Find me guilty – Prova a incastrarmi

Il film narra la vera storia del più lungo processo penale della storia americana, durato 21 mesi (svoltosi tra il 1987 e il 1988) e la maggior parte delle testimonianze in aula presenti nel film, sono state basate sulle trascrizioni delle vere testimonianze processuali.
Il caso Lucchese raccolse, infatti, insieme e in una stessa aula di tribunale: 20 imputati, 20 avvocati difensori (uno per ogni imputato), 8 giurati sostitutivi, (per l’estrema lunghezza già prevista del processo e per i timori di corruzione dei membri della giuria) chiamati a decidere sulla colpevolezza di 76 capi d’imputazione.

L’originalità di questo processo è stata anche caratterizzata dal fatto che uno degli accusati, Giacomo detto “Jackie Dee” DiNorscio (interpretato da un buon Vin Diesel) decise di difendersi da solo.
Il film scorre velocemente (nonostante i suoi 125 minuti di durata), presentando pochissime location. Quasi tutto il film, infatti, si svolge in aula di tribunale, per passare poi alla prigione e a qualche ufficio giudiziario.

Insomma, un film-scommessa, visto e considerato anche che il regista Sidney Lumet ha scelto come attore protagonista per la sua pellicola, un personaggio famoso più per i suoi muscoli (Vin Diesel) che per le sue doti di attore. Ma il regista di New York è riuscito a superare benissimo questa prova, realizzando uno splendido gangster-movie che strizza l’occhio alla commedia (anche se il regista stesso ha dichiarato di non esser portato per questo genere) di film come “Mio cugino Vincenzo”, con il merito di aver innalzato all’Olimpo della cinematografia d’autore (S. Lumet ha ottenuto 50 candidature agli Oscar, culminate con un Oscar alla carriera conferitogli l’anno scorso) lo spaccone di Fast and Furious.
Ma se di meriti si parla, non si può tralasciare anche qualche critica negativa ad un film che continua a presentare l’Italia nel mondo come un sinonimo di mafia.

C’è una scena emblematica in cui un membro della famiglia Lucchese sventola una bandierina dell’Italia, proprio mentre si parla della malavita, come se il tricolore fosse emblema di questo stile di vita.
Tra umorismo e vera tragedia, il viaggio personale di Jackie Di Norscio riesce a coinvolgere lo spettatore, facendo, paradossalmente, provare anche affetto per (come ha dichiarato il regista) “un mafioso, trafficante di cocaina, bugiardo, sfruttatore di prostitute… insomma tutto quello che ci può essere di più spregevole e illegale… una persona assolutamente impavida.”

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