Il programma di maggio del Cinema Trevi

2 maggio-1 giugno Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano
4 maggio (In)visibile italiano: Gli ultimi fuochi della contestazione
6-11 maggio Tekfestival. Ai confini del mondo…dentro l’Occidente
7^ edizione Festival Internazionale di Cinema Indipendente
18 maggio Carta bianca a… Goffredo Fofi
24-25 maggio (In)visibile italiano: Quando la coppia scoppia: lui, lei e il ’68
27 maggio-1 giugno Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica
27 maggio Presentazione del volume Sergio Citti. Lo “straniero” del cinema italiano
28 maggio Presentazione del documentario L’isola delle rose, la tragedia di un paradiso
30 maggio Presentazione del film Una vita migliore
31 maggio Ricordando Alida Valli

giovedì 1

chiuso

2 maggio-1 giugno

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

Il protagonista di La macchina ammazzacattivi di Roberto Rossellini, interpretato da uno straordinario Eduardo de Filippo, riceve in dono dal santo protettore del paese un apparecchio fotografico fatato, che consente, riprendendone l’immagine, di far letteralmente “sparire” dalla circolazione tutti i “cattivi”. Il protagonista del suo film, inizialmente certo della propria buona fede e del proprio buon diritto a ripulire il piccolo mondo della sua quotidianità, si ritrova progressivamente divorato dai dubbi fino a scoprire che la “macchina ammazzacattivi” è in realtà uno strumento diabolico messogli in mano da Satana in persona camuffato da santo protettore.

Con la consueta immediatezza di un cinema capace di “mostrare” ancor prima che di “dimostrare”, Roberto Rossellini mette in evidenza i rischi, cui molti all’epoca (siamo nel 1948) indulgevano, della compilazione di liste ideologiche dei buoni e dei cattivi. Per Rossellini infatti – e la sua resta forse una delle più nette condanne del terrorismo – si rivela impossibile trasferire nel sociale una spinta etica individuale se questa non viene condivisa, perché senza questa morale dialogata la delega all’azione che il singolo si attribuisce è condannata allo scacco dal proprio stesso orgoglio.

Anche se il film non fa alcun riferimento esplicito al terrorismo, ne ritroviamo dunque delineate alcune delle figure centrali come la dialettica tra “azione e pentimento”, il mito dell’atto definitivo, il narcisismo dell’assunzione di responsabilità globale, il pentimento come lavacro purificatore, la confessione ed, eventualmente, il tradimento.

Queste figure del terrorismo possono essere rintracciate non soltanto ripercorrendo le cronache giornalistiche e le analisi sociologiche sul mondo contemporaneo, ma emergono con stupefacente immediatezza nelle pagine della letteratura e sullo schermo cinematografico, fino a costruire una sorta di percorso strettamente parallelo al reale: da L’agente segreto e Con gli occhi dell’occidente di Conrad al Dinamitardo di Stevenson; da L’uomo che fu giovedì di Chesterton a La cospirazione di Nizan; da classici del thriller come La tamburina di Le Carrè, Il martello dell’Eden di Follett, fino a cineasti come Ford (Il traditore), Reed (Il fuggiasco), Godard (La cinese), Chabrol (Nada).

L’universo narrativo ci consente di risalire, oltre le contingenze politiche, alle radici antropologiche e metafisiche di uno dei fenomeni più tragicamente consustanziali alla modernità: il disperato conflitto tra il soggetto e il mondo, quando, come dice Holderlin, «la rivolta grida alla mezzanotte la sua angoscia». Se pure infatti il terrorismo si accentua grazie alla progressiva portabilità degli strumenti di guerra, resa possibile dal miniaturizzarsi della tecnologia tipico nuovo millennio, i drammatici echi periodicamente amplificati dalle cronache, sembrano, ogni volta, rinviare al gesto gratuito di Raskolnikov narrato da Dostoevskij in Delitto e castigo.

Si tratta dunque ora di tentare uno sguardo sui nostri anni di piombo, spesso così opachi all’analisi diretta, utilizzandone la visione riflessa nel cinema italiano. Il percorso idealmente aperto da Rossellini continua con due “incunaboli”: Il terrorista di De Bosio e Colpo di stato di Salce messi in selezione pur trattando, soprattutto il primo, di epoche storiche differenti, perché è la prima volta che nel cinema italiano ricorrono due “lemmi” chiave: “terrorismo” e “colpo di stato”, per l’appunto. Senza ripercorrere interamente il lungo viaggio del cinema italiano dentro e ai margini del terrorismo – perché una riflessione compiuta potrà essere fatta solo rivedendo i titoli in programma – è comunque interessante anticipare alcune considerazioni: quello italiano è probabilmente il cinema che si confronta più a fondo con il terrorismo, con cui si misurano registi di “poliziotteschi” come Tarantini e Martino, e i due autori per eccellenza della nouvelle vague italiana: Bertolucci e Bellocchio; “mostri” della commedia come Risi, Comencini, Salce, Lina Wertmüller, e classici come Visconti e Fellini; gli esponenti della stagione del cinema civile come Rosi, Petri e Damiani e gli esordienti degli anni di piombo come Amelio e Giordana; i “nazionalpopolari” come Lizzani, gli outsiders come Squitieri, e molti tra i più interessanti giovani cineasti. Il cinema italiano reagisce alle bombe e agli attentati praticamente in diretta, prima, negli anni Settanta, “annusando il clima”, ma anche dando corpo a sentimenti di insicurezza diffusi attraverso la politicizzazione della figura del “serial killer” in alcuni “poliziotteschi”; mentre dopo il delitto Moro un cinema d’autore inizierà a confrontarsi più direttamente con le motivazioni del terrorismo, delineando situazioni e personaggi complessi che attraversano in modo ramificato la società italiana: il rapporto padre-figli (Risi, Bertolucci, Amelio), ma anche Buongiorno, notte di Bellocchio suggerisce, nella sua complessità, anche questa chiave di lettura, e già nel Diavolo in corpo la protagonista ha il padre ammazzato dalle BR e il fidanzato brigatista pentito; gli insospettabili intrecci interpersonali (Maledetti vi amerò di Giordana, Segreti segreti di Giuseppe Bertolucci) e addirittura familiari (Tre fratelli di Rosi). In controcanto, quasi per dirla in termini cinematografici, in una specie di “sottogenere”, serpeggiano i temi delle trame di stato, dei poteri occulti, di “manine e manone”. Ma è soprattutto attorno al delitto Moro che continua a germinare una produzione sempre più intensa di “narrazioni”, di “storie” che tentano letture e interpretazioni per raccontare un evento ancora troppo recente per sedimentare definitivamente in “storia”. Mentre i giovani cineasti si pongono ormai i problemi del “dopo”: tra cronaca di un passato che non passa – le carceri, i pentiti, le vittime segnate nel corpo e nell’anima, i “reduci” (come nei film di Wilma Labate, Rosaria Polizzi, Cristina Comencini, Mimmo Calopresti, ecc.) e tentativo di rifarne la storia (da La meglio gioventù a Mio fratello è figlio unico, a Guido che sfidò le Brigate Rosse).

La stessa attenzione ai temi del terrorismo è riconoscibile nella produzione letteraria italiana degli ultimi anni – ed è per questo che abbiamo cercato in parallelo con i cineasti un confronto anche con scrittori e saggisti, da Guido Crainz a Vincenzo Cerami, da Francesca d’Aloja a Giancarlo De Cataldo, da Marcello Fois a Gabriele Marconi, a Giovanni Bianconi. Esattamente come al cinema, nelle pagine scritte ritroviamo una presenza costante di questo lato oscuro della storia e della vita recenti della nostra comunità nazionale, che di volta in volta assume i tratti del noir classico, del saggio inchiesta (come in Giovanni Bianconi che ricostruisce i “giorni di Moro” nei più minuti dettagli), del ritratto generazionale, attraversando borgate romane, quartieri alti, carceri, faubourgs parigini, giungle sandiniste, questure, palazzi felpati e piazze gridate, che vanno a comporre – cinema e letteratura insieme – un grande romanzo italiano dove si specchia la nostra identità.

Sergio Toffetti

Retrospettiva a cura di Sergio Toffetti, Domenico Monetti, Luca Pallanch

venerdì 2

ore 17.00

Caro papà (1979)

Regia: Dino Risi; soggetto e sceneggiatura: Bernardino Zapponi, Marco Risi, D. Risi; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Manuel De Sica; montaggio: Alberto Galletti; interpreti: Vittorio Gassman, Aurore Clément, Julien Guiomar, Andrée Lachapelle, Stefano Madia, Pietro Tordi; origine: Italia/Francia/Canada; produzione: Dean Film, AMLF, Société Les Film Prospect; durata 109′

Conflitto generazionale tra Stefano Madia e Vittorio Gassman, padre modello passato con ben troppa disinvoltura dalla resistenza al capitalismo industriale. Risi inocula il dramma nell’alveo ottundente della commedia all’italiana, e proprio per questo il suo film colpisce con una forza imprevista e risulta ancor oggi cinico e sorprendente. «Nella storia del difficile rapporto padre-figlio in cui s’innesta il tema del terrorismo, vi è l’evidente adombrarsi del clamoroso caso del ministro democristiano Carlo Donat Cattin, il cui figlio Marco si scoprì essere membro del gruppo di Prima Linea e responsabile dell’omicidio Alessandrini. Poi, sparsi, si ritrovano riferimenti e allusioni a certi rapporti intercorrenti tra governo, politica padronale e affari dubbi (dopo l’attentato, vengono fatti i nomi di Andreotti, Agnelli e Sindona che da New York manda un mazzo di fiori)» (Guastella).

ore 19.00

Prova d’orchestra (1979)

Regia: Federico Fellini; soggetto: F. Fellini; sceneggiatura: F. Fellini, Brunello Rondi; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Carlo Savina, Nino Rota; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Balduin Baas, Francesco Aluigi, Ronaldino Bonacchi, Claudio Ciocca, Clara Colosimo, Elisabeth Labi; origine: Germania-Italia; produzione: Rai, Daimo Roma, Albatros Monaco; durata: 72′

«Con questo film Fellini realizza la sua opera forse più politica, mettendo in scena una situazione tanto elementare quanto carica di simbolismi: un’orchestra riunita in un antico oratorio per la prova di un concerto sinfonico si ribella all’autoritario direttore tedesco. Nel luogo si diffonde l’anarchia, che culmina in una specie di esplosione provocata da una palla d’acciaio che abbatte il muro e provoca la morte dell’arpista. Sbigottiti, gli orchestrali riprendono la prova tra le macerie, rispondendo agli ordini sempre più dittatoriali del direttore. L’allegoria della società italiana è quanto mai chiara. Intento del regista é di comunicare allo spettatore «una sorta di sgomento e di commozione, di vergogna, l’angoscia del terrore quotidiano» (Micciché); quel “terrore” che nel film aleggia tra le parole, i rumori, i suoni. Eppure, aldilà di qualche generico slogan (“orchestra, terrore, a morte il direttore!”), la violenza non si indirizzerà mai apertamente contro l’Autorità, ma si diffonderà tra i musicisti sotto la forma di un’anarchia autodistruttiva. Da quale “parte” sta Fellini? Certo non da quella dei terroristi, per i quali, con atteggiamento forcaiolo, chiese all’epoca pubblicamente la corte marziale; ma neanche dalla parte dell’Ordine sancito e fatto rispettare da quell’esile figurina di direttore d’orchestra» (Uva).

ore 21.00

Senza parole (ep. de I nuovi mostri, 1977)

Regia: Dino Risi, soggetto e sceneggiatura: Age & Scarpelli; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Alberto Gallitti; interpreti: Ornella Muti, Yorgo Voyagis; origine: Italia; produzione: Dean Film; durata: 4′

Sotto le note suadenti di Ti amo di Umberto Tozzi si consuma il rito di seduzione di uno straniero muto e senza nome (Voyagis) ai danni di una giovane e bella hostess italiana (Muti), che diventa così complice involontaria di un attentato terroristico. Dino Risi, che dei 14 episodi che compongono I nuovi mostri firma anche Con i saluti degli amici, Tantum ergo, Pornodiva, Mammina mammona, conferma dopo Mordi e fuggi la sua attenzione ai temi del terrorismo, ulteriormente ribadita, di lì a un paio d’anni, dall’aspro conflitto generazionale messo in scena nell’impietoso Caro papà.

a seguire

Maledetti, vi amerò (1980)

Regia: Marco Tullio Giordana; soggetto e sceneggiatura: Vincenzo Caretti, M.T. Giordana; fotografia: Giuseppe Pinori; montaggio: Sergio Nuti; interpreti: Flavio Bucci, Biagio Pelligra, Micaela Pignatelli, Agnès de Nobecourt, Franco Bizzoccoli, Massimo Jacoboni; origine: Italia; produzione: Cooperativa Jean Vigo per Film Alpha e Rai; durata: 85′

«[In Maledetti vi amerò] quel che colpisce è la freschezza di sguardo, ma anche l’impietosità, l’ironia, il sarcasmo con cui il regista riesce ad inquadrare la caduta degli ideali del ’68 e il terreno sociale, politico, antropologico in cui nasce e matura l’esperienza della lotta armata. La vicenda personale di Riccardo detto “Svitol”, un ex contestatore tornato a Milano dopo cinque anni di assenza trascorsi in Sud America perché convinto di essere ricercato dalla polizia, è quella di un’intera generazione uscita destabilizzata dagli anni di piombo. Gli occhi di “Svitol” registrano una realtà di cui non riesce a capacitarsi: tutto è diverso rispetto a quando è partito, a cominciare dai suoi ex compagni che, o si sono integrati nel Sistema, oppure hanno ceduto alla droga e alla depressione (“Ha ucciso più compagni la depressione che la repressione” dice uno di loro). La deriva ideologica ed esistenziale di una generazione che già nel ’78 […] prende corpo nel paesaggio di macerie materiali e morali in cui si aggira, come un fantasma tornato sulla terra, il Riccardo di Flavio Bucci» (Uva).

sabato 3

ore 17.00

Tre fratelli (1981)

Regia: Francesco Rosi; soggetto e sceneggiatura: T. Guerra, F. Rosi, dal racconto Tretij Syn di Andrej Platonov; fotografia: Pasqualino De Santis; musica: Piero Piccioni; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Philippe Noiret, Michele Placido, Vittorio Mezzogiorno, Charles Vanel, Andréa Ferréol, Maddalena Crippa; origine: Francia-Italia; produzione: Iter Film, Gaumont; durata: 113′

«L’opera di Rosi è un film sulla memoria nel quale si incrociano, grazie all’uso del flashback, le vicende emblematiche di tre fratelli emigrati che tornano nel natio paesino del meridione in occasione della scomparsa della madre. Sullo sfondo del tema della morte della società contadina, si sviluppa un lucido confronto dialettico sulla questione del terrorismo e sulla sua matrice. Il contrasto più animato è quello tra Raffaele – il giudice che teme di essere nel mirino dei brigatisti, secondo il quale “il terrore è proprio quello che dice di essere: la sostituzione della persuasione con la paura” – e Nicola, operaio a Torino. Quest’ultimo, pur disapprovando il terrorismo, finisce per giustificare l’uso della violenza nella lotta politica, mentre l’uomo della legge gli ricorda che è proprio da lì che tanti giovani hanno cominciato la carriera delle armi, con ciò rimarcando la necessità di una ferma opposizione, senza più ambiguità e comprensioni, a chi tenti di introdurre la violenza nelle fabbriche. Il film costituisce dunque l’occasione per far esprimere al suo regista il totale rifiuto verso qualsiasi posizione del tipo “né con lo Stato, né con le BR” e per riaffermare invece la necessità di stroncare definitivamente la lotta armata attraverso l’unità di tutto il Paese» (Uva).

ore 19.00

La festa perduta (1981)

Regia: Pier Giuseppe Murgia; soggetto: Domenico Aleotti; sceneggiatura: D. Aleotti, P. G. Murgia; fotografia: Giuseppe Pinori; musica: Gregorio Cosentino; montaggio: Claudio Cutry; interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Cristina Donadio, Mara Nocilia, Stefano Raffi, Giancarlo Sulis, Remo Remotti; origine: Italia; produzione: Cooperativa Jean Vigo; durata: 85′

«Storia dei destini incrociati di quattro giovani che condividono il drammatico passaggio dalla contestazione alla scelta delle armi» (Uva). Come scrisse Enzo Natta, pur nei suoi limiti, «non si può disconoscere che [il film] abbia dalla sua un’attenzione sofferta al problema del terrorismo rosso, una partecipazione dolente e sincera ai fatti narrati, un calarsi nella propria realtà sociale e generazionale che il cinema “industriale”, ipocritamente, finge di ignorare e vilmente continua a snobbare».

ore 21.00

La tragedia di un uomo ridicolo (1981)

Regia: Bernardo Bertolucci; soggetto e sceneggiatura: B. Bertolucci; fotografia: Carlo Di Palma; musica: Ennio Morricone; montaggio: Gabriella Cristiani; interpreti: Ugo Tognazzi, Anouk Aimée, Vittorio Caprioli, Renato Salvatori, Laura Morante, Victor Cavallo; origine: Italia; produzione: Fiction Cinematografica; durata: 115′

Primo Spaggiari è un industriale caseario di Parma, sposato con una elegante donna francese. Un giorno il figlio, Giovanni, viene rapito e viene loro chiesto un riscatto di un miliardo. Primo e la moglie Barbara iniziano a raccogliere i soldi anche se con difficoltà data la situazione poco felice della ditta. Entra in contatto con la fidanzata del figlio, Laura, e con un prete operaio Adelfo, dai quali saprà che il figlio è stato ucciso. Decide quindi di utilizzare i soldi raccolti per salvare la ditta. «È un film che vorrebbe dirci, in modo tenero e drammatico ad un tempo, del nostro presente buio e incomprensibile, ambiguo e misterioso. E che perciò ci narra una storia cosparsa di zone buie e di angoli incomprensibili, di valenze ambigue e di significati misteriosi» (Micciché). Al Festival di Cannes 1981 Ugo Tognazzi vinse la Palma d’oro per la migliore interpretazione maschile.

domenica 4

(In)visibile italiano: Gli ultimi fuochi della contestazione

Prima del ’77. Prima della lotta armata. Prima del delitto Moro. Ma dopo il ’68 e le sue utopie. In quella fase di limbo in cui non si credeva più di cambiare il mondo e subentravano la rabbia e la frustrazione, il cinema italiano si rinchiude in una riflessione sempre più autoriale e a tratti autoreferenziale. Oppure dalla contestazione si passava volentieri dall’altra parte della barricata e cioè al cinema di genere, specialmente a quello erotico o alla commedia all’italiana. Da Lou Castel a Laura Antonelli. Da Grazie zia a Malizia. Come ideale coda alla rassegna Schermi in fiamme. Il cinema della contestazione, si è voluto proporre tre film di difficile se non impossibile visibilità, che presentavano tre tipi di contestazioni diverse. Per Ugo Novello l’unico modo di contestare appare emblematicamente sin dal titolo Testa in giù… gambe in aria, curioso thriller esistenziale. Rifugiarsi cioè in una posizione della disciplina yoga, stando immobile con la testa e le gambe per aria. Per l’arrabbiato Sergio Nasca l’unico modo per distruggere la società borghese è diventare dei saprofiti, cioè diventare dei parassiti e trovare il momento opportuno per dare il colpo di grazia al “male” per eccellenza: la famiglia. E Il saprofita pieno di furori bellochiani e di anticlericalismi buñueliani è anche un’intelligente rilettura delle dinamiche vittima /carnefice presenti ne Il servo (1963) di Joseph Losey. Per Mino Guerrini i contestatori sono studentelli, figli di papà e con poca voglia di studiare. E le vittime sono spesso i contestati. Professore venga accompagnato dai suoi genitori è anche un’occasione per (ri)vedere un’opera in controluce, avendo in mente e facendo i rispettivi confronti con gli epigoni della commedia all’italiana (le varie insegnanti e le varie liceali), ovvero il cinema del riflusso che avrà la sua morte definitiva negli anni Ottanta. Il resto è televisione.

