Time

A distanza di un anno da “L’arco”, Kim Ki-Duk ritorna e, questa volta, non solo sotto la veste di regista, ma anche di montatore, scrittore e produttore per il suo “Time”. Un film, questo, che analizza e vuole far riflettere sulle basi dell’amore e sulla sua evoluzione nel corso del tempo, mosso dalle sue personali convinzioni per cui ” è un desiderio istintivo cercare cose nuove. E’ umano soffrire a causa del passaggio del tempo. L’amore è trovare delle cose nuove nelle nostre attività abitudinarie”.

A differenza delle sue precedenti opere come “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera” oppure “Ferro 3 – La casa Vuota”, “Time” presenta un numero maggiore di dialoghi e di scene di massa, allontanandosi, in questo modo, parzialmente dal suo stile diretto e minimalista, ma conservando, comunque, gli stessi caratteri visivi sconvolgenti e dai contenuti più che mai originali tipici del suo lavoro.

La storia è quella di due giovani innamorati, Seh-hee e Ji-Woo, che vivono insieme da due anni, ma che ad un certo punto vedono le loro strade allontanarsi.

La causa scatenante è lo scorrere del tempo che porta See-hee a diventare ansiosa e a temere che Ji-Woo possa presto stancarsi di lei. Frustrata e angosciata da questa preoccupazione decide allora di scomparire per un periodo e senza alcun preavviso. Nel frattempo, però, Ji-Woo conosce diverse donne, ma non riesce a trovare una pace interiore e sarà un suo incontro con una nuova ragazza misteriosa a portare esiti imprevisti alla storia e a dare una sferzata decisiva al destino dei giovani innamorati.

Con questa pellicola Kim Ki-Duk abbraccia tematiche molto profonde e complicate come quella dell’amore, dell’inevitabile scorrere del tempo e della sofferenza. Del resto è noto come nella filmografia del regista coreano non sia una virtù nuova quella di occuparsi di argomenti talmente alti da non permettere allo spettatore di vedere i suoi film in maniera disinteressata e superficiale e anche in questo caso i suoi personaggi si trovano in situazioni estreme e ai limiti del normale.

Un’altra nota positiva del tredicesimo lavoro di uno dei più grandi cineasti che vengono dall’oriente è quella di riprendere la scena attraverso la lente della semplicità, riuscendo, in questo modo, ad affrontare temi importanti e complessi con un’apparente leggerezza che denota l’elevata abilità del regista nel trattare i sentimenti umani senza mai risultare pesante e ridurre il tutto in un puro esercizio di stile.

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