LEE MYOUNG – SE, IL FINE ARTIGIANO DEI “GENERI” COREANI
Che Lee Myoung – se (classe 1957) sia uno degli artigiani più pregiati del cinema coreano, è fuor di dubbio.
Sia preso con le pinze questo termine, “artigiano” appunto.
Artigiano derivante da ‘arte’, da quella sottile capacità di rendere personali e aprezzati dai più, temi e messa in scena di storie, anche complicate, a volte lineari, a volte no.
Un cinema fatto di corpi in movimento, o fermi, immobili nelle loro simmetriche silhouettes, in una messa in scena essenziale, zeppa di elementi poeticamente discordanti come pioggia, nebbia e luci rifratte.
Una attitudine quasi tutta coreana, questa.
Corpi semoventi, immersi in un contesto tutto loro, si possono vedere anche nelle nuove interessantissime generazioni di cineasti come Kim Ki Duk , Park Chan Wook o Kim Jee Woon si potrebbe forse intravedere negli ultimi anni, ed alcuni già lo fanno, una tendenza ad una interiorizzazione non più politica e sociale, ma personale, dell’individuo, di questa geometria dei corpi negli spazi, che forse, proprio con l’ultimo M, del 2007, di Myoung- Se in persona, ne è l’esempio e l’incarnazione più lampante.
La regia di Myoung-Se è difficilmente catalogabile o rinchiudibile in una o molte soluzioni formali ben precise, è fuor di dubbio, tuttavia, che nei film del regista, ci siano elementi ricorrenti.
La Pioggia/Acqua.
La pioggia e inquadrature di visi e volti che si volgono verso il cielo sono essenziali nelle pellicole di Myoung, dalla scena iniziale dello ieratico omicidio, meravigliosamente accompagnata da una Holiday dei Bee Gees mai così originalmente accostata a temi e sensazioni, del bel Nowhere To Hide – Injeongsajeong Bol Geat Opta – (1999), andando sino alla fine dello stesso film, dove le due figure antagoniste, nella più completa solitudine, fisica e mentale, sono letteralmente immerse dalla linea verticale della pioggia battente, che tutto inonda e riempie, compresa l’inquadratura e la visuale.
Altrettanto essenziale, la massa d’acqua, in M, dove la morte della misteriosa ragazza dei sogni dello scrittore, ne è letteralmente immersa, in una giornata di pioggia battente, dove i marciapiedi grondano acqua, una superficie riflettente come i sogni.
Altra forma d’acqua, scende ed occupa tutta la visuale dello schermo, sotto forma di placidi fiocchi di neve, che ieraticamente, lentamente ma inesorabilmente, occupano tutta la scena, immergono le silouhettes dei personaggi in First Love – Chut Sarag- (1994), quasi in una atmosfera irreale, a tratti “oltremondana”, dove una giovane e originale studentessa di teatro del primo anno si ritrova innamorata del suo professore, oppure in Duelist – Hyung-sa- (2005) dove, nell’ultimo periodo della dinastia Choson, una poliziotta e un misterioso spadaccino mascherato lottano in una danza di bellezza senza pari.
Scorci di vicoli.
Presenti essenzialmente in M, dove ritorna insistentemente una inquadratura del vicolo in cui si trova il misterioso locale ‘Lupin’, nel quale lo scrittore riesce a vedere la misteriosa ragazza proveniente dal suo passato che non ricorda più, in contrasto con un’altra inquadratura pressochè identica in flash back, dove sempre lo scrittore, incontrava per la prima volta la ragazza.
In First Love, la via in cui vive la ragazza, è inquadrata come lo stesso scorcio in M, sia per una ideale continuazione di intenti e pensieri tra i due film (vedere Dialogo con Myoung), sia per una simmetria visiva che si ritrova, forse fortuitamente, in quasi tutte le sue pellicole.
Ipotesi confermata dalla pressochè identica posizione che ha sulla destra, in primo piano, un vecchio negozio di barbiere con all’ingresso una insegna girevole, sia in una che nell’altra pellicola.
In Nowhere To Hide, il primo inseguimento del polizziotto con Sung Ming, si svolge tra le catapecchie della Corea, della grande città, tra i vicoli, tra colline e angoli dove sono parcheggiati motorini, bombole del gas, panni stesi.
E, spesso e volentieri, gli inseguimenti sono fatti in vicoli, anche in Duelist, nella cittadina dell’epoca della dinastia Choson, dove i personaggi vanno a sbattere con carni appese, verdure stese per terra ad essiccare e panni lasciati ad asciguare.
Questo tipo di inquadrature è ricchissimo, per sua stessa natura, di dettagli e, forse, di intima poetica/memoria del regista.
