KEN IL GUERRIERO, LA LEGGENDA DI HOKUTO

Di Takahiro Imamura.

Il termine ‘Nekketsu’ (sangue ribollente) non è mai stato così appropriato come dentro questa pellicola, Ken fa letteralmente evaporare l’acqua attorno a lui quando passa in modo furioso”1

Venticinque anni fa, sulla storica rivista di manga per ragazzi (in giapponese ‘shonen’, tanto da indicare un genere eponimo il cui massimo esponente fu Ashita no Joe/Rocky Joe di Tetsuya Chiba degli anni ‘60 ) Shonen Jump edito dalla Shueisha, prendeva il via la serializzazione di un manga particolare, scritto e ideato da Yoshiyuki Okamura, in arte conosciuto con lo “scherzoso” nome di Buronson, translitterazione giapponese del nome del famoso attore Charles, per la somiglianza con la faccia di marmo di quest’ultimo.

Di “scherzoso” in effetti, nelle sue opere, Buronson/Okamura non ha ma avuto nulla, dal suo capolavoro manga Sanctuary (edito dalla Star Comics in Italia) disegnato da un Ryoki Ikegami in stato di grazia, sulla storia dell’ascesa del moderno ricco opulento ed ingiusto Giappone fatto di immigrati coreani capi di potenti cosche mafiose yakuza, che hanno un patto di sangue reciproco alle spalle:

Raggiungere il “Santuario” del potere, per evitare nuovamente che orfani di guerra (voluta dal Giappone) immigrati dalla devastata Corea come furono loro in passato, possano patire la fame e fare la loro fine.

Hokuto No Ken, Ken di Hokuto, disegnato da un Tetsuo Hara, che diventa con il passare delle tavole disegnate, sempre più bravo raggiungendo l’apoteosi con l’arrivo di Kenshiro alla città di Cassandra, il titolo del paragrafo era ‘Dormi nel tuo sepolcro di lacrime’, fu un manga generazionale, l’edizione italiana si è avuta grazie alla Granata Press nel 1991 e grazie alla Star Comics in anni più recenti, sino ad arrivare alla recentissima Dbooks di Marostica.

La storia, post-atomica, riguarda il declino e l’abissale imbarbarimento della civiltà regredita alla pura sopravvivenza del più forte, grandissimo spunto lo diedero, per stessa ammissione dell’autore, i primi due capitoli (soprattutto il 2°) della saga dell’australiano George Miller, ‘Mad Max’ (o Interceptor il Italia), sia come “costumi” e “fashion”, sia come scenografie e visual concept delle brulle lande devastate.

Ad aggiungersi però, amalgamandosi alla perfezione in una singolare koinè di colpi antichi e tramandati da dimenticate scuole e una guerra post atomica, era la straziante storia di millenni di scuole di arti marziali e di patriarcali doveri e eredità, di famiglie pronte al sacrificio per far arrivare una nuova era di pace e redenzione, dove però tutto questo richiedeva sacrificio e sangue, una incrollabile fede nell’amicizia, ed una forza interiore invidiabile, forgiata dalle innumerevoli perdite di persone care.

Trasformare le lacrime in sorrisi, e la disperazione in forza.

Questo rappresenta (suo malgrado) il giovane Kenshiro, l’ultimo esponente della millenaria scuola di Hokuto, con i suoi fratelli Toki e Raoul.

La pellicola, prima parte leggibile praticamente a sé, di una nuova saga fatta per riforgiare gli elementi del mito, parte come trilogia cinematografica e successivamente, con l’aggiunta di due capitoli fatti in Oav (original anime video, cioè anime fatti appositamente per l’home video) raggiungerà la conclusione.

I primi due capitoli saranno dedicati a Raoul (L’era di Raoul 1 e 2) e sono stati già realizzati, il terzo sarà dedicato interamente a Kenshiro (La Leggenda di Ken) e attualmente in produzione, mentre i due Oav saranno dedicati rispettivamente a Julia (La leggenda di Julia) e Toki (La leggenda di Toki).

