Romanzo Criminale
REGIA Michele Placido
SCENEGGIATURA Giancarlo De Cataldo, Stefano Rulli, Sandro Petraglia
PRODUZIONE Cattleya
DISTRIBUZIONE Warner Bros.
Sei un produttore avido e senza dignità. Prendi un romanzo di successo ed il suo ignaro autore e li affidi ad una coppia di sceneggiatori che già da anni hanno seppellito la loro creatività sotto una montagna di soldi. Mescoli il tutto e ne ottieni una miscela garbata ed inoffensiva da affidare ad un regista fantoccio, mediocre e plasmabile. Assoldi il meglio delle facce carine del cinema giovane italiano e ti compri quanti più spazi pubblicitari riesci ad ottenere. Stampi qualche centinaio di copie e fai preparare delle belle locandine. Poi aspetti.
E Cosa succederà? Soldi a palate? Stroncature dalla critica?
Chi se ne frega. Non è questo il punto. Il punto è che la nostra cultura muore sotto i colpi ben piazzati dei soldoni di un gruppo di finanzieri che investono nel cinema come se investissero nelle melanzane, senza badare alla dignità loro e di quello che fanno ma comprandosi tutto e tutti al solo fine di fare un investimento sicuro e redditizio.
La società di produzione più ricca d’Italia – fatta da fuoriusciti mediaset che annunciano con orgoglio sul loro sito di voler riformare il cinema italiano in senso industriale “producendo sei-otto film all’anno” e che vantano al loro attivo capolavori e blockbuster di grandi maestri come Cristina Comencini, Franco Zeffirelli (Callas forever), Michele Placido, Paolo Virzì (Caterina va in città) – si è comprata un romanzo bellissimo, ma scommetto che al di là delle questioni di gusto la vera attrattiva è stata il numero di copie vendute dal suddetto romanzo nella passata stagione. E già che c’era si è comprata anche il suo autore, che non si capisce come dopo aver scritto un libro così profondo sia in grado di presentarsi agli appuntamenti di promozione del film sostenendo che il tradimento del romanzo ha comportato una sorta di trasfigurazione della storia in qualcosa di diverso, di nuovo – forse in un cospicuo assegno?
Dopo una lunga lista di registi che per un motivo o per un altro hanno rifiutato di fare questo film, ecco saltare fuori il nome del fedele Michele Placido: con ancora nelle orecchie i fischi di Venezia 2004 per i suo Ovunque sei (prodotto dalla Cattleya medesima), come può non sembrare ovvia l’idea di affidargli un film così complesso? A pensarci bene, rileggendosi i già citati propositi dei fondatori della società di produzione non ci si poteva certo aspettare che corressero qualche rischio puntando magari su un giovane – per un investimento sicuro occorrono persone fidate, mestieranti che forse non faranno un capolavoro ma saranno meglio controllabili e porteranno a casa il risultato senza creare troppe complicazioni. Resta però da capire come mai nessuno si renda conto della pochezza registica di Placido, dello stato confusionale che trapela da ogni immagine, della esplosiva mancanza di una idea chiara di messa in scena che irrompe davanti agli spettatori fin dai titoli di testa. Persino Luca Bigazzi, che in tante occasioni ha dimostrato le sue grandi capacità di direttore della fotografia, ci regala in questa occasione uno svogliato e telefonatissimo look anni settanta, proprio quello che un regista assente ed un produttore capitano d’industria potrebbero desiderare: ambientazione anni settanta uguale fotografia anni settanta. Se eravamo negli anni trenta la facevamo più seppiata. Grazie, datemi l’assegno, e arrivederci.
Il cast è fatto di quello che abbiamo a disposizione senza dover fare troppa fatica a cercare: un gruppo di attori alcuni bravi (Pierfrancesco Favino) e alcuni scarsi (Kim Rossi Stuart) ma tutti accomunati dal fatto di essere bellocci e pronti ad indossare i fantastici modelli in stile anni settanta realizzati dal solerte reparto costumi che non lesina certo sul product placement. Jasmine Trinca è ormai prematuramente schiava del suo personaggio come lo fu Sean Connery di James Bond: ovunque reciti, è sempre una ragazza carina e buona, un pò ingenua ma molto intelligente e capace di grandi atti di coraggio. Non possiamo dimenticare in questa doverosa carrellata di interpreti la straordinaria modella di chanel che nella parte della battona Patrizia deve aver fatto luccicare gli occhi a un De Cataldo commosso per la straordinaria somiglianza con il personaggio del suo romanzo.
Infine, ogni investimento che sia proficuo nella nostra società necessita di un elemento chiave: la pubblicità. E allora avanti con poster e locandine alla pulp fiction, siti internet assolutamente privi di contenuti ma necessari nell’era della comunicazione, e soprattutto tanti tanti articoli conditi qua e là con un pò di polemica politica. La mia preferita – appassionante più di un reality – è in questi giorni quella tra Roberto Silvestri e lo stesso De Cataldo. Mentre il primo si fa difensore dei valori della contestazione, a suo giudizio calpestati dal film, il secondo si fa difensore ufficiale del tradimento – di cui lui stesso è complice – del proprio romanzo. La cosa buffa è che nel dialogo viene da dare ragione a De Cataldo, che molto candidamente afferma che il film non è altro che la storia di un gruppo di ragazzi di strada e un tentativo di analisi delle loro dinamiche sociali.
Ed è vero. Romanzo criminale, come tanti altri film italiani che ogni settimana dobbiamo vedere al cinema, non ha alcun contenuto politico. Niente. Nisba. E’ un film basato su fatti veri, su un periodo della nostra storia in cui una banda di stampo mafioso collusa con gli apparati più neri e più pericolosi dello Stato ha fatto il bello e il cattivo tempo arricchendosi con il mercato dell’eroina e agendo indisturbata grazie ad un reciproco scambio di favori con potenti che ancora oggi non possiamo o non vogliamo identificare. Ma di politica non c’è niente. Non c’è una posizione chiara, non ci sono nomi, non c’è niente di niente. La politica si muove sullo sfondo, in mezzo alle altre comparse, mentre noi assistiamo inermi alla storia di questi ragazzi carini che avevano un sogno e che sono finiti male.
Se il film fosse di destra o di sinistra, caro Silvestri, la situazione non sarebbe così grave. La tua sarebbe una sana discussione politica. Ma non è così. Romanzo criminale è, come tutto quello che viene da questi finanzieri del cinema, qualunquista, inutile, piatto e per questo gravemente responsabile dell’appiattimento totale della nostra cultura. E responsabili siamo anche noi, che cerchiamo di sopravvivere individualmente (chi facendo una fotografia anni settanta, chi polemizzando là dove non c’è niente su cui polemizzare) anzichè alzare la voce contro questo sfacelo.