ore 17.00

Professore venga accompagnato dai suoi genitori (1974)

Regia: Mino Guerrini; soggetto e sceneggiatura: [Franco] Castellano e Pipolo [Giuseppe Moccia]; fotografia: Aristide Massaccesi; musica: Franco Campanino; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Aldo Maccione, Jacques Dufilho, Piero Mazzarella, Gabriella Pallotta, Enzo Cannavale, Michele Gammino; origine: Italia/Francia; produzione: Coralta Cinematografica, Les Productions Fox Europa; durata: 100′

La scuola secondo Mino Guerrini, grande pittore, innovatore dell’arte italiana con il gruppo Forma 1, poi brillante giornalista e infine regista di film da riscoprire alla fine degli anni Sessanta (Il terzo occhio, Omicidio per appuntamento, Gangster ’70, Colpo di sole). Prima delle liceali e delle ripetenti, I ragazzi della terza C e di Notte prima degli esami, una summa del genere innestata nella società italiana post ’68, quindi goliardia e contestazione a go go, senza le volgarità e le furbizie del cinema a venire, quasi un instant-movie sulla scuola italiana fatta a pezzi dagli studenti. Dufilho e Maccione da antologia e grandi duetti Mazzarella-Cannavale.

ore 19.00

Testa in giù… gambe in aria (1972)

Regia: Ugo Novello; soggetto e sceneggiatura: U. Novello, Maurizio Mazzotta; fotografia: Aldo De Robertis; musica: Renato Serio; montaggio: Giancarlo Venarucci Cadueri; interpreti: Corrado Pani, Marina Malfatti, Andreina Paul, Daniela Caroli, Piero Vida, Filippo De Gara; origine: Italia; produzione: Welcome Cinematografica; durata: 91′

«Andrea è un eroe, per così dire, della nostra epoca. Figlio del secolo e di genitori troppo remissivi, egli è scontento della società, del proprio lavoro, dei divertimenti, degli amici, delle donne, dell’aria che respira e di se stesso. Non è comunque aggressivo. Si diverte a sfruttare tutti i godimenti dal “sistema”, cercando nel contempo un mezzo per ignorarne le difficoltà e gli inconvenienti. Pensa che questo avvenga nella disciplina yoga e nella posizione del “Shirshasana” vale a dire nello stare immobile con la testa verso terra e le gambe per aria. Ma dato che l’Occidente non gradisce l’immobilismo, Andrea viene trascinato in una catena di delitti; viene preso per assassino; si trova faccia a faccia con un feroce criminale. Non trova di meglio che affrontare ed eliminare da solo il maniaco che se ne va in giro per Roma strangolando soltanto i professori» (www.cinematografo.it). Il film è invisibile da anni. Per Poppi e Pecorari il film «non risulta iscritto al Pubblico Registro Cinematografico».

ore 21.00

Il saprofita (1974)

Regia: Sergio Nasca; soggetto e sceneggiatura: S. Nasca; fotografia: Giuseppe Aquari; musica: Sante Maria Romitelli; montaggio: Giuseppe Giacobino, Erminia Marani; interpreti: Valeria Moriconi, Al Cliver [Pier Luigi Conti], Janet Agren, Giancarlo Mariangeli, Cinzia Bruno, Leopoldo Trieste; origine: Italia; produzione: Belial Film; durata: 100′

«Il saprofita (“si dice di microrganismo vegetale privo di clorofilla che vive a spese di organismi morti e di sostanze organiche di decomposizione”, avverte il Dizionario Garzanti) è un fusto alto e biondo che ha perso l’uso della favella. Dimesso dal seminario dove peraltro aveva subito solo lezioni di morbosità e di autoritarismo, il giovanotto va a fare l’autista in casa di ricchi. Siamo nel profondo sud (le immagini della cittadina sono state girate a Ostuni in Puglia), dove le tare e i vizi della classe agiata si consumano tra le pareti domestiche. C’è un padrone anziano che rimbecillisce circondato dai gagliardetti, c’è una madre che abbranca i dipendenti maschi dietro gli usci, c’è una figlia che mostra le mutandine e c’è un figlio tredicenne storpio dalla nascita per sifilide ereditaria. Quest’esempio di bella famiglia italiana è appunto l’ambiente in decomposizione atto a far prosperare l’infame saprofita, che fa presto a trasformarsi in magnaccia e assassino. L’esordiente regista Sergio Nasca viene dal clan di Bellocchio, e si vede. Con l’ansia di profanare la famiglia e di contestare l’educazione clericale, il suo film sembra una sintesi di I pugni in tasca e Nel nome del padre. C’è anche un pellegrinaggio a Lourdes, che rappresenta il capitolo più originale» (Kezich). «Piccolo cult degli anni ’70. Opera prima di Sergio Nasca, celebre soprattutto per il titolo e per aver lanciato l’allora sconosciuto Al Cliver alias Pier Luigi Conti» (Giusti).

lunedì 5

chiuso

6-11 maggio

Tekfestival. Ai confini del mondo…dentro l’Occidente

7^ edizione Festival Internazionale di Cinema Indipendente

Il festival “Tekfestival. Ai confini del mondo…dentro l’Occidente” si svolge ogni anno a Roma e propone la visione della più recente produzione di cinema indipendente e sociale, ospitando numerose première internazionali. Nel maggio 2008 celebra la sua 7^ edizione.

Anche quest’anno il Tekfestival ha cercato di coniugare l’appassionato lavoro di ricerca, che si basa sulla frequentazione di importanti festival nazionali e internazionali, sulla relazione con gli istituti di cultura, le case di produzione, gli autori e le autrici, con l’esigenza di proporre uno sguardo cinematografico sulla realtà contemporanea. La scelta di proporre un festival significa per noi, ancora una volta, poter dare voce e corpo a quei lavori e quelle figure che solitamente rimangono fuori dai circuiti distributivi, perché non espressamente commerciali, con lo scopo di creare uno luogo fisico che diventi spazio mentale da dedicare alla riflessione, libera, alla scoperta, destabilizzante, alla discussione, appassionata.

Al centro film di finzione e documentari che hanno vinto prestigiosi premi in altri paesi, autori e autrici dalla filmografia rilevante, ma ancora per lo più sconosciuti in Italia, artisti che si misurano con nuove forme di comunicazione e, soprattutto, con i nuovi interrogativi posti dalla contemporaneità: le società post coloniali, le stratificazioni sociali, le relazioni tra i generi, gli orientamenti sessuali, la precarietà della vita, i mass media, la guerra permanente.

Il festival si svolge nell’arco di sei giorni consecutivi e ogni anno è visitato da circa quattromila persone. La programmazione è organizzata in finestre tematiche e “percorsi visuali”: accanto ad alcuni appuntamenti ormai consolidati, ogni anno vengono proposti nuovi temi che in qualche modo testimoniano “la politica editoriale” degli organizzatori e delle organizzatrici del Tekfestival.

Per informazioni sul festival consultare il sito www.tekfestival.it

martedì 6

ore 18.30

Panorami

Immagini di repertorio. Storia di Mircea Spiridon

di Sebiano Chillemi (Italia, 2007, 7′, corto)

Attraverso immagini riprese da diversi servizi televisivi vengono raccontati gli ultimi momenti di vita di un operaio rumeno morto in Sicilia, schiacciato sotto le macerie in seguito al crollo della palazzina presso la quale lavorava in nero.

a seguire

Panorami

Taccone. Fuga in salita

di César Meneghetti, Elisabetta Pandimiglio (Italia, 2007, 30′, doc.)

Ripercorrendo con passione le sue fughe in salita, Taccone, noto campione italiano di ciclismo, svela con dolorosa rabbia le pieghe nascoste del più popolare sport italiano degli anni Sessanta. Si ritrova così, improvvisamente, a confessare un segreto scottante che mai avrebbe pensato di portare alla luce. Sono gli anni duri del dopoguerra quando Vito, ancora bambino, quarto figlio di una poverissima famiglia contadina, inizia a lavorare come fattorino in bicicletta per un fornaio di Avezzano. Da qui inizia la sua carriera. Soprannominato “Camoscio d’Abruzzo”, nel 1961 vince quattro tappe di fila al Giro d’Italia, raggiungendo rapidamente una popolarità straordinaria che lo riscatta dalla miseria, a cui sembrava destinato. La tenacia e l’irruenza, anche nel denunciare ingiustizie, scorrettezze e slealtà, segneranno ogni fase della sua vita.

a seguire

Panorami

July trip

di Waël Noureddine (Francia, 2007, 35′, doc.)

July Trip è un saggio documentario girato in Libano durante la guerra del luglio 2006. Girato in 16mm. e in HD, le immagini ci immergono nel paese in guerra, sublimando la tensione nell’assenza di suono delle immagini iniziali che contrastano con i bombardamenti e le esplosioni delle sequenze successive. L’occhio della camera si aggira in un universo desolato attraverso delle immagini molto personali. v.o.; sott. it.

ore 20.30

Phag Pride

F/f

di Charles Lum (Usa, 2007, 5′, doc.)

F/F è un viaggio musicale simultaneo attraverso due festival autunnali americani unici nel loro carattere, ovvero la fiera di Fryeburg in New England e la fiera di Folsom Street di San Francisco. La diversità topografica culturale e musicale delle due celebrazioni è unita in un unico frame, in cui esse contemporaneamente si contrappuntano e si specchiano, esponendo telecamera e pubblico al ruolo di voyeur. La struttura duale propone un paragone culturale. Musica, telecamere e partecipanti ballano attraverso un vasto orizzonte politico e geografico americano.

a seguire

Phag Pride

Improvvisamente l’inverno scorso

di Gustav Hofer, Luca Ragazzi (Italia, 2007, 80′, doc.)

Il film racconta la storia di Luca e Gustav, una coppia che sta insieme da otto anni, e di quello che è loro successo improvvisamente l’inverno scorso, quando un’ondata inaspettata di omofobia ha sconvolto la loro quotidianità. A febbraio, dopo mesi di discussioni, il governo Prodi ha presentato una proposta di legge per le unioni civili estesa anche alle coppie omosessuali. E da là è partita un’offensiva mediatica e politica di proporzioni inaspettate. Il paese si è così diviso tra chi era a favore dei DiCo (il nome del disegno di legge) e chi sparava contro. Dai pulpiti delle chiese e dai salotti televisivi, si è arrivati a livelli parossistici di intolleranza. Quello che ne viene fuori è un quadro poco edificante, e alquanto contraddittorio, del Belpaese.

Saranno presenti in sala: Charles Lum, Gustav Hofer e Luca Ragazzi, Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli

ore 22.30

Panorami

El violin

di Francisco Vargas (Messico, 2006, 98′, finzione)

Don Plutarco, suo figlio Genaro e suo nipote Lucio, vivono una doppia vita: musicisti e umili contadini, supportano anche gli sforzi del movimento guerrillero contro il governo oppressore. Quando i militari occupano il villaggio, i ribelli fuggono sulle montagne, costretti a lasciare indietro le riserve di munizioni. Mentre la guerrilla organizza il contrattacco, il vecchio Plutarco mette in atto il suo piano. Recitando la parte dell’indifeso suonatore di violino, entra nel villaggio occupato per recuperare le munizioni nascoste nei campi di mais.

v.o.; sott. it.

mercoledì 7

ore 16.00

Focus su Harun Farocki

Nicht Ohne Risiko/ Nothing ventured

di Harun Farocki (Germania, 2004, 50′, doc.)

Il film segue le trattative tra una società finanziaria e un’azienda di medie dimensioni che ha bisogno di capitali per iniziare la produzione di un nuovo prodotto. Farocki si limita ad osservare gli eventi senza alcun commento. Il film documenta i due incontri intercorsi tra le società fino alla firma del contratto. È un’indagine microscopica su una cellula del sistema economico attuale; un ritratto etnografico su una transazione aziendale.

v.o.; sott. it.

a seguire

Bilder der Welt und Inschrift des Krieges / Images of the World and the Inscription of War, di Harun Farocki (Germania, 1988, 75′, doc.)

Farocki centra l’attenzione sull’essenza della violenza mediatica, l’estetica terrorista della simulazione ottica. Il punto di dissolvenza delle immagini è l’immagine concettuale stessa del “punto cieco” degli americani che nel 1944 avevano effettuato i rilievi aerei della pianta industriale dell’IG Farben. Commenti e note sulle fotografie mostrano che solo decenni dopo la CIA si è accorta di quello che gli alleati non avevano voluto vedere: il campo di concentramento di Auschwitz era molto vicino alla fabbrica, obiettivo militare degli alleati. Ad un certo punto, durante questa ulteriore indagine, l’immagine di una piscina con onde per esperimenti appare sullo schermo, riferendosi chiaramente al comando dello sguardo, poiché lo sguardo e il pensiero non sono liberi quando le macchine, in combutta con la scienza e le forze armate, decidono su cosa si debba indagare.

v.o.; sott. it.

ore 18.30

Panorami

Pasolini Pa* Palestine

di Ayreen Anastas (Palestina, 2005, 50′, doc.)

Pasolini Pa* Palestine è un tentativo di ripetere il viaggio in Palestina di Pasolini nel suo film Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo nel 1963. La sceneggiatura viene adattata a una cartina sovrimposta al paesaggio reale, creando così contraddizione e rotture tra il visibile e l’udibile, tra ciò che si prevede e la realtà. Il video esplora il tema della ripetizione – per Heidegger la ripetizione, la ripresa, sono i termini da utilizzare per un atteggiamento corretto verso il passato – e stabilisce un dialogo con Pasolini. Le parole dialogo, discussione, derivano dal latino discutere, che vuol dire rompere in pezzi. Il video non critica Pasolini, ma rivela le possibilità del suo pensiero e della sua opera in relazione alle “esperienze” che le hanno ispirate.

v.o.; sott. it.

a seguire

Palestine summer 2006

The Palestinian Filmmakers (Palestina, 2006, 35′, corto)

Registi palestinesi, sia conosciuti che debuttanti, hanno dato vita ad un progetto che riflettesse il “mood” dell’estate 2006 quando Israele ha attaccato militarmente sia Gaza che il Libano. In un’unica inquadratura di tre minuti i registi devono raccontare le loro storie. Anche se molti palestinesi sono sparsi per il globo e la maggior parte non può fare ritorno alla propria terra, Palestine Summer 2006 è stato realizzato su un’idea del Palestinian Film Collective solo da registi residenti in Palestina. Il risultato è un mosaico di 13 cortometraggi, che durano meno di 3 minuti, prodotti in Palestina e che comunicano lo spirito personale, politico e poetico di un popolo che combatte per la libertà.

Anteprima italiana – v.o.; sott. it.

ore 20.30

Panorami

Dutch cocaine factory

di Jeanette Groenendaal (Olanda, 2007, 55′, doc.)

Grazie alla più recente tecnologia di sorveglianza della società satellitare internazionale osserviamo Arend, Leon e Ton: tre gentiluomini olandesi, che si relazionano quotidianamente alla cocaina per 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Ognuno di essi lo fa da una prospettiva differente, sia essa visuale, orale o cognitiva, sospettata perseguita e perpetrata. Cosa succede alla tua vita quando sei un sospettato? Quanto è sospettata la stessa superiorità dell’informazione? E chi sorveglia la sorveglianza?

Anteprima italiana – v.o.; sott. ingl.

Sarà presente la regista Jeanette Groenendaal

a seguire

July trip

di Waël Noureddine (Francia, 2007, 35′, doc., replica)

v.o.; sott. it.

Sarà presente la regista Waël Noureddine

ore 22.30

Panorami

Love conquers all

di Tan Chui-Mui (Malesia, 2006, 90′, finzione)

Ah Peng lascia il suo paese natio, Penang, per trasferirsi alla periferia di Kuala Lumpur dove la zia ha un piccolo chiosco in cui vende riso e zuppe. La ragazza inizia a lavorare con la zia che la tratta come un’altra figlia, perciò ben presto Ah Peng diviene una sorta di sorella maggiore per sua cugina Mei. Ah Peng ha lasciato un fidanzato ad aspettarla al villaggio, per questo ogni sera esce di casa e si dirige a un telefono pubblico per parlare un po’ con lui e con la madre. Una sera, nel solito tragitto quotidiano da casa alla cabina, Ah Peng conosce John, un ragazzo testardo che cerca in ogni modo di convincerla ad uscire con lui. Tra i due sembra nascere una travolgente storia d’amore, ma il destino a volte si diverte a giocare con i sentimenti. Vincitore nel 2007 del Tiger Award al Rotterdam Film Festival (Olanda)

v.o.; sott. it.

giovedì 8

ore 16.30

Concorso italiano doc

Eurotel

di Giuseppe Tedeschi (Italia, 2007, 38′)

Un ex albergo a 4 stelle, oggi un condominio. Persone provenienti da tutto il mondo si raccontano e riflettono sul significato delle parole: casa e convivenza. Un documentario a più voci sulla storia di un palazzo, specchio dei nostri tempi.

a seguire

Circolare notturna

di Paolo Carboni (Italia, 2007, 30′)

Un viaggio inusuale in una città di provincia, Cagliari, durante la notte accompagnati da cinque personaggi che, pur vivendo realtà diametralmente opposte, sono accomunati da alcune componenti: la stessa città, la stessa notte, lavori diversi ma tutti abusivi e inventati. Circolare notturna è l’esito filmico di un concorso per idee indetto dalla Cineteca Sarda e dall’Agenzia del Lavoro della Regione Sardegna.

a seguire

L’isola analogica

di Francesco G. Raganato (Italia, 2007, 27′)

L’isola analogica racconta alcune curiose vicende che hanno avuto luogo ad Alicudi, un’isola delle Eolie. Leggende, allucinazioni, usanze e superstizioni, causate dal consumo accidentale di segale cornuta, la pianta da cui si ricava l’LSD.

ore 18.30

Panorami

Moira Tierney: selected works 2000-2003 (Irlanda-USA, 32′, corti)

Il Tekfestival presenta una selezione dei primi lavori di Moira Tierney, filmmaker nata a Dublino e residente a Brooklyn, New York. Da Tiger Me Bollix (2000), ritratto di tre bambini irlandesi, ai funamboli e acrobati cinesi di Circus (2003), i film di Tierney trasmettono una sensibilità poetica che accompagna gli spettatori a lungo dopo la visione. La selezione include You Can’t Keep a Good e The Boys Are Back in Town (2000), Radio Haiti, Morzh (Walrus) e American Dreams #1 & #2 (2001), American Dreams #3: Life, Liberty & the Pursuit of Happiness (2002).

a seguire

Amoremorte

di Armando Ceste (Italia, 2007, 30′, doc.)