Questo film uscito in Giappone nel 2006, recitava il titolo originale di Shin Kyuseishu Densetsu- Hokuto no ken -Raoh den Junai no sho, ovvero tralasciando la prima parte che approssimativamente vuol dire La leggenda del nuovo/vero salvatore Ken di Hokuto, la seconda verrebbe tradotta come: L’era di Raoh (o Raoul in Italia) prendendo, rimaneggiandola, la storia del manga/anime sino agli avvenimenti che vedono protagonista l’autoproclamatosi imperatore Sauzer della sacra scuola di Nanto.

Il primo capitolo è dedicato a Raoul (e non a Ken come farebbe pensare la locandina), quindi la storia è stata rimaneggiata cronologicamente nella forma in modo da rendere “chiare” le motivazioni del fratello maggiore di Kenshiro, perché cioè ha fatto della sua vita una ricerca spasmodica del potere assoluto, perché è diventato tanto regalmente spaventoso e solo.

Nessun riferimento, per ora, agli avvenimenti cronologicamente antecedenti della storia, come Shin di nanto, sfortunato rivale in amore di Kenshiro, le origini delle sette stelle che il guerriero di Hokuto reca incise sul petto, e Julia, fonte di amore incontrollato per (quasi) tutti i guerrieri di Nanto e Hokuto (compreso Raoul stesso).

La figura femminile che però è comparsa in questa prima parte cinematografica è Reina, personaggio assolutamente inedito nel manga e nell’anime, creato in esclusiva per la pellicola dalla matita e dagli schizzi del bravo Tsukasa Hojo, mangaka famoso soprattutto per Cat’s Eye e il bellissimo City Hunter (tutti editi in Italia dall’editore perugino Star Comics).

I suoi volti e silohuettes femminili hanno fatto storia, e Reina non fa eccezione, la bellezza mascolina si mischia ad un chè di decisione assoluta ma di femminile affascinante maternità, rendendo il personaggio interessante e non un mero “tappabuchi”, inoltre nella sceneggiatura della pellicola si fregia di un ruolo importantissimo, perché sarà proprio lei, in qualche modo, ad unire simbolicamente i tre fratelli “dispersi” di Hokuto, Ken, Raoul e Toki contro Sauzer, ormai chiara minaccia per chiunque altro voglia ergersi al potere.

Reina, delle guardie personali dell’armata di Raoul, ha un rapporto particolare con il re di Hokuto, lo conosce sin dall’infanzia, quando entrambi, profughi provenienti dalla martoriata isola dei demoni (comparsa nella seconda serie dell’anime e molto più avanti nel manga), e disperati per le disperate condizioni di assoluto imbarbarimento divenuto regime della loro terra natia, la ancora bimba Reina in lacrime riesce a strappare ad un giovanissimo, meravigliosamente ancora insicuro e irriconoscibile Raoul la promessa di diventare potente ed invincibile per liberare l’isola in un futuro non troppo lontano.

Il cerchio si chiude sulla prima pellicola quindi, la storia per un illuminante momento fa un salto indietro decisivo di molti anni, dandoci un assaggio di dove arriva davvero Raoul ( cosa che nel manga e nell’anime si scopriva dopo la sua morte), qui la sceneggiatura, molto sapientemente, ci mette a parte già da subito del “segreto”, rendendolo la motivazione portante del tormentoso Re di Hokuto, ed è giusto, il primo capitolo infatti è dedicato interamente alla sua figura ed agli avvenimenti della storia che strettamente lo riguardano.

Le motivazioni a combattere di Ken, invece, sono assai diverse dal fratello, innanzitutto il discendente di Hokuto è un “ospite” in questa pellicola, un ospite di tutto riguarda ma pur sempre ospite, e la sua storia si confonde inestricabilmente con Shu, il guerriero di Nanto guidato dalla stella della benevolenza votata al sacrificio, infatti accecatosi di sua spontanea volontà anni prima proprio per salvare quel ragazzino (Ken stesso) che aveva ai suoi occhi un’aurea così splendente da “salvatore”.

Ora Shu combatte disperatamente e solo con le truppe imperiali di Sauzer, perché vuole salvare le miriadi di bambini usati dall’auto proclamatosi imperatore per costruire la sua piramide/santuario.