E’ indubbio che siano un modo per ricordare una sorta di Corea che è mutata dall’epoca di Duelist sino agli anni di First Love, per arrivare al metropolitano moderno, e a suo modo post-moderno, di Nowhere To Hide e M.
Personaggi Particolari.
Tutti i personaggi delle pellicole di Myoung sono essenzialmente degli outsiders, come modo di comportarsi e di esistenza.
Quello che si ricorda con più affetto è il commissario di Nowhere To Hide, intepretato da Jang Dong-Kun, faccia da schiaffi di quelle che non si dimenticano, senza arte né parte, solo nella vita, sarebbe stato un criminale se non si fosse unito alla polizia, sguardo sghembo, più cocciuto di un toro quando si ficca in testa qualcosa, fine come una mandria di bisonti in piena corsa, ricorda il mitico Jhon Belushi per strane alchimie visivo-fisiognomiche.
La detective di Duelist viene presentata, per più di metà pellicola, molto similmente a Jang, persino la smorfia di strafottenza, la bellezza della giovane Ha Ji-Woon viene valorizzata solo verso la fine, quando la sua femminilità viene fuori e sboccia come un fiore di rosa davanti alla placida e romantica luna.
La ragazza di First Love, parla allo spettatore, ha una posizione privilegiata di narrazione, ci osserva, cerca la nostra approvazione, è insicura, romantica, un pochino stramba e, come tutte le ragazze innamorate (?), un po’ distratta.
In M, la misteriosa ragazza è essenzialmente la stessa tipologia vista in First Love.
E’ da notare che ci sono, essenzialmente, due tipologie di donna e personaggio nella filmografia di Myoung, quella nei film dove si tratta l’amore, e quella nei film di “genere”.
Due tipologie agli antipodi.
Dialogo con Myoung.
Raccolto nella serata di Giovedì 13 marzo 2008, Cinema Massimo, in occasione della rassegna ‘Corea In Fiamme’ riproposta di alcuni dei numerosi film presentati al ‘Korea Film Festival’ di Firenze svoltosi tra il 7 e il 15 marzo 2008.
1 – Il cinema per me deve rappresentare l’amore e il senso della vita.
Sono contento che nella rassegna vengano presentati First Love e M, in effetti, il secondo titolo è una sorta di continuazione del primo, dopo tredici anni.
E’ il ricordo di un amore che non può (più) esistere, che, forse, abbiamo dimenticato.
E’ il ricordo di tempi ormai passati, infinitamente malinconico.
Visto che l’amore è una parte integrante della vita, i suoi meccanismi, anche quelli malinconici, dovrebbero essere rappresentati dal cinema.
Mi sono sempre chiesto cosa dovrebbe dare il cinema, penso sia, almeno, l’amore.
2 – Oggetti e volti che prendono lentamente forma con la luce.
Ho una fascinazione molto particolare per scene di “illuminazione”.
Mi piace quando un personaggio accende e spegne ripetutamente un accendino, a mò di mantra (Nowhere To Hide, M), In quel momento, si vede la faccia illuminata, in quell’effimero momento, il personaggio poltrebbe avere una “illuminazione”.
Mi piace, inoltre, vedere un oggetto prendere forma lentamente, dalla nebbia, dalla pioggia, dal buio, da un angolo, da un oggetto in primo piano che con la profondità di campo, lascia intravedere la figura che ha dietro.
E’ un effetto che uso spesso e volentieri.
3 – Il nome M.
Oltre ad essere il laconico nome della mia ultima pellicola, è il nome della piccola società che produce i miei film.
Mi piaceva perché oltre ad essere l’iniziale del nome della misteriosa ragazza del fim, è anche M come Murder!
Si, mi piace Hitchcock, e mi piace cosa può trasmettere la misteriosa laconicità di una sillaba.
Myoung- Se Lee nasce nel 1957.
Frequenta e si laurea l’Istitute Of Arts di Seul.
Uscito dalla scuola, collabora come aiuto regista di Bae Chang-ho.
Tra gli altri titoli che ha diretto, Gangman.
Ha diretto, fino ad ora, sei film.
Di DAVIDE TARO’
Membro del gruppo neo(N)eiga (www.neoneiga.it).
Autore della prima monografia su Oshii dal titolo:
‘OSHII MAMORU: Le Affinità sotto il guscio’ Morpheo Edizioni 2006 e di
‘ANIME 1984- 2007 : Storia dell’animazione giapponese’ IlFoglio 2007 con Andrea Fontana.
Ha collaborato alla redazione di
‘ANIME PERDUTE, Il cinema di Miike Takashi’ a cura di Dario Tomasi, Il castoro 2006.
Ha scritto contributi per
‘M. N. SHAMALAYAN: Filmare l’ombra dell’esistenza’ a cura di Andrea Fontana, Morpheo Edizioni 2007
‘
Jhonnie To’ di prossima pubblicazione per IlFoglio.