Un uomo anziano, solitario, filosofo ed esperto in arte culinaria,
sta morendo in una stanza d’ospedale dopo aver avuto un infarto.
Mescolando sogno e realtà, passato e presente, ripensa al senso della
sua vita, all’amore e alla morte. Unica testimone-spettatrice è una
giovane infermiera bulgara. Forse le cose si sono svolte in
tutt’altro modo, ma ciò che importa è che si siano svolte.

a seguire

Uomo-massa

di Canecapovolto (Italia, 2007, 51′, doc.)

Già nel 1930 Ortega y Gasset descrisse con precisione il prodotto letale della Società di Massa. Nasce così l’Uomo-Massa, mediocre, conservatore, ripetitivo. Egli non odia i ricchi, li ama invece. «Io sono ciò che ho» furono le sue prime parole. L’agonia dell’ordinamento sociale è scandita da poesie anticlericali e antimilitariste.

ore 20.30

Focus su Harun Farocki

Yella

di Christian Petzold (2007, Germania, 89′, finzione)

Yella lascia la sua cittadina nella Germania Est per un lavoro promettente e una nuova vita dall’altro lato dell’Elba, lasciandosi alle spalle un matrimonio fallito e sogni infranti. Ad Hanover Yella incontra Philipp, un giovane dirigente di un’azienda finanziaria, che le offre un lavoro da assistente. Nonostante non abbia nessuna conoscenza nel mondo del capitale a rischio, uffici di acciaio e vetro, e di ingressi di hotel poco illuminati, Yella scopre presto di saper avere a che fare con gli spietati uomini d’affari. Sembra finalmente che Yella possa ottenere tutto ciò che ha sempre desiderato. Ma strane voci e suoni la tormentano – verità dal suo passato che tornano ad ossessionarla. Inizia a preoccuparsi che la sua vita possa essere troppo bella per essere vera. È determinata a rimanere con gli occhi aperti perché quelli che dormono potrebbero provare un duro risveglio.

v.o.; sott. it.

ore 22.30

Pericolosamente ad Est

Mamaev Kurgan

di Steffen Ramlow (Germania, 2006, 4′, corto)

Delle persone spazzano e rastrellano foglie in un parco come se non avessero mai fatto altro nella vita. La ciclicità della musica enfatizza i movimenti ripetitivi della squadra di pulizia. La polvere e i graffi sulla pellicola bianco e nero aggiungono qualcosa all’atmosfera delle immagini. Sembra un vecchio film di un paese dell’Est. Pian piano la videocamera rivela l’ambiente attorno ai personaggi, e vengono inquadrate delle statue. La reazione non può essere che di sorpresa: la differenza di scala tra le statue e gli uomini è immensa. Quando le statue vengono inquadrate in tutta la loro grandezza le persone sembrano formiche. La dimensione delle statue è tale che produce un effetto ironico. Girato presso la collina Mamaev in Volgograd, Russia.

Sarà presente la regista Steffen Ramlow

a seguire

The Houses of Hristina

di Suzanne Raes (Olanda, 2007, 50′, doc)

Hristina è invisibile. Silenziosa e discreta, pulisce le case. Ogni giorno una casa diversa, ogni giorno lo stesso lavoro. Hristina è bulgara e vive ad Amsterdam. I contatti con i suoi datori di lavoro avvengono tramite brevi messaggi scritti. Per venire a patti con la sua vita, Hristina fotografa gli interni delle “sue” case. Insieme, queste foto, formano la casa che lei abita nei Olanda, una casa che la imprigiona. In questo documentario la regista Suzanne Raes ritrae una delle tante, spesso anonime, persone, dalle ragazze alla pari alle donne di servizio, a cui permettiamo di accedere ai luoghi più intimi delle nostre vite. Ma chi sono queste persone che puliscono le nostre case? Ci interessa veramente saperlo?

v.o. sott. it. – anteprima italiana

Saranno presenti la regista Suzanne Raes e la protagonista Hristina Tasheva

a seguire

Marilena from P7

di Cristian Nemescu (Romania, 2006, 45′, finzione)

Il tredicenne Andrei vive alla periferia di Bucarest: un giorno decide di rubare un autobus per far colpo su Marilena, una prostituta di cui si è innamorato. Cosa non si fa per amore? Marilena from P7 si immerge nell’universo delle emozioni dei teenager che tutti ben ricordiamo. La storia è ambientata nel””esotica” periferia di Bucarest, e lo scenario è popolato da personaggi piuttosto audaci. Oltre a una storia, il film è anche un viaggio attraverso i sobborghi di Bucarest all’inizio del XXI secolo, senza modifiche alle location, del tutto naturali. La ripresa con camera a mano ha permesso di cogliere tutti i dettagli e gli elementi realistici dello sfondo, così da rafforzare l’atmosfera documentaristica del film.

v.o.; sott. it.

venerdì 9

ore 16.00

Panorami

We’re the… of the communism

di Cui Zi’en (Cina, 2007, 94′, doc)

Pechino, la scuola Yuanhai per i figli degli immigrati dalle campagne viene chiusa per motivi sconosciuti. I bambini continuano a studiare prima utilizzando una fabbrica in disuso poi per strada. Le aule temporanee vengono loro sottratte ad una ad una. In meno di un anno il numero dei bambini della scuola passa da 720 a 16. Alcuni abbandonano gli studi, altri vanno in scuole più lontane e costose, altri ritornano ai villaggi di provenienza. Il documentario mostra come cambia il sistema scolastico mentre si preparano le Olimpiadi.

Anteprima nazionale – v.o.; sott. ingl.

ore 18.00

Terre di ghiaccio, di fuoco e di confine

Usa vs Al-Arian

di Line Halvorsen (Norvegia, 2007, 98′, doc)

La vita di una famiglia arabo-americana e del suo capo famiglia Sami Al-Arian. Ufficialmente accusato di essere un attivista pro-Palestina ed appoggiare il terrorismo internazionale, è detenuto pur riconosciuto innocente in base al patriot act americano. L’intima storia di una famiglia la cui vita è stata stravolta da un’accusa che ha prodotto discriminazione e stigmatizzazione.

v.o.; sott. it.

a seguire

Idyll

di Therese Jacobsen (2005, Norvegia, 2005, 13′, corto)

Agnese è sola in una vecchia casa deserta. Accade qualcosa di strano e quel qualcosa fa riemergere parti della sua vita, represse e passate. Ma in tutto ciò che riemerge non c’è niente di buono.

v.o.; sott. it.

ore 20.00

Bears on Film

A Bear, Where?

di Jeremy Stuart (Australia, 2007, 3′, animazione)

A Bear, Where? è un’animazione di 3 minuti stilisticamente vicino al foto-montaggio. Ibrida il diario di viaggio, la grafica del videogame, le news di un sito e dei sogni barbuti ad occhi aperti. Viaggiate al fianco di un piccolo orso, mentre cerca di cogliere lo sguardo di un suo simile. Salite sul suo camion, correte con il treno e su una mongolfiera a 30.000 piedi, affittate lo spazio pubblicitario su un cartellone nel suo viaggio in un mondo-daddy di linee aeree ursine, telegiornali irsuti ed altro, mentre il nostro piccolo amico va alla ricerca. Il film è stato proiettato in festival di tutto il mondo.

v.o.; sott. it.

a seguire

Bearly Haunted

di Jonathan Robinson (GB, 2007, 8′, corto)

Bearly Haunted gioca con il famoso programma televisivo Most Haunted ma con un taglio ursino. Gordon Gribben recita nelle vesti del parapsicologo Gordon de la Croix e Toby Rothwell in quella dell’orso medium. La presentatrice Valerie è intepretata da Hilary Easter-Jones. Il film ha vinto il Paw Award come miglior film al Vermont Bear Film Festival.

v.o.; sott. it.

a seguire

Mommy’s House

di Aron Kantor (USA, 2007, 19′, finzione)

Richard e Carl, criminali ed amanti, hanno un incidente mentre fuggono da una rapina. Per cercare rifugio e un telefono, arrivano a una casa invisibile ed enorme. La casa è abitata da una donna delusa di nome Mommy che scambia Richard per suo figlio. Durante la notte, con il passare delle ore Richard inizia a identificarsi nel figlio di Mommy, mentre Carl ingelosito decide di rapinarla e scappare. Mentre la tensione sale, iniziano ad accadere eventi soprannaturali e diventa chiaro che né Mommy né la sua casa sono ciò che sembrano.

v.o.; sott. it.

a seguire

Dancing

P. M. Bernard, X. Brillat, P. Trividic (Francia, 2004, 90′, finzione)

Rene è un artista, il suo studio è in un club abbandonato dove vive con il suo partner. La vita scorre felice finché non inciampa in “qualcosa”. Non è semplicemente il suo sentirsi male quanto il suo… sentire o il vedere apparizioni di due clown che si ripetono in modo costante producendo ossessioni fino al punto di rottura. La sua vita deraglia e lui arriva faccia a faccia con il suo doppelgänger.

v.o.; sott. it.

ore 22.10

Concorso internazionale doc

Hafner’s Paradise

di Günter Schwaiger (Austria, 2007, 76′)

Hafner, un ex allevatore di maiali, inventore in rovina, playboy e soprattutto ex-ufficiale delle SS, vive in Spagna, circondato da amici nazisti e sognando l’avvento del Quarto Reich. Fiero e senza rimorsi, ci presenta il suo mondo oscuro e grottesco, fatto a sua misura, in cui regna con arroganza. Primo premio-Tempo della Storia al 52° Festival Internazionale di Cinema di Valladolid.

v.o.; sott. it.

Sarà presente il regista Günter Schwaiger

a seguire

Palestine summer 2006

The Palestinian Filmmakers (Palestina, 2006, 35′, corti, replica)

Anteprima italiana – v.o.; sott. it.

sabato 10

ore 16.00

Concorso internazionale doc

All white in Barking

di Marc Isaacs (GB, 2007, 72′)

Il regista Marc Isaacs indaga con grazia e humour l’attitudine verso la razza a Barking, un agglomerato urbano bianco e operaio a est di Londra. Attraverso la vita di cinque personaggi chiave, di diversa appartenenza etnica, Isaacs, una presenza importante ma invisibile, interroga i pregiudizi e ficca il naso nei preconcetti con notevoli risultati. Qualche volta il film ricorda una delle commedie di Mike Leigh, come quando il regista incoraggia l’incontro tra una residente bianca e i suoi vicini nigeriani.

Anteprima italiana – v.o.; sott. it.

a seguire

Last bus stop

di Zsuzsa Böszörményi, Kai Salminen (Ungheria-Finlandia, 2007, 51′)

Immaginate un paesino sperduto in qualche parte dell’Europa dell’Est. Per più di un secolo, ha cambiato nazionalità con il cambiare delle stagioni: prima apparteneva all’Impero Asburgico, poi alla Cecoslovacchia, poi all’Ungheria, poi all’Unione Sovietica. Negli ultimi anni le cose si sono complicate ulteriormente. Alla fine della seconda guerra mondiale i russi tracciarono un confine che divideva il paese di Szelmenc in due nazioni diverse. Le famiglie da un lato vivono in Slovacchia, che ora è paese membro dell’Unione Europea, dall’altro lato, i loro parenti subiscono l’instabile situazione politica ed economica dell’Ucraina. Miglior Documentario alla Settimana del Cinema Ungherese (Budapest, Ungheria)

Anteprima italiana – v.o.; sott. it.

ore 18.00

Focus su Harun Farocki

Gefangnisbilder/ Prison images

di Harun Farocki (Germania, 2000, 60′)

Un film composto da immagini di carceri. Citazioni da film e documentari, oltre a filmati delle telecamere di sorveglianza. Uno sguardo alle nuove tecnologie di controllo, ai dispositivi di identificazione personale, braccialetti elettronici alla caviglia, dispositivi elettronici di rilevamento. Il cinema è sempre stato attratto dalle carceri. Queste oggi sono piene di telecamere di sorveglianza che mostrano la norma e tengono conto della sua deviazione. Qui la prigione appare come un luogo di violazione sessuale, un luogo dove gli esseri umani devono costruirsi come persone e lavoratori. Nelle carceri più nuove la tecnologia di sorveglianza video mira alla demistificazione.

v.o.; sott. it.

a seguire

Arbeiter verlassen die Fabrik/ Workers Leaving the Factory

di Harun Farocki (Germania, 1995, 36′)

Operai che escono dalla fabbrica, questo era il titolo del primo film mai mostrato in pubblico. Per 45 secondi questa sequenza ancora esistente mostra operai della fabbrica di prodotti fotografici di proprietà dei fratelli Louis e Auguste Lumière a Lione. Gli operai si affrettano, tutti ammassati, fuori dall’ombra dei cancelli della fabbrica verso il sole pomeridiano. Solo qui, in partenza, gli operai sono visibili come un gruppo sociale. Ma dove staranno andando? A un incontro? Alle barricate? O semplicemente a casa? Queste domande hanno preoccupato generazioni di documentaristi. Perché lo spazio davanti i cancelli della fabbrica è sempre stato lo scenario di conflitti sociali. Nel suo film saggio dallo stesso titolo Harun Farocki esplora questa scena proprio attraverso la storia del cinema

v.o.; sott. it.

ore 20.15

Concorso internazionale doc

Harat. A journey diary

di Sepideh Farsi (Iran-Francia-Afghanistan, 2007, 85′)

Partendo da Parigi, una ragazzina accompagna sua madre (la regista stessa) in Iran, raggiungendo suo nonno e intraprendendo un viaggio in Afghanistan, un paese che hanno sempre sognato di visitare, ma da cui sono stati lontani per tre generazioni, da quando cioè il suo bisnonno si è trasferito in Iran. Riprendendo sua figlia e suo padre, e venendo ripresa da sua figlia di otto anni con una videocamera portatile, la regista fonde le sue visioni con quelle di sua figlia e il film diventa un diario, un album di famiglia aperto davanti allo spettatore. Miglior documentario al Festival dei Popoli.

v.o.; sott. it.

Sarà presente la regista Sepideh Farsi

ore 22.30

Panorami

Seize the Time

di Antonello Branca (Italia, 1970, 90′, doc)

Il lungometraggio è stato realizzato interamente negli Stati Uniti seguendo dall’interno il lavoro del Black Panther Party. Antonello Branca costruisce l’impianto narrativo del film fondendo insieme, con estrema abilità, i canoni del cinema di finzione e del cinema documentario. Un solo attore professionista, Norman Jacobs, si muove tra visioni pop-simboliche dell’imperialismo a stelle e strisce contrapposte a visioni della realtà: rastrellamenti, manifestazioni studentesche, esercitazioni della guardia nazionale, testimonianze dirette. Un’America dove i neri, e le “pantere” in particolare, vengono assassinati a sangue freddo secondo un preciso disegno repressivo. Intorno alla partecipazione del film al festival di Venezia dello stesso anno si sviluppò una vivace polemica: le condizioni poste dalla direzione del festival infatti furono tali da indurre l’autore a non presentare il film.

Anteprima nazionale della versione restaurata – v.o.; sott. it

domenica 11

ore 16.15

Panorami

Camposanto

di Sonia Pastecchia (Belgio, 2007, 60′, doc)

«50 anni fa, una cesura./Un’emigrazione cominciata con un treno/poi un radicarsi laddove si doveva solo passare. Fin da bambina, la mia vita è stata scandita/dalle andate e ritorno fra il Belgio e l’Italia. Alla morte di mia nonna,/questo andirivieni è cessato. Nel corso degli anni, il suo corpo aveva fatto corpo/col villaggio diventando un territorio sacro. La sua scomparsa mi ha rivelato un altro lutto: quello di una terra madre. Oggi ritrovo questo territorio come una nuova terra d’asilo in cui risuonano le voci di altri migranti» (Pastecchia).

v.o.; sott. it.

Sarà presente la regista Sonia Pastecchia

a seguire

Taccone. Fuga in salita

di César Meneghetti, Elisabetta Pandimiglio (Italia, 2007, 30′, doc., replica)

Saranno presenti i registi César Meneghetti e Elisabetta Pandimiglio

ore 18.00

Phag Youth

This is the girl

di Catherine Corringer (Francia, 2006, 16′, finzione)

This is a girl è una fantasia erotica queer, introducendo un’eroina che tira di box, la sua ragazza allenatrice e un uomo-giocattolo sessuale. Il film è un’esplorazione del potere sessuale delle donne prodotto dalla masturbazione, giochi erotici ed eiaculazione femminile. Il film è stato proiettato al San Francisco Frameline, Berlin Porn Film Festival, Pink Screen Bruxelles, Mix Brasil, Image+Nation Montréal, Paris Gay & Lesbian Film.

v.o.; sott. it.

a seguire

Glue

di Alexis Dos Santos (Argentina, 2006, 105′, finzione)

Lucas è un quindicenne con dei genitori che si stanno separando a causa l’infedeltà del padre. Passa la maggior parte del suo tempo correndo in bici nella sua deserta città natale e facendo pratica nella band punk con il suo migliore amico Nacho. Una crescente curiosità verso Nacho diventa ancora più forte dopo l’incontro con la stravagante Andrea, che si aggiunge al duo. Girato nella luce dorata della Patagonia, con una mescolanza di super8 e digitale, il film illustra molto bene le insicurezze e i tormenti di questi giovani adolescenti alla scoperta della sessualità nella noia e inettitudine di una piccola città. La colonna sonora è dei Violent Femmes, che hanno dato gratuitamente i loro brani.

v.o.; sott. ingl.

ore 20.10

Pericolosamente ad Est

California dreamin’ (endless)

di Cristian Nemescu (Romania, 2007, 155′, finzione)

Jones, capitano della marina Usa, è incaricato di scortare un convoglio Nato in Ex-Jugoslavia durante la guerra in Kosovo. Il comandante Doiaru, severo capo della polizia di uno sperduto villaggio rumeno, blocca il convoglio per una questione burocratica. La comunità compie sforzi esilaranti per accogliere gli americani, cercando di approfittare della loro inaspettata presenza. Dopo cinque intensi giorni, il capitano Jones riesce a scoprire le vere ragioni, del tutto personali, che muovono Doiaru. E il treno può riprendere il suo viaggio, lasciando dietro di sé, oltre a cuori e sogni infranti, i segni di una guerra civile.

v.o.; sott. it.

ore 22.45

Premiazioni/Awards

Concorso italiano doc

Concorso internazionale doc/International Doc Competition

Racconti di precarietà. Selezione di cortometraggi di finzione e documentari vincitori delle ultime due edizioni del concorso Obiettivo sul lavoro organizzato dell’Arci-Ucca.

Ingresso gratuito

lunedì 12

chiuso

martedì 13

ore 17.00

Todo modo (1976)

Regia: Elio Petri; soggetto: dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia; sceneggiatura: E. Petri, con la collaborazione di Berto Pelosso; fotografia: Luigi Kuveiller; musica: Ennio Morricone; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato, Ciccio Ingrassia, Franco Citti, Tino Scotti; origine: Italia; produzione: Cinevera; durata: 130′

«Mentre in Italia si scatena una terribile epidemia, un centinaio di “notabili” del partito che governa l’Italia da tre decenni si riunisce in un albergo-convento, costruito nel sottosuolo di una pineta, per eseguirvi un corso di esercizi spirituali condotto dal severo gesuita don Gaetano. In realtà, indifferenti alle prediche del sacerdote, che non ha dubbi sulla loro corruzione, ai convenuti preme soltanto concordare una nuova spartizione del potere. Ben presto la riunione si trasforma in rissa; si arriva persino ad un morto cui altri, misteriosamente, seguono nei giorni successivi, gettando il terrore tra i politici riuniti. Forse l’opera più “politicamente scorretta” sulla figura di Aldo Moro (rappresentato da colui che tutti chiamano “il presidente”). Film cupo, grottesco, profetico, nel quale lo statista democristiano vi è rappresentato come colui che dovrà “portare la croce della mediazione sul Monte Calvario dei nuovi assetti”. Il film fu girato nel 1975, proprio nel momento in cui le BR cominciavano a prendere in considerazione come possibili obiettivi di un sequestro, oltre a Moro, personalità politiche come Giulio Andreotti e Amintore Fanfani» (Uva).