Il senso di colpa e di debito nei confronti di Shu e l’odio per le ingiustizie perpetrate ai danni di orfani indifesi porteranno Ken a combattere direttamente con Sauzer, senza un apparente motivo di doveri famigliari (Toki e Raoul) né tantomeno di scuole millenarie (Nanto contro Hokuto), rendendo ancora più affascinante lo scontro voluto dal fato più grande di loro, ma di cui i protagonisti sono all’oscuro.

E’ capitale vedere l’inizio della pellicola, ambientata nel passato, in un torneo voluto da Nanto e Hokuto, dove un ancora giovanissimo Ken vi partecipa, ad osservarlo i suoi fratelli Raoul e Toki, dall’altro lato della scuola avversaria, due giovanissimi Sauzer e Shu.

Ken perde, e le regole sono chiare, chi perde muore, ma Shu, vedendo nel ragazzo qualcosa di speciale per il mondo, decide di dare in cambio i suoi occhi e la sua vista in cambio della vita del perdente sconosciuto.

La regia è profondamente cinematografica in questi primi minuti di pellicola, tanto che ci dimentichiamo di vedere un film tratto da un manga e da una serie anime, le inquadrature fluiscono libere di narrare gli avvenimenti, prendendosi il giusto tempo che crea il mito, l’epopea, il ritmo epico.

Alcune sequenze ricordano come potenza visiva il miglior Chang Cheh, soprattutto negli schiaffi visivi ravvicinati degli enormi e ieratici volti delle statue che si crepano colpo dopo colpo per poi distruggersi, metafora di quello che accade ai contendenti, colpi terribili sferrati nei costati, con sangue che lentamente cola, inquadrature sapientemente montate ed effetti sonori di tuoni e di temporale e pioggia in sottofondo/fuori campo danno il senso dell’epica metafisica dello scontro fisico e dell’ineluttabilità del destino.

Il regista Takahiro Imamura, reduce dalla regia dell’ottavo capitolo cinematografico di One Piece (in Italia la serie è nota come One Piece All’arrembaggio!!), riesce a dare continuità ritornando alle origini, rinarrandole e soprattutto lasciando intatto il Mito di Ken.

L’angolatura delle inquadrature che vengono usate, soprattutto, per lo scontro tra Sauzer e Ken sono pressochè riprese dagli episodi della bella serie anime del 1986, diretta principalmente da Toyoo Ashida, Hiromichi Matano, Hideo Watanabe e Masahisa Ishida, forse anche a ragione, è duro, difficile, diffficilissimo smantellare le visioni iconiche delle migliaia di spettatori che hanno visto innumerevoli volte la saga, pure e soprattutto quelli italiani, che dalla prima visione assoluta Italiana della mai troppo lodata Odeon Tv nel 1987/88 per andare in repliche infinite su altri network quali Junior Tv e Italia 7 hanno avuto modo di (ri)vedere infinite volte il guerriero dell’orsa maggiore.

Ma se la regia segue questo percorso che non per forza significa copiatura o acritico appiattimento su cose già fatte, la nota dolente sta nell’apparato musicale, che non riesce e non si pone neppure di essere allo stesso livello dell’anime.

Le musiche del 1986 di Katsuhisa Hattori e Nozomu Aoki sono state capitali per un certo modo di fare e concepire le musiche negli anime, insieme a titoli del passato quali Lady Oscar (Versailles No Bara) , Rocky Joe (Ashita No Joe) e la prima serie di Lupin III (Rupan Sansei) Lamù (Uruseyatsura) e City Hunter, per arrivare a classici moderni quali Cowboy Bebop, Neon Genesis Evangelion , Serial Experiments Lain con l’era di Yoko Kanno e degli altri grandissimi musicisti a tutto tondo, che hanno valorizzato la diversità e la profondità delle composizioni.

