sempre, “Te la crei la fortuna tu” gli verrà detto più volte, ma è un inganno di quando le cose vanno bene, quando tutto precipita non si può ‘creare’ proprio niente, si può solo sopportare, e pochi vi riescono senza crollare.

Batman/Bruce Wayne riesce a sopportare la pena, la visione.

Era già oscuro in partenza in fondo, un dannato, un deviato di suo, come fa notare Lo spaventapasseri all’inizio pellicola, un uomo/simulacro che non vuole sapere quale sono i suoi limiti, che in questa pellicola gli verranno ovviamente serviti su un piatto d’argento dal Joker, ci sbatterà contro, “Dovrai superare i tuoi limiti stasera grand’uomo!” gli urla il Joker mentre viene pestato a sangue dal cavaliere oscuro nella camera degli interrogatori mai stata così dark con neon fluorescenti che si accendono improvvisamente dalla oscurità più assoluta, rivelando la silhouette di Batman che è stato appollaiato non visto dietro il Joker per tutto l’interrogatorio condotto dal commissario Gordon, una sequenza da antologia del film.

La gente merita più della verità, merita la speranza.

Altro elemento chiave di questa sceneggiatura, la verità non è davvero importante, è un simulacro, un avvenimento come tanti altri nel caos dell’esistenza, e può succedere per il bene intero di una città, che Batman si prenda la colpa di uccisioni non fatte da lui diventando nemico pubblico numero uno, per preservare la memoria del procuratore distrettuale Harvey Dent, cosicchè la lotta al crimine possa continuare anche e soprattutto grazie alle istituzioni, e non a “devianze mascherate” come l’uomo pipistrello.

Nello stesso tempo la meravigliosamente simmetrica sceneggiatura ci mostra come la verità venga negata anche a Batman, e non solo da Batman, ad opera del misericordioso Alfred che preferisce bruciare la lettera in cui la sua amata amica d’infanzia prima di morire, dichiarava il suo amore e la volontà di sposare Harvey e non il solitario miliardario Bruce.

Tutti quelli che negano la verità in questa pellicola si assumono il peso e la pena di preservarla dentro loro stessi senza farla conoscere, a chi viene negata, fiorisce qualcos’altro, dalla benedetta ignoranza  può nascere la speranza.

“Perché lo inseguono? Non ha fatto nulla” domanderà il figlio del commissario Gordon, gli verrà risposto “Perché lui è l’unico che può sopportarlo”

“Batman non è quello di cui ha bisogno ora Ghotam, però questa città lo merita. E’ un guardiano, è un Cavaliere Oscuro”.

Ecco la sceneggiatura si ferma qua, il film pure, con la perfetta quadratura del cerchio, uno studio antropologico/audio visivo di 152 minuti sull’omonimo titolo della pellicola.

Le musiche di Hans Zimmer e James Newton Howard sono prettamente orchestrali, un ensemble indivisibile, la storia melodica e corale dell’inplacabile caduta di una città e dei suoi abitanti, e di figure ultratterrene che come messaggeri divini scendono da noi, questo sembra il senso generale degli accordi come al solito corretti con amabile tecnica.

La pellicola rimane nn capolavoro di rara consistenza oscura come non se ne vedevano da tempo, una energia e fulgida immanente idea di cinema che può ricordare (non a torto) il miglior Michael Mann, con la differenza di un “divertimento” in più nel rendere vive e vivide con un invidiabile realismo magico delle icone dei comics americani della Dc comics.

La materia di cui è fatta la metastasi del cinema: il totale rapimento delle emozioni dello spettatore con mezzi di rara calibratura e di sapiente intreccio, insieme alla “meraviglia”.

Il resto lo fanno il cuore, la passione e la competenza.

Un blockbuster con anima da noir/ polar anni ’40 ’50.

Nessuna bobina sprecata.

Da studiare, per chi ha un cuore, il cinema dentro e (soprattutto) anima.

Davide Tarò.


[1] ‘Will Kane’ in  www.film.tv.it/opinioni.php/film/37969/the-dark-knight/

[2] Davide Tarò in ‘The Prestige, ovvero del sacrificio del cinema di Meliés’, in La Linea Dell’Occhio n° 57, pag 14, Primavera 2007, Circolo Del Cinema di Lucca.

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