Si ringraziano per la proiezione Cinecittà Holding e Warner Bros. Italia – Ingresso gratuito

ore 19.15

Italia: ultimo atto? (1977)

Regia: Massimo Pirri; soggetto e sceneggiatura: Morando Morandini Jr., M. Pirri, Federico Tofi; fotografia: Riccardo Pallottini; musica: Coriolano Gori; montaggio: Cleofe Conversi; interpreti: Luc Merenda, Lou Castel, Luigi Casellato, Fabrizia Castagnoli, Valentino Dain, Marcella Michelangeli; origine: Italia; produzione: Una Cooperativa; durata: 90′

«Uno dei primi film che, nel contesto del tardo poliziottesco, ha guardato frontalmente ad un argomento considerato tabù per gran parte degli autori dell’epoca. Secondo il regista Massimo Pirri i terroristi rossi non sono più semplici comparse e neanche i “cattivi” di turno, bensì diventano i veri e propri protagonisti della vicenda. Un anno prima che le BR arrivino a colpire con Moro il “cuore dello Stato”, il film racconta la storia di tre estremisti di sinistra che preparano e realizzano il piano di uccidere il Ministro degli Interni, innescando una reazione a catena che ha come conseguenza l’esplosione di una vera e propria guerra civile. Nel montaggio originale la storia prende avvio da quest’apocalittico scenario, mentre nella versione comune il film si apre sfruttando immagini di repertorio di scontri tra dimostranti e polizia che culminano con il cadavere di Giannino Zibecchi, travolto da una jeep dei carabinieri il 17 aprile ’75. Gli stilemi del film di Pirri sono, in parte, quelli del poliziottesco, ma i ritmi risultano meno sincopati e lo sguardo è ancora più freddo, disincantato, nichilista. Nei panni dell’ideologo dell’organizzazione compare Lou Castel, il quale, in uno scontro con il compagno interpretato da Luc Merenda che preannuncia la spaccatura interna alle BR tra l’ala moderata e quella irriducibile, denuncia il rischio della strumentalizzazione del gruppo a fini controrivoluzionari e parla della necessità di recuperare il collegamento con la base operaia» (Uva).

ore 20.45

Incontro sul Paese mancato moderato da Pierpaolo De Sanctis e Christian Uva con Vincenzo Cerami, Guido Crainz, Italo Moscati, Sandro Petraglia

a seguire

Il paese mancato (2006)

di Guido Crainz e Italo Moscati; regia di Italo Moscati; ricerche: Carla Colabucci; voce narrante: Stefano Mondini; montaggio: Roberto Carradori; origine: Italia; produzione: Rai; durata: 110′

La storia di vent’anni – dagli inizi degli anni Sessanta agli anni Ottanta, attraverso il decennio dei Settanta carico di tensioni, speranze, tragedie – secondo una scelta precisa: presentare i cambiamenti della società italiana in un intreccio nuovo e appassionante, capace di suscitare memorie e riflessione, e nello stesso tempo di fare uno spettacolo vivace e rigoroso, con documenti inediti o poco conosciuti. I venti anni considerati vanno dal “miracolo economico” – nel corso dei quali l’inizio delle trasmissioni tv assume una portata significativa che diventerà sempre più importante – alla esplosione clamorosa e significativa del ’68 e al periodo successivo in cui l’Italia si è lasciata alle spalle la contestazione e ha vissuto gli anni di piombo, gli scandali e le molte tensioni, l’assassinio di Moro, e la ricerca di soluzioni politiche all’altezza delle situazioni in continuo mutamento, fino all’esplosione delle televisioni private. Un viaggio che presenta i fatti attraverso documenti diretti e poco conosciuti ricavati soprattutto dagli archivi della Rai; e con la citazione di programmi tv e di canzoni che hanno scandito i fatti stessi, contribuendo a restituire la temperatura di un ventennio carico di sorprese e di emozioni, un ventennio che ha segnato la vita e le speranze del paese, coinvolgendo diverse generazioni, comprese quelle che non l’hanno vissuto e s’interrogano su di esso. Un vero e proprio film documentario che riassume e rilancia temi ancora al centro di un dibattito sulla storia del nostro paese in continua ricerca di equilibri per tenere il passo della contemporaneità.

Gli autori sono Guido Crainz, ordinario di storia all’Università di Teramo (autore del libro Il paese mancato, edito da Donzelli), e Italo Moscati, sceneggiatore, autore e regista, che insegna Storia dei Media all’Università di Teramo.

Ingresso gratuito

mercoledì 14

ore 17.00

Piazza delle Cinque Lune (2003)

Regia: Renzo Martinelli; soggetto: R. Martinelli; sceneggiatura: Fabio Campus, R. Martinelli; fotografia: Blasco Giurato; musica: Paolo Buonvino; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Donald Sutherland, Giancarlo Giannini, Stefania Rocca, F. Murray Abraham, Aisha Cerami, Greg Wise; origine: Italia; produzione: Martinelli Film Company Int., Istituto Luce, Spyce Blue Star Ltd., Box! Film; durata: 127′

Il Procuratore della Repubblica di Siena, il giorno prima di andare in pensione, riceve da uno sconosciuto un filmino amatoriale sul rapimento Moro. Decide di avviare un’indagine che lo porterà a scoprire scomode verità. «Tale invenzione narrativa [il ritrovamento del filmino], peraltro estremamente intrigante, costituisce il collante tra i vari ingredienti drammaturgici, tutti tratti dalla documentazione processuale o dall’ampia gamma delle ipotesi già formulate (in particolare dagli scritti di Sergio Flamigni, consulente del film che ha anche ottenuto il favore della famiglia Moro). L’espediente metalinguistico della “prova filmata”, che rimanda a JFK di Oliver Stone, sembra di nuovo chiamare in causa il cinema e le sue potenzialità di “lente d’ingrandimento” sui nodi non ancora sciolti della recente storia italiana» (Uva).

ore 19.10

Buongiorno, notte (2003)

Regia: di Marco Bellocchio; soggetto e sceneggiatura: M. Bellocchio, liberamente ispirato al libro Il prigioniero di Anna Laura Braghetti e Paola Tavella; fotografia: Pasquale Mari; Musica: Riccardo Giugni; montaggio: Francesca Calvelli; interpreti: Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Roberto Herlitzka, Paolo Briguglia, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno, Giulio Stefano Borsetti, Gianni Schiacci Gabrieli; origine: Italia; produzione: Filmalbatros, Rai Cinema; Sky; durata: 105′

Tratto dalla biografia romanzata dell’ex-brigatista Anna Laura Braghetti, narra della prigionia di Moro e della sua convivenza con i carcerieri. Protagonista è Chiara, giovane brigatista dalla doppia vita: impiegata con un fidanzato, ma anche membro di una cellula armata che ha sequestrato il presidente della DC. «Evitando accuratamente le fughe nella dietrologia o nel senno di poi, tenendosi lontano dalla tentazione sia di offrire interpretazioni storiche inedite che di svelare nuovi complotti, il film riesce a entrare nelle pieghe di un Paese che con quel rapimento è precipitato nell’assurdo, dove parlare linguaggi comprensibili all’uno e all’altro sembra impossibile, dove la frattura tra generazioni e culture sembra insanabile, dove persino il nobile esempio dei partigiani sembra irrimediabilmente chiuso nel passato» (Mereghetti).

ore 21.00

Incontro sul caso Moro moderato da Christian Uva e Vito Zagarrio con Giovanni Bianconi, Giuseppe Ferrara, Roberto Herlitzka, Alan O’Leary, Maurizio Salticchioli

a seguire

Il caso Moro (1986)

Regia: Giuseppe Ferrara; soggetto: Robert Katz dal suo libro I giorni dell’ira, adattato da G. Ferrara; sceneggiatura: R. Katz, Armenia Balducci, G. Ferrara; fotografia: Camillo Bazzoni; musica: Pino Donaggio; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Gian Maria Volonté, Mattia Sbragia, Bruno Zanin, Consuelo Ferrara, Enrica Maria Modugno, Enrica Rosso; origine: Italia; produzione: Yarno Cinematografica; durata: 114′

La cronaca del rapimento e della prigionia di Moro, quasi un’instant-movie, in cui la descrizione dei fatti e gli scenari prospettati (la tesi del “grande vecchio”) si scontrano con una materia ancora fertile di scoperte e rivelazioni, impedendo una riflessione a freddo. «È in particolare la ricerca delle somiglianze fisiche, della vicinanza puramente esteriore con i referenti reali, a calare il film in una dimensione, a tratti, inconsapevolmente macchiettistica. Ad una simile tendenza sfugge, isolandosi completamente dal contesto, il Moro di Gian Maria Volonté, vero e proprio fulcro di una storia in cui i terroristi sono semplici esecutori di un fatale disegno» (Uva).

Ingresso gratuito

giovedì 15

ore 17.00

Io ho paura (1977)

Regia: Damiano Damiani; soggetto e sceneggiatura: Nicola Badalucco, D. Damiani; fotografia: Luigi Kuveiller; musica: Riz Ortolani; montaggio: Antonio Siciliano; interpreti: Gian Maria Volonté, Erland Josephson, Mario Adorf, Angelica Ippolito, Bruno Corazzari, Giorgio Cerioni; origine: Italia; produzione: Auro Cinematografica; durata: 120′

«Forse il documento più raggelante sugli anni di piombo» (Curti). Il questurino Ludovico Graziano è il tipico esemplare di poliziotto pasoliniano, quella “specie” con cui il poeta di Casarsa simpatizzò apertamente all’indomani degli scontri di Valle Giulia tra studenti e forze dell’ordine. Graziano è anche un poliziotto sui generis: ha una relazione turbolenta con una bella ragazza rossa di capelli e di gusti politici, tipica esponente della “buona razza” piccolo borghese, classista e figlia di papà. Il brigadiere di Volonté è ben lontano dai commissari di ferro del poliziottesco perché non è un duro, ma una figura delicata e sensibile che ha il coraggio di dire «io ho paura», facendosi portavoce di un sentimento quanto mai diffuso a tutti i livelli nella società dell’epoca. L’impianto del film di Damiani fa hitchcockianamente leva sulla classica figura dell'”innocente” capitato, suo malgrado, dentro un meccanismo che immancabilmente finisce per stritolarlo: un gioco fatto di stragi di innocenti e di alleanze tra terrorismo nero e sezioni deviate dello Stato» (Uva).

ore 19.00

Il belpaese (1977)

Regia: Luciano Salce; soggetto e sceneggiatura: [Franco] Castellano e Pipolo [Giuseppe Moccia], L. Salce, Paolo Villaggio; fotografia: Ennio Guarneri; musica: Gianni Boncompagni, Dario Farina, Paolo Ormi; montaggio: Antonio Siciliano; interpreti: Paolo Villaggio, Silvia Dionisio, Massimo Boldi, Gigi Reder, Raffaele Curi, Pino Caruso; produzione: I.I.F.; origine: Italia; durata 116′

Il ’77 secondo Luciano Salce e Castellano e Pipolo. Dopo anni passati a lavorare su una piattaforma petrolifera nel Golfo Persico, Paolo Villaggio torna a Milano per aprirsi un negozio con i suoi risparmi, ma troverà un’Italia completamente cambiata, invivibile, immersa in un clima di violenza e contestazione che la mano di Salce fumettizza con toni parossistici e grotteschi. L’unica speranza viene dalla giovane femminista Silvia Dionisio, che usa il piccolo borghese protagonista per i suoi progetti concepitivi. Speculare a Un borghese piccolo piccolo di Monicelli, la commedia plumbea di Salce è emblematica di come il cinema popolare rifletteva (su)gli anni di piombo, contribuendo a suo modo a formulare in diretta una lettura critica della società. Come sottolinea Marco Giusti: «teoricissimo».

ore 21.00

Incontro sul ’77 e l’ala creativa moderato da Pierpaolo De Sanctis e Christian Uva con Claudio Caligari, Nicola Caracciolo, Nico Cirasola, Renato De Maria, Pablo Echaurren, Marco Erler, Giancarlo Scarchilli, Vincenzo Sparagna, Pasquale Squitieri

Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Marco Erler Assalto alla diligenza (Memori, 2008)

a seguire

Paz! (2002)

Regia: Renato De Maria; soggetto: Ivan Cotroneo, R. De Maria; sceneggiatura: I. Cotroneo, Francesco Piccolo, R. De Maria; fotografia: Gianfilippo Corticelli; musica: Meme, Francesco Zampaglione, Riccardo Sinigallia; montaggio: Jacopo Quadri; interpreti: Claudio Santamaria, Max Mazzotta, Flavio Pistilli, Matteo Taranto, Rosalinda Celentano, Iaia Forte; origine: Italia; produzione: Tangram Film, Rai Cinema, Stream, ITC Movie; durata: 102′

«”I giorni, le notti, gli amori, gli esami, i sogni, le canne, le sfighe, le mascalzonate, insomma tutto ciò che poteva capitare ai ragazzi di Bologna nel ’77″» (Ferzetti). Alcune delle opere più note di Andrea Pazienza costituiscono gli storyboard dai quali il regista decide di partire per dare forma al suo film, ora rifacendosi fedelmente a certi tratti distintivi di quei materiali, ora distaccandosene completamente per tradirli sotto forma di immagini e suoni nei quali si irrora l’energia centrifuga contenuta nei riquadri dei fumetti d’origine. Dai diversi contesti in cui Pazienza li cala quali antieroi tragici all’unico territorio filmico in cui De Maria, grazie all’ausilio della tecnologia digitale, li riunisce tutti assieme, Zanardi detto “Zanna”, liceale pluriripetente, Pentothal, fumettista fuorisede e fuoricorso, e Fiabeschi, studente in fragile equilibrio tra amore, esami e un servizio militare incombente, vivono ventiquattro ore delle loro vite sgangherate, dalle quattro del mattino all’alba successiva, nella Bologna del ’77» (Uva).

Ingresso gratuito

venerdì 16

ore 17.00

Cercasi Gesù (1982)

Regia: Luigi Comencini; soggetto: L. Comencini, Massimo Patrizi; sceneggiatura: L. Comencini, M. Patrizi, Antonio Ricci; fotografia: Renato Tafuri; musica: Fiorenzo Carpi; montaggio: Antonio Siciliano; interpreti: Beppe Grillo, Maria Schneider, Fernando Rey, Alexandra Stewart, Ornella Pompei, Giuseppe Cederna; origine: Italia/Francia; produzione: Intercontinental Film Company, Société Nouvelle Cinévog; durata: 108′

Un editore cerca una persona il cui volto possa ricordare quello di Gesù per riprodurlo in un libro. La persona giusta si rivela un ragazzo senza fissa dimora. «Tutto il contegno di simpatico modello ha qualcosa di curiosamente evangelico, grazie a una semplicità di parole e di gesti che potrebbe pur prendersi per sprovveduto candore se non vi fosse il sospetto di una misteriosa consapevolezza dell’anima umana. Tale semplicità arriva a toccare nell’intimo le coscienze di coloro che vi si accostano: turba, sebbene non sino alla redenzione, una giovane drogata cui il buon giovanotto ha pietosamente passato i proventi del manifesto; e mette in salutare ancorché pericolosa crisi la brigatista di cui sopra, Francesca, al punto di renderla incapace di dar di piglio alla pistola quando ciò le sarebbe richiesto dai piani della ribellione. Sicché ella, invece del mistico amico, finisce con sacrificare se stessa alla vendetta dei compagni traditi» (Biraghi).

ore 19.00

Una fredda mattina di maggio (1990)

Regia: Vittorio Sindoni; soggetto e sceneggiatura: Graziano Diana; fotografia: Safai Teherani; musica: Riz Ortolani; montaggio: Alberto Gallitti; interpreti: Sergio Castellitto, Margaret Mazzantini, Roberto De Francesco, Leonardo Ferrantini, Marina Vlady, Gabriele Ferzetti, Giambattista Cajafa; origine: Italia; produzione: Bravo production, Rai; durata: 102′

Il film è ispirato all’assassinio del giornalista del «Corriere della Sera» Walter Tobagi. Ruggero è un giovane giornalista che scrive su un importante quotidiano milanese, è sposato e ha un figlio. Le indagini sull’omicidio di un anziano collega lo portano a scoprire l’appartenenza a gruppi terroristici di giovani insospettabili, ma la sua insistenza lo allontana non solo dalla famiglia, ma dai colleghi che sono sempre più ostili nei suoi confronti. Pur ricevendo chiari segnali sulla possibilità di essere la prossima vittima, va avanti con coraggio e determinazione. Una fredda mattina, mentre si reca al giornale, viene ucciso da sei colpi di pistola.

ore 21.00

Incontro sul ritratto di una generazione prima e dopo il terrorismo moderato da Pierpaolo De Sanctis con Beppe Cino e Vittorio Sindoni

a seguire

Rosso di sera (1989)

Regia: Beppe Cino; soggetto e sceneggiatura: B. Cino; fotografia: Adolfo Bartoli; musica: Carlo Siliotto; montaggio: Emanuele Foglietti; interpreti: Massimo Venturiello, Cristiana Borghi, Tomas Arana, Manuela Gatti, Franco Citti, Egidio Termine; origine: Italia; produzione: Moviemachine; durata: 90′

La vita dell’ex contestatore Alex scorre piatta, senza più emozioni: il lavoro in una ditta di autotrasporti, un matrimonio fallito, la figlia, una giornalista con la quale ha una relazione, gli amici. Finché riaffiora il passato… «Nell’ordine del cinema sugli sconfitti ai quali è dovuto tuttavia l’onore delle armi, Rosso di sera assume quindi un significato non trascurabile grazie all’asciuttezza del segno di Cino, sia che compia il ritratto di quel continuo fuggiasco, dell’amico Pais, della giornalista Margit tutta ormai conquistata dalla logica della competitività, della serva Teresa che subito s’arrende al mito dell’amore, sia che ambienti l’azione in luridi quartieri o su spiagge abbandonate» (Grazzini).

