THE ISLAND
Diretto da Michael Bay
Con Ewan McGregor, Scarlett Johansson, Sean Bean, Steve Buscami
Prodotto da Dreamworks Pictures, Warner Bros.
L’ossessione per una realtà sempre diversa da come ci appare è ormai da considerarsi uno dei temi fondamentali del cinema – e forse anche della letteratura – dell’ultimo decennio. Da Truman Show a Matrix, passando per Io, robot e Minority Report, la realtà si configura sempre più come un luogo complesso in cui un apparente stato di tranquillità e di evoluzione nasconde verità agghiaccianti, dovuto di volta in volta ad un dominio in qualche modo alieno o alla semplice degenerazione dello smisurato desiderio di evoluzione dell’uomo.
In The island questi due temi si trovano a convivere in una realtà fittizia che si fa strumento di illusione per nascondere la più crudele della verità: l’uomo che dispone dell’uomo, l’essere umano divenuto oggetto, prodotto di consumo non per un nemico estraneo ma per la semplice quanto agghiacciante voluttà del suo simile in uno scenario ispirato non solo sul piano morale alla crudeltà degli esperimenti nazisti in tempo di guerra.
Partendo da un incubo liberamente ispirato a Jean Vigo, Michael Bay ci racconta nel più autoriale dei suoi film la storia di un futuro molto vicino (è il 2019) in cui un esercito di cloni in tutto e per tutto identici ai loro “genitori” viene tenuto segregato in un mondo fittizio e sotterraneo al solo fine di coltivare corpi sani e perfettamente integri da cui prelevare organi e tessuti per prolungare la vita di chi li ha commissionati. L’isola cui si riferisce il titolo è una sorta di premio della lotteria che serve in realtà come pretesto per far sparire i cloni al momento necessario. Una sorta di assicurazione vivente per miliardari, insomma. Naturalmente tutto fila liscio fino a che uno dei cloni, per un difetto di tipo chimico, incomincia a sviluppare ricordi che non sono suoi ma del suo “padrone”, e decide di scappare per vedere cosa c’è nel mondo esterno.
Dunque una gigantesca scenografia tenuta in piedi da un complesso ologramma e da una sorta di teatro messo in piedi dal creatore del progetto cela al suo interno una verità complessa e sfaccettata, anzi una domanda. La domanda. Ovvero: quanto possiamo andare avanti con il nostro desiderio di evoluzione? Quando dobbiamo incominciare a riflettere sulle implicazione della nostra disperata ricerca di tecnologia, di conoscenza, di miglioramento? E poi: tutto questo non è forse, in fin dei conti, un folle ed individualista tentativo di sostituirsi alla divinità, la risposta ad un desiderio di dominio assoluto sulla natura e sul mondo? Il dubbio (se di dubbio si può parlare) emerge chiaramente in due momenti: nel dialogo finale tra il folle dottore Sean Bean e il mercenario da lui assoldato per ritrovare i “prodotti” scomparsi, e durante la lotta conclusiva con Ewan McGregor, in cui il dottore grida un “io ti ho dato la vita ed io te la toglierò” che svela anche troppo esplicitamente le sue intenzioni.
Ma il mondo non è impazzito soltanto nell’estremista dottore. Il produttore non esisterebbe se non ci fosse una richiesta precisa e costante. E così ecco un altro aspetto terribile di questa verità che non è poi così tanto fantascientifica: il desiderio dell’uomo di sopravvivere, la paura della morte, della malattia e dell’ignoto lo rendono folle e cieco. Quando il vero Ewan McGregor riconsegna il suo clone ai cattivi, fregandosene completamente della sua richiesta di aiuto e del fatto che migliaia di cloni verranno uccisi per essere rimpiazzati da altro cloni senza difetti, non esita a sottolineare che vuole solo vivere, non importa come. Insomma come dire: io prima di tutto, e chissenefrega degli altri. Non è forse vero?
Anche se con qualche ingenuità, e forse con un po’ di ritardo, questo The island è contro ogni aspettativa un film interessante, non banale e, sebbene ricco di scene d’azione, non certo fine a se stesso. Michael Bay, che dopo il bello e siegeliano The rock mi è sempre sembrato un po’ un vuoto confezionatore di filmoni natalizi, dimostra di nuovo di saper ragionare e di avere idee per niente da buttare. Peccato solo per la sua sfrenata passione per l’effetto digitale messo anche dove non servirebbe, che finisce per rovinare l’atmosfera commovente della scena finale con un esercito di omini bianchi malamente fatti da un realizzatore di videogiochi.