‘Silent Fighter’, ‘I kill the fight’, ‘Dry yours tears’ e soprattutto ‘You wa shock’ elettrizzante sigla metal giapponese di apertura della serie per ben 109 episodi, fecero la storia delle musiche per gli anime, quest’ultima poi ripresa nella pellicola in una versione totalmente rifatta sotto acido lisergico si sente (solo) per un paio di minuti in una scena movimentata dove Ken è protagonista assoluto, messa con chiari intenti nostalgici, ma anche di ferma volontà di ricongiungersi a tutto ciò che ricorda il mito.

Le musiche di questa pellicola sono curate da Yuji Kajiura che arriva da pregevolissimi lavori soprattutto per l’aprezzatissima serie Noir, poi per le musiche più ordinarie della serie Hack//SIGN e My Hime.

Le musiche e le sonorità sono in massima parte “silenti” nella pellicola, cioè sono presenti ma descrivono ed ampliano quello che si dovrebbe percepire e sentire nelle inquadrature, compito questo che svolgono alla perfezione, non riescono a raggiungere però un supposto climax, un auspicabile apice, non c’è un solo momento in cui lo spettatore venga trascinato veramente dalla musica, a parte quello della fugace apparizione sonora di ‘You Wa Shock’ rifatta, e in un film di Ken, questo è un sensibile svantaggio, per non parlare della canzone pseudo pop che compare nei titoli finali, assolutamente dannosa più che inutile.

Il character design è stato curato dal veterano Shingo Araki, grande vecchio a cui si devono i tratti di Lady Oscar (Versailles no Bara), e dei migliori episodi dei Cavalieri dello Zodiaco (Saint Seya), e si vede, i tratti magnificamente e rozzamente nerboruti di Masami Suda, diventano quasi venticinque anni dopo quelli “finemente mascolini” di Araki, impreziositi da una nota di barbarie in più presi da Hisashi Kagawa già visto al lavoro sull’anime Lei L’arma finale e soprattutto di Chiharu Sato visto su Zombie Loan.

Cosa dire allora di questa operazione e di questa opera?

Il giudizio rimane positivo sull’insieme e l’impressione finale del risultato.

Dà da pensare soltanto la versione director’s cut realizzata esclusivamente in dvd per il Giappone per la soddisfazione degli autori e del regista con aggiunta di diverse scene in più chiarificatrici e con un montaggio diverso dalla prima proiezione cinematografica in patria, in Italia ed in Europa abbiamo potuto beneficiare del passaggio cinematografico del director’s cut, ma ci si può chidere perché non si sia approfondito un po’ di più come meritava il personaggio di Sauzer, nel manga e nell’anime era un povero orfano anch’egli rimasto traumatizzato dalla morte del maestro a cui volle troppo bene come e di più di un padre (tanto da voler ergere la piramide funebre proprio a lui), da quel giorno il ragazzo cercò di uccidere la compassione e l’amore dentro il suo cuore, perché quest’ultimo fa soffire indicibilmente ed uccide le persone più della violenza e dei soprusi.

Di tutto questo, nella pellicola è rimasta solo una frase sibillina che Sauzer dice prima di morire : “L’amore uccide”.

Ma non basta, il personaggio non ne è valorizzato.

L’animazione è sufficentemente fluida, non a livelli cinematografici ai quali il giappone ci ha abitutati, tutto ad opera della North Star Pictures nata ad hoc per il progetto e la Tms Entertainment, nulla a che fare, per esempio, col a suo modo riuscitissimo e bel lungometraggio del 1986 diretto da Toyoo Ashida (lo stesso regista dell’anime) dedicato a Ken prodotto dalla Toei Animation ed arrivato anche da noi in vhs a metà anni 90′ sotto la Granata Press prima e Dynamic Italia dopo.

Anche le musiche della Kodomo Band, e i brani ‘Heart Of Madness’ ed il pezzo finale strappacuore ‘Purple Eyes’ fanno rimpiangere quei tempi e quelle persone coinvolte dell’epoca.

Altri tempi destinati a non tornare?

Davide Tarò di neo(N)eiga.

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1 Matthieu Pinon, ‘Hokuto no Ken, des larmes, du sang et de la sueur’ in Animeland n°141, Maggio 2008, pag 22, Anime Manga Presse.

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