Ingresso gratuito

sabato 17

ore 17.00

Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada (1983)

Regia: Lina Wertmüller; soggetto: L. Wertmüller, Silvia d’Amico; sceneggiatura: L. Wertmüller, Age; fotografia: Camillo Bazzoni; musica: Paolo Conte; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Ugo Tognazzi, Piera Degli Esposti, Gastone Moschin, Roberto Herlitzka, Renzo Montagnani, Enzo Jannacci; origine: Italia; produzione: Radio Video Service; durata: 110′

«La vicenda si svolge a Roma sulle pendici del Gianicolo. Poco oltre il Fontanone, una macchina supercorazzata e tecnicamente sofisticata procede a strappi e poi si arresta dinanzi alla villa dell’onorevole democristiano De Andreis. Nella macchina, oltre l’autista, c’è il Ministro degli Interni. Intervengono due carabinieri, sopraggiunge De Andreiis, e dopo un dialogo inconcludente, la potente macchina viene spinta nel garage della villa. Ora si tratta di liberare il ministro dalla sua mostruosa prigione. Occorre agire con la massima discrezione per non suscitare uno scandalo, facendo supporre che il ministro sia stato vittima di un attacco terroristico. Vari personaggi vengono a complicare la vicenda tra cui la moglie dell’onorevole, femminista e innamorata di un capo terrorista. L’avvocato Agnelli, contattato per telefono, invia con un super-jet il suo miglior meccanico che tuttavia riesce solo a far funzionare il condizionamento dell’aria e rischia di far congelare il povero ministro. Frattanto giunge la notizia che il famoso capo terrorista Pedrinelli è evaso dal carcere e trova rifugio nei sotterranei-catacombe della villa. Così la moglie dell’onorevole si incontra col suo innamorato e, complice il marito, tenta con lui di fuggire all’estero; ma la diabolica macchina del ministro con uno spettacolare congegno risucchia nel suo interno tutte le persone presenti nella villa. Sono così tutti accomunati, imprigionati, annientati» («Rivista del Cinematografo»).

ore 19.00

Colpire al cuore (1982)

Regia: Gianni Amelio; soggetto e sceneggiatura: G. Amelio, Vincenzo Cerami; fotografia: Antonio Nardi; musica: Franco Piersanti; montaggio: Anna Napoli; interpreti: Jean-Louis Trintignant, Laura Morante, Sonia Gessner, Laura Nucci, Vanni Corbellini, Vera Rossi; origine: Italia; produzione: Antea Cinematografica, Rai; durata: 109′

«Con Colpire al cuore […] Gianni Amelio riprende la questione padri-figli al centro de La tragedia di un uomo ridicolo per declinarla nell’incomunicabilità tra un ex partigiano (Jean-Louis Trintignant), professore all’università di Milano con frequentazioni nell’ambiente della lotta armata, e il figlio quindicenne, un giovane anagraficamente già fuori dalla generazione dei terroristi, ma che a questa è costretto a rapportarsi per tentare di comprendere il padre e la realtà plumbea che lo circonda. […] Tra i maggiori meriti del film c’è quello di aver saputo descrivere con precisione un certo ambiente intellettual-borghese milanese (lo stesso in cui maturò l’omicidio di Walter Tobagi) e, al contempo, di aver inquadrato i terroristi né come eroi né come folli o stupidi, bensì, semplicemente, come uomini e donne (“i terroristi non hanno tre teste o denti da vampiro”…)» (Uva).

ore 21.00

Il cinema del Csc

Tre bugie (2003)

Regia: Eros Achiardi; sceneggiatura: Vanessa Picciarelli, Cosimo Calamini, liberamente tratto da The Baker’s Wife di Sara Powers; fotografia: Ruth Torca; musica: Roberto Boarini; montaggio: Maria Fantastica Valori; suono: Brando Mosca; organizzazione: Fabio Ferrante; interpreti: Alba Rorhwacher, Maurizio Tesei, Valentina Coduti, Matteo Febo; organizzazione: Fabio Ferrante; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 15′

Un semplice gioco, apparentemente innocente, fa crollare le certezze di una giovane donna, che si troverà costretta a fare un viaggio nel suo inconscio e a giocare con le persone attorno a lei sul sottile crinale che separa l’innocenza dalla malizia, fino a mettere in gioco il suo stesso candore.

a seguire

Segreti segreti (1984)

Regia: Giuseppe Bertolucci; soggetto: G. Bertolucci; sceneggiatura: G. Bertolucci, Vincenzo Cerami; fotografia: Renato Tafuri; musica: Nicola Piovani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Lina Sastri, Rossana Podestà, Giulia Boschi, Alida Valli, Stefania Sandrelli, Lea Massari; origine: Italia; produzione: A.M.A. Film, Istituto Luce, Ital Noleggio Cinematografico; durata: 93′

«Il seme del film viene dal racconto di un ex partigiano, il montatore cinematografico Kim Arcalli, il quale, nel periodo della Resistenza, durante un’azione mirata ad uccidere l’Ammiraglio Capo del porto di Venezia, vide un suo compagno, preso dall’ansia, spararsi ad una gamba. Nel film di Bertolucci è Laura (Lina Sastri), la terrorista di estrazione altoborghese responsabile del duplice omicidio iniziale, il filo conduttore di una storia che passa attraverso sei donne. È ai loro “segreti” che guarda Bertolucci, ai loro vissuti ristagnanti che l’atto terroristico giunge a smuovere. L’opera di Bertolucci è una sorta di rebus teso a comunicare il senso di smarrimento con cui si avvertiva allora il fenomeno del terrorismo. La sua scelta, dunque, lontana dai meccanismi del cinema politico alla Rosi o Petri (mirato a fornire possibilmente delle tesi di risposta), coincide con la “via laterale” di un universo, perlopiù femminile, del quale si scandagliano effetti e affetti individuali» (Uva).

domenica 18

Carta bianca a… Goffredo Fofi

Prosegue al Cinema Trevi l’appuntamento con “Carta bianca a…”. Dopo Paolo Mereghetti, è la volta, giustamente, di Goffredo Fofi. A loro due, infatti, si deve l’idea di questa rassegna trasversale, volta a valorizzare le passioni più nascoste di critici e studiosi e a soddisfare quindi la curiosità dei cinefili grazie al recupero di capolavori e film dimenticati.

«Non ho mai amato molto Cesare Zavattini e del neorealismo mi sono piaciute le esperienze più forti, meno compromesse dal suo “buonismo”. È per questo che, nonostante sappia bene che i “grandi” del cinema italiano sono stati Rossellini, Fellini e Pasolini – coloro che hanno portato nel cinema qualcosa che il cinema non aveva -, i film che ho più amato negli anni della mia formazione sono stati tre opere di registi diversi da quelli: Due soldi di speranza di Castellani perché mi ha fatto scoprire un Sud non solo tragico, pieno di vitalità, di speranza (e più tardi ho visto da vicino quella realtà, in Campania, convincendomi della giustezza dello sguardo di quel regista); Bellissima di Visconti perché era eccezionalmente ibrido e barocco, e conteneva insieme una critica del neorealismo (dello zavattinismo degli “attori presi dalla vita”) e il ritratto di una Roma plebea di straordinaria, entusiasmante coralità (ero, come dicevano cattivamente i miei amici comunisti, un “populista”, ma non avevo da vergognarmene: un popolo allora c’era, ed era ricco di potenzialità), dominato dalla presenza strabordante e commovente di una grande attrice, l’immagine stessa dell’Italia; Il grido di Antonioni non solo per il ritratto a tutto tondo di un “perdente” come tanti ce n’erano e ce ne saranno nella nostra società, ma perché innalzava il melodramma, che era il genere portante della nostra cinematografia assieme al comico. Sono cresciuto a forti dosi di Totò e Matarazzo, e trovare in un cinema “per adulti” il divertimento e la commozione che amavo nei loro film, però nobilitati dall’analisi sociale e dall’intelligenza creativa, era il passaggio che mi serviva.

Oggi che il popolo è stato suicidato dalla televisione, dal benessere, dalla globalizzazione, da un’ignobile classe dirigente, e che si ride solo storto e che si piange solo se obbligati dalle circostanze più punitive, tornare a quei film è sempre, per me e forse non solo per me, un pro-memoria struggente. Ed è una pietra di paragone per giudicare della grande miseria del cinema italiano dominante, e ovviamente anche di quella del nostro popolo: di ciò che abbiamo accettato di diventare».

Goffredo Fofi

ore 17.00

Due soldi di speranza (1951)

Regia: Renato Castellani; soggetto: R. Castellani, Ettore M. Margadonna; sceneggiatura: R. Castellani, Titina De Filippo; fotografia: Arturo Gallea; musica: Alessandro Cicognini; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: Maria Fiore, Vincenzo Musolino, Filomena Russo, Luigi Astarita, Luigi Barone, Carmella Cirillo; origine: Italia; produzione: Universalcine; durata: 95′

Due fidanzati decidono di sposarsi malgrado siano entrambi poverissimi. Li aiuteranno i loro compaesani. «Film crudelissimo e affascinante» (Fofi), amato anche da Guido Aristarco: «Alla vivezza di Carmela, alla “rappresentazione” finora inedita di tutto un paese, alla felice individuazione di elementi tipici, contribuisce in modo particolare il dialogo, tra i più belli, e forse il più suggestivo del cinema italiano. […] Quali dunque le cause del maggior successo di Due soldi di speranza in confronto ad altri film socialmente più impegnati? Certo una di tali ragioni va ricercata nel potere di rappresentazione rapida, tutta guizzi e scorci di immediata evidenza del Castellani: e in quel suo dare della miseria e dei modi di vivere un’idea vivace e divertente; in quel suo ottimismo, nella sua facile “filosofia”. La quale appunto non impegna lo spettatore, non lo costringe allo sforzo della riflessione» (Aristarco).

ore 19.00

Bellissima (1951)

Regia: Luchino Visconti; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Francesco Rosi, L. Visconti; fotografia: Piero Portalupi, Paul Ronald; musica: Franco Mannino; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Anna Magnani, Walter Chiari, Tina Apicella, Gastone Renzelli, Tecla Scarano, Lola Braccini; origine: Italia; produzione: Società Film Bellissima; durata: 115′

Blasetti cerca una bambina per un film. Una popolana romana le prova tutte pur di assicurare alla figlia un futuro da star. Spietato ritratto del sottobosco che gravita attorno a Cinecittà, fabbrica di sogni e illusioni. Da uno spunto neorealista di Zavattini, dal quale Visconti si discosta mettendo a nudo i limiti dei metodi del neorealismo, racchiusi nella parabola di Liliana Mancini, interprete di Sotto il sole di Roma di Castellani, che qui compare come assistente montatrice. Uno dei tanti camei del film (oltre a Blasetti, Luigi Filippo D’Amico, Mario Chiari e Corrado Mantoni). «In una ideale classifica dei “migliori film” del cinema italiano, Bellissima (1951) viene per noi al primo posto, per il miracolo di una misura nata da una commistione spuria, anzi sporca addirittura, di “luoghi comuni” del tempo: Zavattini e il suo neorealismo a venatura cattolica e il post-neorealismo di “Cinema Nuovo”, […] la diva Magnani mai più così brava e la cialtronaggine operosa di Cinecittà, le osterie romane delle becere riunioni di famiglia e le arene estive dell’avanspettacolo, senza dimenticare Donizetti e Walter Chiari, i cori delle matrone tiberine e “Iris”, la protagonista di due o tre celebri film neorealisti ritornata nell’ombra, e perfino Hollywood e Howard Hawks quando alla Magnani estasiata nell’arena davanti alle scene di transumanza del Fiume rosso replica il saggio marito muratore: “Ma so’ solo vacche!”» (Fofi).

ore 21.00

Il cinema del Csc

La gioia degli altri (2006)

Regia: Marco Danieli; soggetto e sceneggiatura: M. Danieli, Mariano Di Nardo, Federico Fava, Antonio Manca, libero adattamento di Nuit de Noël di Guy de Maupassant; fotografia: Aluna Orano; montaggio: Emily Greene; musica: Alan Malusà Magno; suono in presa diretta: Davide D’Onofrio; montaggio del suono: Nicola Sobieski; scenografia: Annida Toni; costumi: Alessandra Stella; interpreti: Antonio Catania, Alba Rohrwacher, Carmen Giardina, Arianna Trombaccia; organizzazione: Silvia Polato; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 19′

Il Natale per molti non è altro che l’ennesima conferma della propria solitudine. Un informatore scientifico e una prostituta albanese trascorrono assieme un’insolita vigilia.

a seguire

Il grido (1957)

Regia: Michelangelo Antonioni; soggetto: M. Antonioni; sceneggiatura: M. Antonioni, Elio Bartolini, Ennio De Concini; fotografia: Gianni Di Venanzo; musica: Giovanni Fusco; montaggio: Eraldo da Roma; interpreti: Alida Valli, Steve Cochran, Betsy Blair, Dorian Gray, Lyn Shaw, Gabriella Pallotta; origine: Italia; produzione: S.P.A. Cinematografica; durata: 115′

Il pellegrinaggio senza meta di un operaio, accompagnato dalla figlioletta, dopo aver lasciato la donna con la quale conviveva da anni. Antonioni osa «mostrare psicologia e solitudine di un operaio» (Fofi) raggiungendo vertici assoluti, come sottolineato da Filippo Sacchi: «Ci sono pezzi degni di un classico. C’è tutto il mondo del basso Polesine, trasferito intero sullo schermo coi suoi paesi, i suoi orizzonti, le sue genti. C’è una folla di personaggi unici e indimenticabili, come il tragico Aldo di Steve Cochran, così semplice e predestinato, la formidabile Virginia di Dorian Gray (una vera e propria rivelazione), la dolente e delicatissima Elvia di Betsy Blair, e infine quello straordinario tipo che è il vecchio [Guerrino] Campanili, un paesano polesano preso tal quale, col suo cappello e tutto, che è un vero monumento di natura: i suoi colloqui con Rosina sono pezzi unici. Insomma, se l’arte ha qualche diritto, questa è arte».

lunedì 19

chiuso

martedì 20

ore 17.00

Il ragazzo di Ebalus (1984)

Regia: Giuseppe Schito; soggetto e sceneggiatura: G. Schito; fotografia: Paolo D’Ottavi; musica: Marcella Pasquali; montaggio: Angel Coli [Otello Colangeli]; interpreti: Riccardo Cucciolla, Saverio Marconi, Térèse AnnSavoy, Alida Maria Sessa, Paolo Amoruso, Chris Chiapperini; origine: Italia; produzione: Ebalus Cooperativa; durata: 101′

Marco Torrisi è un giovane terrorista che sta fuggendo in treno verso il sud Italia. I poliziotti della Digos lo stanno braccando. Ma anche i suoi compagni lo cercano per giustiziarlo perché a conoscenza di troppe cose. Giunto a Taranto, si rifugia nella campagna pugliese, dove incontrerà un vecchio contadino. «Il film, per via di alcune ingenuità, ha suscitato nel pubblico della “Venezia De Sica” tanta ilarità, semplice com’è nella sua costruzione. Un vero peccato perché la pellicola ha molti punti d’interesse che non sono soltanto quello di affrontare la realtà drammatica d’oggi» (Micalizzi). Presentato alla Mostra di Venezia, nella sezione De Sica, Il ragazzo di Ebalus risulta inedito nelle sale cinematografiche.

ore 19.00

Il cinema del Csc

La banda (2003)

Regia: Claudio Giovannesi; soggetto e sceneggiatura: Francesco Apice, Daniela Gambero; fotografia: Francesco Pennica; montaggio: Stefano Mariotti; suono in presa diretta: Sandro Ivessich Host; scenografia e costumi: Alessandra Stella; musica: Claudio Giovannesi; interpreti: Valentina Lodovini, Simone Ottaviani, Nino Meloni, Leonardo Maddalena; organizzazione: Chiara Boschiero; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 8′

Un bambino vagabondo si innamora di una sassofonista che non riesce più a comporre. Con delicatezza proverà a sedurla.

a seguire

Fuga senza fine (1984)

Regia: Gianandrea Pecorelli; soggetto e sceneggiatura: G. Pecorelli, Maurizio Tini; fotografia: Roberto Locci; musica: Paolo Enrico Marrocco; montaggio: Luca Benedetti; interpreti: Massimo Bonetti, Clara Ferri, Anna Melato, Raul Mordenti, Alessandro Fabrizi, M. Tini; origine: Italia; produzione: Immaginazione Cooperativa; durata: 88′

Giovanni è un giovane che ha militato nell’estrema sinistra durante gli anni del terrorismo. Ha conosciuto chi in seguito è passato nelle fila della lotta armata. Ma da alcuni amici viene a sapere che il suo nome è fra quelli di possibili indagati. «Esordio nel lungometraggio di uno studente del CSC di sicuro talento. Più che bozzetti di vita romana erano i suoi primi cortometraggi. Fuga senza fine è più ambizioso, cerca di trattare temi come il terrorismo, il reinserimento di chi lo ha vissuto e di chi ne è stato toccato. Con un occhio forse ingenuo, ma sicuramente spontaneo. Malgrado molti (anche troppi) problemi di doppiaggio, sonoro, direzione degli attori, musica e inutili citazioni ferreriane, certe scene sono particolarmente riuscite (il dialogo tra la terrorista Anna Melato e Massimo Bonetti, il girovagare nella notte romana del gruppo di amici, ecc.)» (Giusti).

mercoledì 21

ore 17.00

Diavolo in corpo (1986)

Regia: Marco Bellocchio; soggetto: M. Bellocchio, Enrico Palandri; sceneggiatura: M. Bellocchio, con la collaborazione di Ennio De Concini; fotografia: Giuseppe Lanci; musica: Carlo Crivelli; montaggio: Mirco Garrone; interpreti: Maruschka Detmers, Federico Pitzalis, Anita Laurenzi, Riccardo De Torrebruna, Alberto Di Stasio, Catherine Diamant; origine: Italia/Francia; produzione: L.P. Film, Istituto Luce/Italnoleggio Cinematografico, Film Sextile; durata: 112′

Terrorismo, eros e psicanalisi secondo Bellocchio. All’epoca fu un grande successo di pubblico, anche se la critica togata storse il naso. Un giovane studente intreccia una storia con la figlia di un uomo ucciso dalle BR in procinto di sposare un ex-brigatista pentito. «C’è una sequenza che ha reso famoso questo film. Ha fatto scandalo, ha indignato i benpensanti, ha segnato un altro slittamento progressivo del comune senso del pudore. Proprio come fu per la famosa scena di Ultimo tango a Parigi. Qui Maruschka Detmers e Federico Pitzalis si uniscono in una fellatio, solo intravista tra ombre sapienti. Ma tanto bastò. Quella sequenza temo sia stata tagliata per la versione televisiva, il che costituisce, comunque, un delitto contro la libertà dell’autore e l’integrità dell’opera cinematografica, che dovrebbe essere tutelata dai beni culturali. Ma il film è anche altro, una storia di amore e distruzione, un trattato di psicanalisi. Lo scenario è quella Roma sospesa e inquieta degli anni di piombo del terrorismo. E il film è molto felice nella registrazione di quella confusione interiore, di quel tempo di subbuglio dell’ordine e delle gerarchie delle nostre coscienze. Era tanti anni fa. Sembra ieri» (Veltroni).

ore 19.00

La mia generazione (1996)

Regia: Wilma Labate; soggetto: Paolo Lapponi, Andrea Leoni, Giosi [Giuseppina] Mancini, Francesca Marciano; sceneggiatura: W. Labate, P. Lapponi, A. Leoni, Sandro Petraglia; fotografia: Alessandro Pesci; musica: Nicola Piovani; montaggio: Enzo Meniconi; interpreti: Silvio Orlando, Claudio Amendola, Francesca Neri, Vincenzo Peluso, Arnaldo Ninchi, Paolo de Vita; origine: Italia; produzione: Compact, Rai, Dania Film; durata: 95′

«1983: Braccio, un terrorista dissociato condannato a trent’anni, viaggia verso Milano su un furgone blindato, in compagnia di un capitano dei carabinieri e di un detenuto comune: a San Vittore dovrebbe poter incontrare la sua fidanzata, Giulia, ma il viaggio in realtà è una trappola per convincerlo a collaborare. In curiosa sintonia con La seconda volta, il film della Labate affronta il problema del terrorismo a posteriori, nelle sue conseguenze, e si chiude sul silenzio, sull’impossibilità di un dialogo: la sua riuscita sta nella messa in scena di questa afasia sottile – che ammette la sconfitta politica ma rivendica la dignità personale – attraverso un impianto narrativo classico (unità di luogo, tempo, azione). Il film ha origine da una storia vera […] e può contare sulla straordinaria interpretazione di due attori utilizzati in controtendenza rispetto ai loro ruoli abituali» (Mereghetti).

ore 20.45

Incontro sul terrorismo tra cinema e narrativa moderato da Arnaldo Colasanti e Christian Uva con Franco Bernini, Mimmo Calopresti, Silvia Dai Prà, Francesca d’Aloja, Giancarlo De Cataldo, Marcello Fois, Wilma Labate, Marco Leto, Gabriele Marconi, Sergio Toffetti

Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Christian Uva Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano (Rubbettino, 2007)

a seguire

Le mani forti (1997)

Regia: Franco Bernini; soggetto e sceneggiatura: F. Bernini, con la collaborazione di Maura Nuccetelli; fotografia: Paolo Carnera; musica: Dario Lucantoni; montaggio: Esmeralda Calabria; interpreti: Francesca Neri, Claudio Amendola, Enzo Decaro, Toni Bertorelli, Massimo De Francovich, Bruno Armando; origine: Italia; produzione: Fandango, Achab, Mediaset; durata: 98′

Una psicoanalista ha in cura un sedicente giornalista che è a conoscenza della verità sulla strage nella quale rimase uccisa sua sorella. L’uomo infatti era un ex agente segreto coinvolto nella “strategia della tensione”. Il film di Bernini, al suo esordio come regista dopo le ottime prove da sceneggiatore, «è soprattutto un’opera sulla Memoria ed eventualmente un ulteriore, ma certo non originale, atto d’accusa contro i servizi deviati e l’aberrazione di quello “Stato nello Stato” da essi costituito. La maggiore suggestione del film deriva dalle immagini della piazza vuota con il monumento alle vittime su cui si sente il drammatico audio originale dell’esplosione della bomba nel 1974 a Brescia» (Uva).

Ingresso gratuito

giovedì 22

ore 17.00

L’uscita (1989)

Regia: Marco Leto; soggetto e sceneggiatura: Annunziata Francola, Marco Leto; fotografia: Maurizio Dell’Orco; montaggio: Giuseppe Giacobino; interpreti: Almerica Schiavo, Piero D’Onofrio; origine: Italia, produzione: Tv Cine 2000, Rai Tre; durata: 98′

«Marina è un’ex brigatista che ha scontato la sua pena e che ora viene rimessa in libertà. Il film racconta i problemi e gli ostacoli psicologici e particolari cui la ragazza va incontro quando tenta di reinserirsi nella “normalità”» (Farinotti). Il film è stato scritto da una brigatista, Annunziata Francola, graziata nel 1999 dal presidente Oscar Luigi Scalfaro.

ore 19.00

A proposito di quella strana ragazza (1989)

Regia: di Marco Leto; soggetto: Nicola Badalucco; sceneggiatura: N. Badalucco, M Leto, con la collaborazione di Edi Luccioli, Mario Gallo; fotografia: Maurizio Dell’Orco; musica: Egisto Macchi; montaggio: Giuseppe Giacobino; interpreti: Helmut Griem, Joely Richardson, Umberto Morale, Duilio Del Prete, Silvio Anselmo, Margarita Puratich; origine: Italia: produzione: Filmalpha, Rai; durata: 93′

Un ingegnere vede sul giornale la foto di una ragazza che aveva conosciuto per caso qualche tempo prima. Lei si era presentata come un’universitaria, ex fidanzata del figlio, chiedendo ospitalità per alcuni giorni in cambio della disponibilità a svolgere mansioni domestiche. L’ingegnere, vedovo e ormai abituato a vivere da solo, si era legato sempre più alla ragazza, fino ad innamorarsene. Dietro le apparenze si nascondono tragiche trame. Tentativo di Leto di raccontare il confronto generazionale e l’insinuarsi del terrorismo nella società civile attraverso l’incontro di due persone ai margini, ma anche descrizione di un vuoto che conduce all’abisso. Nei titoli di testa si legge una frase di Willy Brandt: «Quale sarà lo spirito segreto del loro errore, e dove mai abbiamo cominciato a sbagliare?».

ore 21.00

Incontro su una generazione “invisibile” con Pasquale Squitieri e Italo Moscati

a seguire

Gli invisibili (1988)

Regia: Pasquale Squitieri; soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Nanni Balestrini, adattato da P. Squitieri e Sergio Bianchi; sceneggiatura: N. Balestrini, Italo Moscati, P. Squitieri; fotografia: Giuseppe Tinelli; musica: Renato Serio; montaggio: Mauro Bonanni; interpreti: Alfredo Rotella, Giulia Fossà, Igor Zalewsky, Victor Cavallo, Lorenzo Piani, Paola Rinaldi; origine: Italia; produzione: Vidi Produzione; durata: 100′

Inizi anni ’80. Un giovane estremista di sinistra, che ha rifiutato la lotta armata, è arrestato ed è costretto a subire le pene e i tormenti del carcere speciale. Instaura un’amicizia con un “professore” e discute coi compagni di prigionia intorno alle scelte politiche intraprese. Ma una rivolta all’interno del carcere aggraverà la sua condizione di prigioniero politico. «Primo film italiano che ripercorra il destino dei giovani disarmati del Movimento del ’77, rimasti schiacciati fra terrorismo e repressione, rimossi dalla storia sociale italiana, cancellati dalla memoria sino all’invisibilità: è tratto da quel bellissimo romanzo omonimo di Nanni Balestrini […] che, insieme con Vogliamo tutto dello stesso autore […], rappresenta la sola testimonianza letteraria alta degli anni 1968-1980 così importanti e laceranti per l’Italia» (Tornabuoni).

Ingresso gratuito

venerdì 23

ore 17.00

La meglio gioventù (2003)

Regia: Marco Tullio Giordana; soggetto e sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli; fotografia: Roberto Forza; montaggio: Roberto Missiroli; interpreti: Luigi Lo Cascio, Adriana Asti, Sonia Bergamasco, Maya Sansa, Fabrizio Gifuni, Alessio Boni; origine: Italia; produzione: Bibifilm, Rai; durata: 187′ + 185′

«Gli ultimi 40 anni di storia italiana raccontati attraverso le vicende private di due fratelli, delle loro famiglie e dei loro amici. Tra i principali sfondi storici allestiti da Giordana alle spalle dei protagonisti non poteva mancare quello degli anni di piombo, che fanno irruzione nella vita di Nicola attraverso la figura della sua compagna Giulia. È questo il personaggio che nel film spinge il Sessantotto fino alle estreme conseguenze, quelle di una lotta armata motivata da un imprescindibile “bisogno sociale di comunismo”, ma anche, soprattutto, da una nevrosi personale che sembra derivare più da un malessere individuale che da un’ideologica insofferenza per i torti sociali diffusi. La molla che fa scattare la definitiva presa di posizione è una sorta di vendetta che matura all’indomani dell’uccisione a Bologna di “quel ragazzo” durante gli scontri di piazza con le forze dell’ordine (si fa riferimento al militante di Lotta continua Francesco Lo Russo). È allora che la donna compie la scelta fondamentale: invece di curare se stessa per adattarsi ad una società in cui non si riconosce (strada alla quale crede il suo compagno Nicola, psichiatra allievo di Basaglia), decide di ricorrere all’uso delle armi per “curare” la società e fare in modo che questa si adatti a quelli come lei. Non è dunque un caso che la saga di Giordana affidi proprio al personaggio di Lo Cascio (che, curiosamente, sarà invece il super-terrorista Mario Moretti in Buongiorno, notte) l’onere di farsi simbolo di una linea della “fermezza” che lo condurrà a denunciare la sua stessa compagna» (Uva).

1^ parte

ore 20.30

La meglio gioventù (2003)

2^ parte

24-25 maggio

(In)visibile italiano: Quando la coppia scoppia: lui, lei e il ’68

Che cosa accade quando anche il privato diventa politico? Quando anche i sentimenti e la sessualità vengono messi in discussione perché troppo borghesi, elementi connaturati di un mondo che doveva essere abbattuto e abolito in quanto ipocrita e repressivo… che cosa rimane? Può ancora esistere la coppia uomo/donna? Domande che possono magari trovare una chiave di risposta proprio in un certo cinema italiano a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 che, facendo propri i silenzi e le incomunicabilità di un Michelangelo Antonioni, le trasgressioni simboliche di un Pier Paolo Pasolini (in primis Teorema), i delicati ritratti femminili di un Antonio Pietrangeli, ha posto in primo piano la questione dell’emancipazione femminile e il conseguente modificarsi del rapporto di coppia. Qualcuno cerca di aggrapparsi al cinema di genere per tradurre questo tipo di problematica nella nuvola pop di un fumetto (Alberto Cardone con Io, donna), o facendo rientrare il tutto all’interno di un genere “spogliato” per eccellenza come il cinema erotico (Guardami nuda di Italo Alfaro). Qualcun altro riprende la forma del melodramma per scarnificarlo ancora di più (Giuliano Biagetti, L’età del malessere). Tuttavia un nuovo inizio per una nuova coppia sembra tardare ad arrivare come dimostrano L’assoluto naturale di Mauro Bolognini e Come l’amore di Enzo Muzii. I silenzi, i disagi, gli sguardi e i “come eravamo” regnano sovrani quando il dibattito tanto voluto è terminato sul nascere. Non bastano di certo gli indici puntati contro l’egoismo maschile della regista Elda Tattoli che con Pianeta venere ci dimostra, in un terribile teorema, che è meglio rimanere soli piuttosto che male accompagnati. Come nella retrospettiva Schermi in fiamme, di questi film rimarranno soprattutto le immagini: i décor pseudo-fantascientifici, i corpi e i volti di un mondo che si pensava di poter cambiare anche attraverso l’amore libero. Forse perché le immagini, rispetto agli uomini, hanno il dono che, seppure usurate dal tempo, rimangono sempre giovani. «Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza» (Aldo Busi, Seminario della gioventù).

Rassegna in collaborazione con Pierpaolo De Sanctis

sabato 24

ore 17.00

Guardami nuda (1971)

Regia: Italo Alfaro; soggetto e sceneggiatura: I. Alfaro; fotografia: Fausto Zuccoli; musica: Bruno Zambrini e Gianni Meccia; montaggio: Adriano Tagliavia; interpreti: Ugo Pagliai, Dagmar Lassander, Yves Beneyton, Pier Paola Bucchi, Franco Angrisano, Serena Bennato; origine: Italia; produzione: Parf Cinematografica; durata: 90′

Emblematico quanto tardivo film sul filone della coppia borghese in crisi. Lo schema è simile a molti prodotti coevi: un lui (Ugo Pagliai) e una lei (Dagmar Lassander) sono in automobile. Flashback e flashforward interrompono come un monologo interiore i silenzi e gli sguardi di disagio dei due. Pierpa (Pier Paola Bucchi), una autostoppista hippy, sconvolgerà per sempre le loro vite. E la loro vacanza a Pestum, sarà l’inizio di una nuova esistenza. Strano film pop, dalle atmosfere erotico marittime surreali, con battute indimenticabili, echi di un’epoca ormai remota. «Che vuol dire essere borghesi?» chiede Magda incuriosita a Pierpa. «Fare l’amore il sabato sera, scopando senza pillola ma stando attenti a non fare figli. Fare il brodo con la carne ma che sa di dado» risponde prontamente la spigliata ragazza. E ancora di fronte a un sempre più spaesato Ugo Pagliai la seducente Pierpa lo affonda con una battuta che non ammette repliche verbali: «Non esistono donne frigide ma uomini pigri». La soluzione che il film propone è esplicitata in una battuta di un hippy un po’ svitato: «Parlare è una masturbazione intellettuale». Meglio fare l’amore piuttosto che discuterlo.

ore 19.00

Pianeta venere (1972)

Regia: Elda Tattoli; soggetto e sceneggiatura: E. Tattoli, con la collaborazione di Marco Bellocchio; fotografia: Dario Di Palma; musica: Stelvio Cipriani; montaggio: E. Tattoli, Mario Morra; interpreti: Bedi Moratti, Mario Piave, Francisco Rabal, Lilla Brignone, Bianca Verdirosi, Marina Berti; origine: Italia; produzione: Ultra Film; durata: 90′

Un ex partigiano, dopo la guerra, intraprende con successo la carriera politica, diventando dirigente di partito. Conosca una bambina e dopo molti anni la rincontra. Fra i due nasce una storia d’amore, ma ben presto l’arrivismo dell’uomo cancella il lato sentimentale della loro relazione, riducendola a vuota routine. «Film popolare, destinato a diffondere fra le masse la coscienza dell’umiliante status delle donne, Pianeta venere affianca sarcasmo e pietà in una specie di autoritratto dell’autrice sullo sfondo della recente storia italiana. È un film che piacerà soprattutto alle spettatrici, ma che aiuterà anche il pubblico maschile a individuare, fra le pieghe della rabbia, colpe e viltà» (Grazzini). Film d’esordio di Elda Tattoli, collaboratrice di Bellocchio.

ore 21.00

Come l’amore (1968)

Regia: Enzo Muzii; soggetto: E. Muzii; sceneggiatura: Tommaso Chiaretti, E. Muzii, Ludovica Ripa di Meana; fotografia: Luciano Tovoli; musica: Shawn Phillips; montaggio: Gerardo Bortolan; interpreti: Alfred Lynch, Anna Maria Guarnieri, Giuseppe Salierno, Valentino Esposito, Barbara Ruffo, Paul Theodore Flynn; origine: Italia; produzione: Fraia Film; durata: 87′

«Come l’amore segna l’esordio nel lungometraggio di Enzo Muzii e il debutto cinematografico di Anna Maria Guarnieri. Battesimo felice, perché Muzii mostra di sapersi inserire con accenti personali nella pattuglia di punta del cinema italiano, e alla Guarnieri, per la sua straordinaria fotogenia, si apre la strada di nuovi successi. Come l’amore non è un film facile, e come molte opere prime nate in ambienti di cultura soffre di qualche artificio (senza dire il debito verso Antonioni), ma è interessante per il modo con cui cerca di visualizzare l’ambiguità del reale. Muzii è fotografo di professione: passando al cinema il pericolo, ovviamente, era quello dell’immagine calligrafica, dell’astrazione intellettualistica, cui si aggiungeva, poiché il film è girato a Positano, quello del compiacimento paesistico e folcloristico. Se ha evitato questi rischi è perché ha raggiunto un buon equilibrio fra l’idea e la forma, sottraendo il racconto sia alle convenzioni naturalistiche sia agli estetismi del mestiere. Il film ha per protagonisti un fotografo inglese (interpretato dal duttile Alfred Lynch) e un’attrice italiana, appunto la Guarnieri, che ritrovandosi dopo due anni cercano di far rivivere i sentimenti del passato, e perciò ripercorrono i luoghi e ripetono i gesti del loro primo incontro. Ma non si scherza con l’amore» (Grazzini).

domenica 25

ore 17.00

L’assoluto naturale (1969)

Regia: Mauro Bolognini; soggetto: dal romanzo omonimo di Goffredo Parise; sceneggiatura: Ottavio Jemma, Vittorio Schiraldi, Mauro Bolognini; fotografia: Ennio Guarnieri; musica: Ennio Morricone; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Laurence Harvey, Sylva Koscina, Isa Miranda, Felicity Mason, Isabella Cini, Amalia Carrara; origine: Italia; produzione: Tirrenia Studios; durata: 90′

«Parabola sulla crisi dei rapporti di coppia, in odor di ’68. Un Bolognini astratto, a contatto col kitsch del periodo e fortemente a tesi. Siamo dalle parti di Metti una sera a cena di Patroni Griffi o La donna invisibile di Paolo Spinola, entrambi coevi. Tutto si gioca nell’incontro un po’ forzato tra il lui della situazione (un tormentato Laurence Harvey), poeta inglese in vacanza in Italia che sogna l’amore come sentimento assoluto, unione di corpo e di spirito, e la lei del caso (una bellissima Sylva Koscina), attratta drasticamente e soltanto dal rapporto fisico, dall’amore carnale che prende e dà quando lei lo decide, spavalda donna-mantide in grado di anticipare tutto un clima femminista a venire, in modo forse ancor più radicale rispetto alla Dagmar Lassander di Femina Ridens (1969)» (De Sanctis).

ore 19.00

L’età del malessere (1968)

Regia: Giuliano Biagetti; soggetto: dall’omonimo romanzo di Dacia Maraini; sceneggiatura: Luciano Lucignani, G. Biagietti, D. Maraini; fotografia: Antonio Borghesi; musica: Stefano Torossi; montaggio: Marcella Bevilacqua; interpreti: Haidée Politoff, Jean Sorel, Gabriele Ferzetti, Eleonora Rossi Drago, Salvo Randone, Claudio Gora; origine: Italia; produzione: Salaria Film, Cormons Film, Pomar Film; durata: 115′

«Ritratto di un’adolescente inquieta, Enrica, e della sua impassibilità amorosa, che la conduce da un letto a un altro alla ricerca di una realtà affettiva sempre sfuggente e intangibile. Biagetti confeziona un film sincero, delicato, quasi un Pietrangeli in minore, pregno di spleen e umori esistenzialisti, dipingendo con una certa grazia sommessa la psicologia e sociologia del difficile sviluppo dell’identità femminile nell’italiana società dei consumi post-boom. Importanti le musiche e la descrizione di una Roma autunnale e da impermeabile. Perfetta la Politoff, che si scrolla di dosso Rohmer preparandosi per il ruolo sadiano di Scacco alla regina (1969). Spregevole il personaggio interpretato da Gabriele Ferzetti, marito donnaiolo ricco e cinico. Jean Sorel monoespressivo come sempre. Claudio Gora una garanzia. Salvo Randone toccante e melò» (De Sanctis).

ore 21.00

Io, donna (1971)

Regia: Albert Cardiff [Alberto Cardone]; soggetto: Willy Colombini; sceneggiatura: A. Cardone; fotografia: Gino Santini; musica: Mike [Michele] Lacerenza; montaggio: A. Cardiff; interpreti: W. Colombini, Nancy Cardinale, Heidi Fisher, David Sàin, Norman Jordan, Angel De Leos; origine: Italia; produzione: Atomic Production, Allumiere; durata: 89′

Roy, interpretato da un Willy Colombini che firma anche il soggetto, è un fotoreporter italo-americano di successo che fotografa casualmente a Central Park una donna di colore che colpisce un poliziotto e contemporaneamente si libera di un flacone di droga. Ma la ragazza appartiene a una setta femminista che si propone di rovesciare il predominio maschile. Una dei capi è Nancy, una fotomodella amica di Roy, il quale è completamente ignaro della seconda vita dell’amica. Stranissimo e cultissimo film Io, donna. Praticamente indefinibile. All’inizio sembra un 007 italico. Il film, dal titolo programmatico vagamente e falsamente femminista Io, donna, vira poi verso un poliziesco con tanto di spacciatori di droga, inseguimenti e scazzottate. Ma quando tutto sembra delinearsi in un normale e anonimo film d’azione, Albert Cardiff, ovvero il nostrano Alberto Cardone, cambia nuovamente registro all’opera arrivando a un sublime psichedelico di rara bellezza pop. Ma l’emancipazione femminile, il rapporto uomo/donna appartiene a un’estetica da fumetto o al serial televisivo statunitense tanto amato da Andy Warhol, Batman. La crisi di coppia? Risolvibile in un fumetto.

lunedì 26

chiuso

27 maggio-1 giugno

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

La Cambogia è uno dei paesi che maggiormente hanno sofferto per la crisi del sud-est asiatico nella seconda parte del secolo scorso. La maestosa ricchezza culturale del suo passato ha dovuto affrontare prima gli affanni della guerra e poi gli anni degli orrori con il regime di Pol Pot. Soltanto ora possiamo affermare che il paese è recuperato al gioco democratico, sia pure fra mille difficoltà. Della Cambogia si conoscono le sofferenze, passate e attuali: una realtà difficile, per la situazione sanitaria, le migliaia di mutilati per le mine antiuomo che continuano ancora ad esplodere, la piaga della povertà con le sue terribili conseguenze, a cominciare dalla prostituzione minorile.

L’impegno di alcuni personaggi di rilievo del paese, da Somaly Mam a Rithy Panh, sta però sensibilizzando l’opinione pubblica di tutto il mondo e qualcosa, forse, sta cominciando a cambiare. Ma la Cambogia nel mondo significa soprattutto Angkor Wat, il sito archeologico riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Questo meraviglioso complesso di templi rappresenta una delle forme più alte di arte khmer realizzata tra l’XI e il XIII secolo e, nella complessa opera di restauro, si sono impegnati anche studiosi italiani.

La Cambogia ha una cultura antica e ricca che Pol Pot e i suoi Khmer rossi hanno cercato di distruggere nella degenerazione della loro propaganda politica. Ora si sta cercando di recuperare questo importante patrimonio sia attraverso qualche documento che si è salvato, sia attraverso il contributo di chi, come è accaduto, ad esempio, per il balletto, conserva ancora la memoria di antichi rituali.

martedì 27

ore 17.00

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

W Verde (1987)

Regia: Ennio Marzocchini; soggetto e sceneggiatura: E. Marzocchini; fotografia: Pierfrancesco Cadeddu; musica: Claudio Mattone; montaggio: Gianmaria Messeri; interpreti: Pietro Bontempo, Daniela Cenciotti, Stefano Cossa, Antonello Baranta, Angelo Kokaris, Karin Marzocchini; origine: Italia; produzione: Kes Film Società Cooperativa; durata: 82′

«Nel 1968, alcuni studenti guevaristi, per sfuggire alla polizia trovano rifugio nell’appartamento della nonna di uno di loro. In nome della Rivoluzione minacciano un suicidio collettivo, ma uno solo, Leone, trova il “coraggio” di spararsi. Finito in coma, il mancato suicida si risveglia vent’anni dopo, trovando un’Italia ben diversa da quella che lui sognava. I suoi amici si sono pigramente imborghesiti. Solo la sua ex ragazza, Serena, ha continuato a battersi per qualcosa di utile: l’ecologia. A lei, ancora lottando, si unisce di nuovo Leone. Prodotto e terminato nel 1987, il film ha ottenuto il visto di censura soltanto nel febbraio 1990. Forse non del tutto inedito (da qualche parte deve essere stato proiettato nel maggio 1990), ma sicuramente visto da pochissimi» (Poppi).

ore 19.00

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

City of Ghosts (2002)

Regia: Matt Dillon; soggetto e sceneggiatura: M. Dillon, Barry Gifford; fotografia: Jim Denault; musica: Tyler Bates; montaggio: Howard E. Smith; interpreti: M. Dillon, Stellan Skarsgard, Natascha McElhone, James Caan, Gérard Depardieu, Rose Byrne; origine: Usa; produzione: Banyan Tree, Mainline Productions, Kintop Pictures, Living Films, Eternity Pictures, Mgm, Sud-Est, United Artists; durata: 116′

Da New York un assicuratore di pochi scrupoli parte per Phnom Penh, capitale della Cambogia, diventata negli anni Novanta zona franca e corrotta per i latitanti di mezzo mondo. Vuole rintracciare il suo paterno capo, artefice di una truffa imponente, che gli ha soffiato la sua parte di bottino. Il soggiorno gli procura più di un guaio, ma è l’occasione di fare i conti con se stesso e trovare una donna da amare. Scritta da M. Dillon con Barry Gifford (Cuore selvaggio), ricca di echi da Conrad e Graham Greene, è un’opera prima che non manca d’interesse, nonostante i presunti difetti rimarcati dai critici americani (lentezza, estetismo, velleità d’autore).

Ingresso gratuito

Presentazione del volume Sergio Citti. Lo “straniero” del cinema italiano

Sergio Citti. Lo “straniero” del cinema italiano (Lithos editrice, 2008), curato da Maurizio De Benedictis, è uno strumento per un’introduzione ai punti essenziali della storia di un autore, scomparso da qualche anno. Grande amico di Pier Paolo Pasolini, diviene consulente linguistico per il dialetto romanesco collaborando in quella veste sia a romanzi (Ragazzi di vita, Una vita violenta), sia a film (Accattone e Mamma Roma). Diventa ben presto aiuto regista, da La ricotta (1963) a I racconti di Canterbury (1972). Il 1970 segna l’esordio alla regia di Sergio Citti con Ostia, un film profondamente pasoliniano (soggetto e sceneggiatura portano la firma di Pasolini), così come è strettamente legato alla sua poetica anche il successivo Storie scellerate (1973). La sua produzione – salvo rari casi – è abbastanza sconosciuta. L’interesse verso il suo cinema, se si eccettuano i pochi addetti ai lavori, è declinato col tramonto del cinema d’autore italiano, sommerso dall’attuale pochezza o nullaggine. Diventa pertanto utile, e necessaria, una pubblicazione dedicata alla sua figura di regista e di sceneggiatore per poterne capire meglio l’opera e la poetica. Il volume contiene, tra l’altro, preziosi contributi di alcuni personaggi del mondo del cinema che hanno lavorato con lui. È diviso in tre parti: nella prima sono raccolti scritti e documenti riguardanti il suo lavoro come regista e come insostituibile collaboratore di Pasolini e la testimonianza diretta di un suo assistente con il quale ha collaborato alla stesura di varie sceneggiature, rimaste inedite e, in parte, riportate in questo volume. Nella seconda sezione sono pubblicate, invece, delle interviste ad attori e tecnici del cinema che hanno lavorato in alcuni suoi film. Infine, nell’ultima sezione, oltre ad una raccolta d’immagini significative dei film di Citti, appare una galleria fotografica sui luoghi dove Pasolini ha ambientato le scene dei suoi film, espressive locations dovute al talento e alla conoscenza di Citti. Per sfatare qualche semplicistico giudizio su Citti come autore naïf lo studio presenta una quantità di valutazioni, dati e testimonianze che lo inseriscono definitivamente nel gruppo degli autori di cinema più vitali e interessanti degli ultimi decenni.

ore 21.00

Incontro moderato da Maurizio De Benedictis con Carlo Croccolo, Ugo De Rossi, Anna Falchi, Virgilio Fantuzzi, Alessandro Haber, Marco Lodoli

a seguire

Storie scellerate (1973)

Regia: Sergio Citti; soggetto e sceneggiatura: S. Citti, Pier Paolo Pasolini; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Francesco De Masi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Franco Citti, Ninetto Davoli, Nicoletta Machiavelli, Silvano Gatti, Enzo Petriglia, Sebastiano Soldati; origine: Italia/Francia; produzione: P.E.A., Les Productions Artistes Associés; durata: 97′

Esiste un legame fra Storie scellerate (1973), secondo film di Sergio Citti, il romanzo picaresco e in genere la tradizione realistica europea: il filo che li accomuna è l’assenza di preoccupazioni didascaliche e moraleggianti. I personaggi del film, infatti, appaiono ben poco dominati dalle esigenze morali, essendo portati per sopravvivere a compiere azioni riprovevoli. Gli episodi raccontati, ispirati in gran parte alle novelle del Bandello, mostrano da un lato il prevalere della nascente borghesia in cerca di successo, dall’altro il declino del mondo contadino e sottoproletario, a cui lo stesso Citti appartiene. In questo complicato processo il regista esamina, in fondo, il prevalere della mentalità piccolo-borghese, in un ambiente – quello dello stato della Chiesa descritto dal Belli – in cui i sentimenti della dignità e dell’onore tramontano in una competizione basata sulla beffa e sulla vendetta. Emerge, pertanto, un vivo senso del comico e toni spregiudicati in cui s’intrecciano il sesso e la morte. Quest’opera s’inserisce nel passaggio dalla Trilogia della vita alla Trilogia della morte di Pier Paolo Pasolini, co-sceneggiatore del film, ed è la rappresentazione di un mondo popolare in trapasso, fatto di giovani accattoni affamati di cibo ed eros, costretti a guadagnarseli con mille astuzie che li pongono di là della morale e della stessa storia civile.

Ingresso gratuito

mercoledì 28

ore 17.00

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

Roma Paris Barcelona (1990)

Regia: Paolo Grassini e Italo Spinelli; soggetto e sceneggiatura: Oliviero Spinelli, I. Spinelli, P. Grassini, con la collaborazione di Laura Morante; fotografia: Claudio Meloni; musica: Adriano Tirelli, Guido Zaccagnini; montaggio: Maurizio Baglivo; interpreti: Giulio Scarpati, Emilio Bonucci, Enrica Origo, Fréderique Charbonneau, George Claisse, Jean-Jacques Ftida; origine: Italia; produzione: Cooperativa Doppio Movimento; durata: 85′

Alla fine degli anni Settanta Renato è un rifugiato politico che vive a Parigi, isolato dai suoi compagni, di cui non condivide più gli obiettivi. Due vecchi compagni, giunti dall’Italia, lo coinvolgono in un azione terroristica, da compiere a Barcellona. «Insolitamente in bianco e nero e percorso da una certa suspense, Roma Paris Barcelona è un road-movie interiore e claustrofobico, giocato all’interno del labirinto mentale dei personaggi. Il discorso sul terrorismo è lucido e misurato, senza ammiccamenti né inutili condanne di maniera» (Mereghetti).

ore 19.00

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

Okùnchiràn – Emergency in Cambogia (2006)

Regia: Claudio Rubino, Emanuele Scaringi; soggetto e sceneggiatura: Vauro, E. Scaringi; montaggio: Roberto Di Tanna; origine: Italia; produzione: Fandango; durata: 50′

Vauro parte per la Cambogia, uno dei paesi più poveri al mondo e con una delle percentuali più alte di mutilati da mine. Emergency ha avviato il suo intervento in Cambogia nel 1997, con la costruzione del Centro chirurgico di Battambang per le vittime di guerra, dove arrivano moltissimi feriti ogni giorno.

 

 

 

 

Pek Kom, 38 anni, è saltato su una mina mentre tentava di raccogliere frutta e funghi nella foresta per cercare di sfamare la sua famiglia. Nel letto d’ospedale è solo. Sua moglie è lontana e non lo può raggiungere. Vauro decide di intraprendere un lungo viaggio all’interno del paese alla ricerca della moglie. Questo forzato on the road gli permette di conoscere e farci conoscere, attraverso immagini uniche e coinvolgenti, uno dei paesi dove, nonostante la guerra sia ormai finita da 15 anni, la popolazione vive tuttora in condizioni estreme di povertà e insicurezza, affrontando la vita, comunque, con coraggio e determinazione.

Ingresso gratuito

Presentazione del documentario L’isola delle rose, la tragedia di un paradiso

La società di produzione audiovisiva, l’Altravista, ha prodotto nel 2007 un importante documentario che ha riscosso un notevole successo critico: L’isola delle rose, la tragedia di un paradiso. Il documentario, realizzato con il sostegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è andato in onda il 27 gennaio, Giornata della Memoria, su The History Channel, unico documentario italiano selezionato.

L’isola delle rose è una storia italiana che non è stata mai raccontata da un documentario. Lo spunto del film è autobiografico: il ritorno a Rodi della regista/autrice con la propria madre, che in quell’isola ha vissuto gli anni dell’infanzia, essendo figlia di un militare italiano, in seguito internato in Germania (1944-45), e di un’ebrea rodiota. La parte ebraica della famiglia, quella materna, fu deportata ad Auschwitz e uccisa (estate 1944). Attraverso l’intreccio di storie individuali raccontate da coloro che le hanno vissute in prima persona, il film vuole fare luce sulla storia del Dodecaneso Italiano e il suo tragico epilogo, restituendone per quanto possibile anche una memoria visiva, mediante il recupero di rari filmati d’archivio, con interviste a testimoni ed esperti e con un viaggio nella Rodi odierna. Il documentario vuole anche tener viva la memoria della comunità ebraica del Dodecaneso. La Cineteca Nazionale è orgogliosa di presentare tale evento al Cinema Trevi con i protagonisti che lo hanno reso possibile: la regista del film Rebecca Samonà e la protagonista Erminia Licitri Samonà. Parteciperanno inoltre il regista Amedeo Fago, Gloria Arbib (UCEI) e Claudia Pampinella (L’Altravista).

ore 21.00

Incontro con Rebecca Samonà, Erminia Licitri Samonà, Amedeo Fago, Gloria Arbib, Claudia Pampinella

a seguire

L’isola delle rose (2007)

Regia: Rebecca Samonà; soggetto: R. Samonà, Sara Pozzoli; sceneggiatura: R. Samonà; consulenza scientifica: Esther Fintz Menascè; musiche: Daniele Del Monaco; montaggio: Letizia Caudullo, Barbara Fantini; suono: Maximiliano Angelieri, Enrico Medri; origine: Italia; produzione: L’Altravista; ente finanziatore: Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI); durata: 56′

«Questo film è in parte la conclusione di due ricerche parallele su L’isola delle rose, condotte separatamente negli ultimi anni da mia madre e me. Io per anni ho accumulato libri, articoli, diari, memorie, vecchie fotografia. Ho scovato collezionisti di documenti; ho visionato filmati di repertorio Luce dove la propaganda del fascismo magnificava le meraviglie “italiane” di Rodi e del Dodecaneso. Ho contattato esperti e storici, cercando di capire perché il Dodecaneso non figurasse mai né come una parte integrante della storia coloniale italiana né come parte drammatica della “Shoah italiana”. Per colmare questa lacuna covavo il desiderio di realizzare un giorno un documentario storico che finalmente svelasse al grande pubblico questa tragedia italiana sconosciuta. Negli stessi anni mia madre conduceva un’altra ricerca: portando alla luce e trascrivendo i diari e le lettere scritte da suo padre Ernesto dal campo di concentramento. […] Recentemente, durante la lavorazione del film storico, che sono stata in grado di cominciare grazie al contributo dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, le due ricerche parallele sono confluite in una sola» (Rebecca Samonà).

Ingresso gratuito

giovedì 29

ore 17.00

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

La fine è nota (1992)

Regia: Cristina Comencini; soggetto: liberamente ispirato al romanzo omonimo di Geoffrey Holliday Hall; sceneggiatura: C. Comencini, Suso Cecchi d’Amico; fotografia: Dante Spinotti, Jean-Yves Escoffier; musica: Alessio Vlad, Claudio Capponi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Valérie Kaprisky, Corso Salani, Carlo Cecchi, Mariangela Melato, Valeria Moriconi; origine: Italia/Francia; produzione: Cineritmo, Rai, Les Films Alain Sarde; durata: 96′

La vita di un avvocato sembra scorrere liscia come l’olio: una bella casa, una bella moglie, molti soldi e molta fama. Ma un giorno, mentre sta rientrando a casa, viene sfiorato dal corpo di un uomo, un ex terrorista di Prima Linea («è la prima volta che tale organizzazione di estrema sinistra viene esplicitamente chiamata in causa dal cinema», Uva), che si schianta sul marciapiede. Tutto muterà in inchieste fitte di sospetti, tranelli, enigmi. Tratto da un romanzo di Geoffrey Holliday Hall, sceneggiato dalla regista con Suso Cecchi d’Amico, il film è un «whodunit (chi l’ha fatto?) travestito da whydunit (perché l’ha fatto?)» (Morandini).

ore 19.00

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

La seconda volta (1995)

Regia: Mimmo Calopresti; soggetto e sceneggiatura: Heidrun Schleef, Francesco Bruni, M. Calopresti; fotografia: Alessandro Pesci; musica: Franco Piersanti; montaggio: Claudio Cormio; interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Nanni Moretti, Valeria Milillo, Simona Caramelli, Roberto De Francesco, Marina Gonfalone, Francesca Antonelli, Paolo De Vita; origine: Italia; produzione Sacher Film; durata: 80′

Torino. Un professore universitario incontra per caso la ragazza, che, anni prima, gli aveva sparato in un attentato terroristico, ma lei non lo riconosce. Cominciano a frequentarsi, ma quando lui le rivela la propria identità il dialogo e il confronto non saranno possibili. «Il primo film di Mimmo Calopresti, quarant’anni, nato in Calabria e vissuto a Torino, documentarista sociale, è un racconto morale, dunque qualcosa di raro nel cinema italiano. Descrive per la prima volta la condizione attuale degli ex terroristi in semilibertà, raggiunge una piena consonanza tra forma e contenuti, adotta un approccio serio, sensibile, rigoroso, e anche se le idee di regia sono poche riduce la piattezza e monotonia dello stile con la profondità dell’analisi e l’interpretazione. Nanni Moretti è grande, la sua faccia carica di segni esprime con mezzi minimi e intensità le emozioni del professore: l’impassibilità coatta di chi ha dovuto subire l’insopportabile, rancore, curiosità, una sfumatura di cattiveria vendicativa, l’ostinazione di chi cerchi di curarsi con un farmaco amarissimo; e Valeria Bruni Tedeschi è bravissima con il viso opaco, gli sguardi sabbiosi, l’andatura dimessa, la calma ingannevole delle vite negate» (Tornabuoni).

ore 21.00

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

Apocalypse Now (1979)

Regia: Francis Ford Coppola; soggetto e sceneggiatura: F. F. Coppola, John Milius, liberamente tratto dal romanzo di Joseph Conrad Cuore di tenebra; fotografia: Vittorio Storaro; musica: Carmine Coppola, F. F. Ford, Mickey Hart; montaggio: Lisa Fruchtman, Richard Marks, Gerald B. Greenberg, Walter Murch; interpreti: Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall, Dennis Hopper, Frederic Forrest, Larry Fishburne; origine: Usa; produzione: Zoetrope Studios; durata 150′

Vietnam, terzo anno di guerra, al capitano Willard viene affidata una missione segreta e delicatissima: uccidere il colonnello Kurtz che, si dice, è impazzito e sta combattendo una sua guerra privata. Willard risale un fiume per raggiungerlo ed è come se percorresse tutti i gironi dell’inferno. Quasi nulla è comprensibile: attacchi con gli elicotteri, al ritmo de La cavalcata delle valchirie di Wagner, un ufficiale che fa surf sotto i bombardamenti, battaglie all’insegna del napalm, ponti sospesi con illuminazioni che sembrano grottescamente le luci di Disneyland. Il loro incontro segnerà il destino di entrambi. «È il più visionario e sovreccitato film sul Vietnam, trasformato in mito. Delirante, eccessivo, diseguale, ricco di sequenze straordinarie, assai discusso e talvolta estetizzante nel suo ostentato brio stilistico» (Morandini). Palma d’oro al Festival di Cannes, ex aequo con Il tamburo di latta di Volker Schlöndorff. Oscar per la miglior fotografia a Storaro e per il miglior suono a Walter Murch.

Ingresso gratuito

venerdì 30

ore 17.00

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

Riconciliati (2000)

Regia: Rosaria Polizzi; soggetto e sceneggiatura: R. Polizzi; fotografia: Giovanni Battisti Marras; musica: Simone De Santis, Remo Fiore; montaggio: Paolo Benassi; interpreti: Veronica Visentini, Giovanni Vettorazzo, Paola Pitagora, Vittorio Viviani, Beatrice Palme, Ana Valeria Dini; origine: Italia; produzione: Technovisual; durata: 96′

«In un lungo weekend si ritrova un gruppo di amici, eterogenea rappresentanza degli ultimi venticinque anni della sinistra italiana. Alcuni di loro non si vedono da tempo, l’occasione dell’incontro è l’uscita dal carcere di un ex amico e compagno, accusato dell’uccisione di un giudice negli anni ’80. Roberto Ferro è in libertà condizionata e vuole sapere chi, fra i suoi compagni di un tempo, l’ha denunciato» (www.cinecitta.com). «Il film Riconciliati porta la firma di Rosaria Polizzi, regista argentina che da tempo vive e lavora in Italia. Nota soprattutto come documentarista, la Polizzi racconta, attraverso una doppia lente, la vicenda degli ultimi 25 anni in Italia: da una parte la storia di chi, in nome dell’utopia socialista, abbracciò il terrorismo, dall’altra l’odissea dei parenti dei “desaparecidos” argentini, colpiti essi stessi da violenze psicologiche e torture fisiche» (www.italica.rai.it).

ore 19.00

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

Holy Lola (La piccola Lola, 2004)

Regia: Bertrand Tavernier; soggetto e sceneggiatura: Tiffany Tavernier, Dominique Sampiero, B. Tavernier; fotografia: Alain Choquart; musica: Henri Texier; montaggio: Sophie Brunet; interpreti: Jacques Gamblin, Isabelle Carré, Bruno Putzulu, Lara Guirao, Frédéric Pierrot, Maria Pitarresi; origine: Francia; produzione: Little Bear, Les Films Alain Sarde, Tf1 Films Productions, Canal +, Sofica Valor 6, Sogecinema 2; durata: 128′

Una giovane coppia, Pierre e Géraldine, parte per un viaggio iniziatico ai confini del mondo, in un paese martirizzato dalla Storia, la Cambogia, per cercare un bambino da adottare. Per loro inizia un’avventura spaventosa e straordinaria: giro degli orfanotrofi, confronto con le autorità francesi e cambogiane, minaccia di traffici. Senza dimenticare la diffidenza e la gelosia ma anche l’aiuto reciproco della piccola comunità di adottatori riuniti dal caso. «Con La piccola Lola il regista di Lione affronta il tema, di inquietante attualità, delle adozioni internazionali, ispirato dal romanzo della figlia Tiffany, autrice anche della sceneggiatura con il marito Dominique Sampiero. […] Rispetto all’iniziale progetto di un film di fiction, La piccola Lola si è gradualmente trasformato in un viaggio-inchiesta nel Paese asiatico e nelle difficoltà che incontrano gli aspiranti genitori europei. Tavernier con abilità ha fatto in modo che le naturali interferenze emotive e “politiche” di interpreti e troupe diventassero un elemento narrativo e consentissero allo spettatore di individuare il confine tra realtà e finzione» (Alberto Castellano).

Ingresso gratuito

Presentazione del film Una vita migliore

Una vita migliore rappresenta l’opera prima di un giovane regista, Fabio Del Greco. Il tentativo è quello di realizzare un noir, a basso costo, che racconti personaggi desolati e intrappolati nelle loro solitudini, in una Roma notturna cupa e svuotata. Regista, sceneggiatore, attore, Del Greco ha deciso insieme alla Monitore Film e alla Cooperativa Cinema Nuovi Orizzonti di restare lontano dalle logiche assistenzialiste dell’industria cinematografica e dai monopoli televisivi e di girare una storia in cui la misteriosa scomparsa di un amico di Andrea, che per mestiere fa l’investigatore privato lavorando sulle intercettazioni audio, innesca una serie di situazioni che il protagonista si troverà a fronteggiare, per aver nascosto una cimice nel posto sbagliato. Scrive a tal proposito Fabio Del Greco: «Un giorno incontrai una ragazza che esibiva sicurezza ed una forza di carattere fuori dal comune. Poi la conobbi meglio, e un pomeriggio scoppiò a piangere per una sciocchezza. Il mondo le stava crollando addosso. Era confusa. Era di una fragilità insospettabile. Forse questo film è una riflessione sull’arte di osservare, di ascoltare, insomma di quello che si fa quando si esce dal mondo reale per raccontarlo. Forse vuole parlare della sottile relazione tra i miraggi di successo propagandati dalla società di oggi, il potere e i rapporti umani più autentici. Uno “scuro nuvolone” incombe sulla città: sta inglobando tutti in una specie di massa indistinta, uniforme, dove tutti pensano le stesse cose, dove tutti sono più soli. Dov’è finita la parte più vera che ci rende unici? Forse si può provare a intercettarla solo di nascosto. Nonostante le apparenze ogni individuo è parte di una totalità che lo influenza profondamente. Non si può pretendere di salire su un treno diretto al polo nord e arrivare in Africa».

ore 21.15

Incontro con Fabio Del Greco e alcuni attori del film

a seguire

Una vita migliore (2007)

Regia: Fabio Del Greco; soggetto e sceneggiatura: F. Del Greco; collaborazione alla sceneggiatura: Max Perrotta; fotografia: Giorgio Bianchi Cagliesi; musica: Stefano Agnini; montaggio: F. Del Greco; interpreti: F. Del Greco, Chiara Pavoni, Gennaro Mottola, Gabriele Guerra, Max Cutrera, Aldo Cerasuolo; origine: Italia; produzione: Monitore Film/Cooperativa Cinema Nuovi Orizzonti; durata: 87′

Roma. Andrea Casadei è un giovane investigatore specializzato in intercettazioni audio. Si incontra spesso a piazza Navona col suo amico Gigi, artista di strada frustrato e ossessionato dal dover raggiungere il successo a tutti i costi, con il quale condivide la passione per i microfoni e le intercettazioni. Sconvolto dal mistero della scomparsa di Ciccio Simpatia, un altro artista di strada amico comune, decide di abbandonare i lavori su commissione per cambiare vita e riflettere sulla propria e altrui esistenza. Accompagnando Gigi al provino per il film Vampiri in città, per il quale si vuole proporre come fonico, incontra l’attrice Marina e grazie ad una microspia entrerà lentamente nella sua vita fino a scoprirne i segreti più impensabili…

Ingresso gratuito

sabato 31

Ricordando Alida Valli

Nel 2006 il Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale, a pochi mesi dalla morte di Alida Valli, dedicò alla grande attrice una lunga retrospettiva. A distanza di due anni, la nascita di un’associazione che porta il suo nome, presieduta dal figlio Carlo (presidente onorario) e dal nipote Pierpaolo, è l’occasione per tornare a parlare di lei e per conoscere le iniziative intraprese per mantenere vivo il ricordo della sua prestigiosa carriera.

Come scrivemmo nell’introduzione alla retrospettiva del 2006, Alida Valli esordisce nel 1936 con una particina – una commessa dell’emporio – ne I due sergenti, film in costume diretto da Enrico Guazzoni. Nell’autunno dello stesso anno, auspici Blasetti e Chiarini, è anche ammessa al corso di recitazione del Centro Sperimentale di Cinematografia, ad anno scolastico già avviato. Inizia da quel momento una folgorante carriera che la porta, già nel 1939, al secondo posto tra le attrici più amate dagli italiani, subito dopo la “fidanzatina d’Italia” Assia Noris. Nel dopoguerra anche Alida, come altre grandi dive italiane – citiamo solo Anna Magnani, Valentina Cortese, Sophia Loren – viene scritturata da una major statunitense, in questo caso da Selznick, ma, come per le sue colleghe, l’esperienza americana non è del tutto positiva. Tornata in Italia nel 1951, riprende a fatica la scalata al successo, che torna a raggiungere nel 1954 come protagonista di Senso, di Luchino Visconti, che le vale la “Grolla d’oro” a Saint Vincent. Negli anni successivi – nei quali si dedica assiduamente anche al teatro e alla televisione – continuano le sue interpretazioni memorabili sotto la direzione di grandi registi, come Antonioni, Pasolini, Zurlini, Chéreau, Bertolucci, Cherif, Bolognini, von Trotta. Instancabile, Alida continua a lavorare fino a pochi anni fa, lasciandosi alle spalle una lunga serie di personaggi, più o meno rilevanti, comunque sempre acutamente tratteggiati e degni di memoria. Un’attrice indimenticabile che il Centro Sperimentale di Cinematografia si onora di aver avuto fra le sue allieve.

ore 17.00

Stasera niente di nuovo (1942)

Regia: Mario Mattoli; soggetti: Luciano Mattoli, M. Mattoli; sceneggiatura: Luciano Mattoli, M. Mattoli, con la collaborazione, non accreditata, di Aldo De Benedetti, Marcello Marchesi; fotografia: Aldo Tonti; musica: Ezio Carabella; montaggio: Fernando Tropea; interpreti: Alida Valli, Carlo Ninchi, Antonio Gandusio, Giuditta Rissone, Dina Galli, Armando Migliari; origine: Italia; produzione: Italfines; durata: 88′

Un cronista di nera alcolizzato, in cerca di notizie in un commissariato, incontra la bella ragazza che lo aveva curato anni prima in Turchia. Anche lei non se la passa bene: è appena stata fermata dopo una retata ed è in preda alla depressione. Insieme cercheranno di salvarsi. «Mattoli prosegue nella politica (e nell’estetica) dei film “che parlano al vostro cuore”, concludendo una tetralogia iniziata con Luce nelle tenebre e che aveva lanciato Alida Valli. […] Famosa la scena di Gandusio (il dottor Moriesi) col canarino, praticamente improvvisata. La Valli canta Ma l’amore no di Giovanni D’Anzi, grande successo dell’epoca. Fu lo stesso regista a girare un remake nel 1955, L’ultimo amante» (Mereghetti).

ore 19.00

Incontro moderato da Alfredo Baldi con Carlo De Mejo, Pierpaolo De Mejo, Alberto De Martino, Carlo Lizzani, Robert Madison, Maurizio Ponzi, Gian Luigi Rondi, Marisa Solinas, Luca Verdone

a seguire

Come diventai Alida Valli” (2008)

Regia: Pierpaolo De Mejo; soggetto e sceneggiatura: Pierpaolo De Mejo, Antonio Tarallo dalla autobiografia inedita di Alida Valli; aiuto regia: Chiara Graziano; consulenza artistica: Marisa Solinas; voci narranti: Valentina Taddei, Maurizio Pulina; riprese: Lorenzo Di Ciaccia, Chiara Graziano; musiche: Armando Valletta; montaggio: Pierpaolo De Mejo, Armando Valletta; origine: Italia; produzione: Associazione Alida Valli, promossa dall’Imaie, con la collaborazione del Csc; durata: 55′

Il documentario, oltre che un’importante testimonianza dell’eredità ricevuta a livello umano ed artistico, è un modo originale per rendere noto al pubblico parte del vastissimo patrimonio documentaristico della diva. “Come diventai Alida Valli” ripercorre la vita dell’attrice dalla nascita fino all’esordio sul grande schermo con il film Il feroce saladino del 1937. I vaghi ricordi dell’infanzia nella città natale, Pola, l’adolescenza vissuta a Como, il rapporto con i genitori, i sogni ambiziosi di una giovane aspirante attrice e infine il tanto sognato arrivo nella città del cinema: tutto questo rivive attraverso le parole tratte dall’inedita autobiografia di Alida Valli recentemente ritrovata e lette dalla voce narrante.

L’opera raccoglie foto e testimonianze private dell’attrice nei ricordi del figlio Carlo e del nipote Pierpaolo, interviste a personaggi dello spettacolo che hanno vissuto accanto a lei momenti importanti della sua carriera. È il caso del maestro Piero Tosi, il cui rapporto lavorativo con la Valli è cominciato con Senso di Visconti e si è poi trasformato in una profonda amicizia, di Giuseppe Rotunno e di Lina Wertmüller.

Nella seconda parte del documentario si affrontano le problematiche del mestiere dell’attore, attraverso una vera e propria inchiesta che vede coinvolti anche i giovani attori che attualmente frequentano il Centro Sperimentale di Cinematografia. I ricordi dell’attrice e le interviste ai ragazzi offrono la possibilità di un confronto generazionale, in cui emergono le differenze, ma anche le affinità di sogni, ambizioni e ideali tra aspiranti artisti del passato e del futuro.

Ingresso gratuito

ore 21.00

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

The Killing Fields (Urla del silenzio, 1984)

Regia: Roland Joffé; soggetto: dal libro di Sydney Schanberg La morte e la vita di Dith Pran; sceneggiatura: Bruce Robinson; fotografia: Chris Menges; musica: Mike Oldfield; montaggio: Jim Clark; interpreti: Sam Waterston, Haing S. Ngor, Julian Sands, John Malkovich, Craig T. Nelson, Spalding Gray; origine: Gran Bretagna; produzione: Enigma Production; durata: 141′

È la storia dell’amicizia tra un giornalista americano e uno cambogiano, all’inizio degli anni Settanta: con l’arrivo dei Khmer rossi, il cambogiano salva la vita all’amico, ma poi scompare nell’inferno dei campi di lavoro e di sterminio. Interamente girato in Thailandia, è coraggioso, anticonformista e crudele per certi aspetti, soprattutto nella prima parte. Le responsabilità del governo Usa di Nixon nella catastrofe non sono taciute. Film leggendario («Se non è eccezionale questo film, proprio non sapremo quanti altri definire come tali», Segnalazioni cinematografiche), premiato da tre Oscar: miglior attore non protagonista a Haing S. Ngor (primo attore non professionista premiato con l’Oscar), migliore fotografia a Chris Menges, miglior montaggio a Jim Clark.

Ingresso gratuito

domenica 1 giugno

ore 17.00

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

Il rapimento Gancia (1996)

Regia: Matteo Pedani; soggetto e sceneggiatura: Luca Pellegrini, Maria Teresa Venditti; fotografia: Alfredo Betrò; musica: Giuseppe Manna; montaggio: Valentina Girodo; interpreti: Alessandro Bertolucci, Marcello Rubino, Beatrice Palme, Emiliano Campagnola, Federico Ramundo, Federico Pofi; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 12′

Ricostruzione del rapimento di Valarino Vittorio Gancia, industriale vinicolo, ad opera di un commando delle Brigate Rosse, del quale faceva parte Mara Cagol, poi morta nello scontro a fuoco con i carabinieri (fra i quali si registrarono un morto e due feriti). Due filosofie a confronto all’interno delle Brigate Rosse, drammaticamente a confronto durante il sequestro dell’industriale, reo, a loro giudizio, di essere un capitalista schierato contro la classe operaia. Mara parla di etica, di valori della lotta di classe e non vuole che il sequestrato sia colpito, il suo compagno (Curcio?) parla di fascismo e usa la violenza. A perire sarà Mara e la sua filosofia (il compagno riuscirà a fuggire nei boschi): vittima e non carnefice? Se le tesi sostenute fra le righe lasciano sconcertati, specie se non suffragate da fatti reali, l’opera è ben realizzata e raggiunge il suo vertice nel finale con Gancia che guarda la Cagol (e le concede il suo perdono, dicendo che non gli hanno fatto nulla) e sull’immagine della cascina, teatro del sequestro e del successivo scontro con i carabinieri per la liberazione di Gancia, si sovrappongono le immagini di repertorio del telegiornale del 5 giugno 1975, con la ricostruzione (vera) dei fatti.

a seguire

Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano

Guido che sfidò le Brigate Rosse (2007)

Regia: Giuseppe Ferrara; soggetto e sceneggiatura: G. Ferrara; musica: Pino Donaggio; montaggio: Adriano Tagliavia; interpreti: Massimo Ghini, Anna Galiena, Gianmarco Tognazzi, Elvira Giannini, Mattia Sbragia, Giulio Buccolieri; origine: Italia; produzione: Pianeta Spettacolo; durata: 102′

«Guido fu scelto come capro espiatorio dalle BR perché con solitario senso di responsabilità aveva deciso, in anni in cui non era così facile non ascoltare chi definiva i brigatisti “compagni che sbagliano”, di denunciare un caso di connivenza con le BR dentro la sua fabbrica, l’Italsider. Gesto che lo isolò e gli costò la vita. Queste sono le ragioni per cui vale la pena vedere il film» (D’Agostini). «Ferrara, anche autore della sceneggiatura, fornisce un quadro accurato e non di maniera del mondo operaio e dell’azione delle Brigate Rosse adottando ritmi e atmosfere di marca antitelevisiva. Pagine di cinema particolarmente indovinate sono quelle che descrivono la vita di Guido Rossa all’interno della famiglia e il suo rapporto con i colleghi operai» (Ossani).

Copia proveniente da Nuova Cooperativa Cine Tv – Ingresso gratuito

ore 19.00

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

Le papier ne peut pas envelopper la braise (2007)

Regia: Rithy Panh; soggetto e sceneggiatura: R. Panh; fotografia: Prum Mesar; musica: Marc Marder, Agnès Sénémaud; montaggio: Marie-Christine Rougerie; origine: Francia; produzione: Catherine Dussart Productions, Ina, France 3, France 5, Bophana Production, Sundance Channel, RTBF, Télé-Québec, TSR; durata: 90′

Nel cuore di Phnom Penh, alcune prostitute vivono nel “Palazzo bianco”, immenso blocco di cemento dai muri scrostati e finestre sprangate. Sono come parcheggiate in un bilocale quasi vuoto, arredato con stuoie per terra, contornate da madri, sorelle, fratelli e bambini a cui assicurano la sopravvivenza. Utilizzano un linguaggio tutto loro. Le papier ne peut pas envelopper la braise evoca la loro sorte di appestate, la vergogna di non poter ritornare ai loro villaggi perché, anche se nessuno conosce la loro sorte, esse hanno come l’impressione che la maledizione che le abita, che i loro corpi di “femmes mortes” portino la traccia incandescente delle loro ferite.

Ingresso gratuito

ore 21.00

Obiettivo Cambogia: una rassegna cinematografica

S21: La macchina di morte dei Khmer Rossi (2003)

Regia: Rithy Panh; soggetto e sceneggiatura: R. Panh; fotografia: R. Panh, Prum Mesar; musica: Marc Marder; montaggio: Marie-Christine Rougerie, Isabelle Roudy; interpreti: Khieu “Poev” Ches, Yeay Cheu, Nhiem Ein, Houy Him, Ta Him, Nhieb Ho; origine: Cambogia; produzione: INA; durata: 101′

Dal 1975 al 1978 un terzo della popolazione cambogiana è stata annientata, gli intellettuali uccisi, la tradizione e i legami culturali recisi. Vent’anni dopo Rithy Panh, scampato per caso al genocidio, è tornato nel suo paese dirigendo un lungo lavoro documentario di testimonianza e di ricostruzione della memoria.

Ingresso gratuito

Cinema Trevi (Vicolo del Puttarello 25 – Roma)

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