AURORA

COME RAPPRESENTAZIONE DEL CONTRASTO CITTÀ/CAMPAGNA

Le opere di Murnau scrivono una pagina fondamentale della storia del cinema. Nella produzione tedesca degli anni Venti il suo nome è legato a quello di Carl Mayer, sceneggiatore che collabora anche con altri registi, definiti espressionisti, come Ruttman e Lang. Dopo il successo raggiunto a livello internazionale da Nosferatu (Nosferatu, eine Synphonie des Grauens, 1922) Murnau si reca negli Stati Uniti, dove su una scrittura di Mayer, adattata da un racconto di Hermann Sudermann, gira Aurora (Sunrise) dichiarato un capolavoro per i mezzi tecnici utilizzati e per la drammaticità espressiva sin dalla sua presentazione in anteprima mondiale, il 23 settembre 1927 al Times Square Theatre di New York.

Aurora è la storia di una coppia che vive nel mondo contadino. In una giornata d’estate l’uomo viene “adescato” da una turista che lo ammalia e gli suggerisce di annegare la moglie sfruttando il momento dell’attraversamento del fiume, percorso che li avvicina alla città, meta scelta per passare qualche ora di svago. All’uomo, al momento di commettere il delitto, manca il coraggio e la moglie terrorizzata riesce a mettersi in salvo sulla sponda del fiume; comunque la profondità del loro legame gli consentirà di essere perdonato. Complice il destino, durante il viaggio di ritorno un violento temporale li colpisce e la donna sembra essere affogata, ma il lieto fine ci riporta la coppia unita e felice nel suo ambiente naturale: la campagna. Il tema dell’annegamento accompagna non solo tutto il film ma vasta narrativa ed è rafforzato dal disciogliersi dei caratteri della didascalia. Murnau in Aurora presta particolare attenzione, nella scelta di fare un film muto ma con una colonna sonora che ne rafforza la struttura drammatica, al potere che può affidare alle didascalie. Quando, ad esempio, l’invito di “come to the city” si ingrandisce sempre più è esplicito il suo rafforzamento in funzione di esprimere la tentazione della città.

Mentre lo scenario mondiale stava volvendo tragicamente al disastro, la società cominciava a radicalizzare i rapporti dicotomici. Così Murnau in Aurora sceglie di rappresentare il cambiamento, il movimento, le pulsioni della modernità e dell’emancipazione in contrapposizione alla lentezza, alla pesantezza, alle abitudini di vita consolidate dalla povertà di secoli. Queste condizioni sono manifeste nel contrasto città/campagna, e tra i due luoghi, attraverso il passaggio dei protagonisti, si attua una contaminazione.

Murnau offre alla visione dello spettatore l’esaltazione dei simboli della vita moderna già dalla prima inquadratura, quando la locomotiva del disegno si anima e si trasforma in un treno “vero” che taglia lo schermo. Il senso del movimento, della velocità, dell’imponenza della macchina e della tecnica è reso successivamente dall’altro treno, che corre in senso contrario e, nell’inquadratura successiva, dallo scorcio della nave che evidenzia la terza dimensione di un cinema oramai evoluto per quanto riguarda la profondità di campo.

Nella tranquilla fissità della vita contadina irrompe la donna tentatrice e liberata della città. La donna che porta tacchi alti e che fuma una sigaretta interrompe un pasto preparato in fumanti pentoloni e si concretizza davanti alla famiglia di contadini come realtà altra, da ammirare come se fosse uno spettacolo su un palcoscenico. La tipologia di donna che nel suo habitat (la città) frequenta locali provocando gli avventori per gioco e senza la vergogna imposta dalla tradizione e dalla religione, fuori da lì è un specie di gufo che si mimetizza nella notte, nella rigogliosa e tetra natura attorno alla cascina. Nella finzione di Murnau la donna detta le regole su come ammazzare la moglie dell’uomo che per sfizio seduce e con una forma di predizione parla della barca che si capovolgerà e del salvataggio “aggrappandosi ai giunchi”, nel ritorno dalla perdizione e dall’ozio della città al duro lavoro dei campi.
L’altro personaggio femminile è l’antitesi per eccellenza, è una donna legata alla famiglia in quanto mamma e moglie ed alla scansione del tempo dettata dalla vita nei campi. Pervasa da una sorta di amore romantico, vive un legame suggellato da semplici gesti (dono dei fiori, bacio per strada, il ricordo del matrimonio in abito bianco), sa perdonare e mostrare anche la sua debolezza.
Il personaggio maschile si situa a metà, è l’elemento della contaminazione, l’abitante della campagna che si sente attratto dalla città con le sue luci, le sue mode ed i suoi abitanti.

Murnau, assieme all’elogio ed alla fiducia in una modernità clamorosamente urbana, mette in scena la solitudine, l’abbandono al destino e l’istinto brutale dell’umanità. Quando l’uomo infervorato dal vivere un rapporto più audace vuole uccidere la moglie, lei riesce a scappare e salvarsi grazie al tram (simbolo del movimento e del progresso) che porta in città. Durante il ritorno rischierà comunque di morire annegata a causa di un violento temporale: l’assoggettamento dell’uomo alla natura, in un rito ancestrale, come la vittima al suo carnefice. Infatti, la contadina è una donna che si assoggetta completamente ai gusti ed alle curiosità del marito (la scena dal barbiere) ed ai modi di vita urbani (nel locale da ballo), fallendo, poiché l’integrazione tra gli individui dei due mondi molto spesso non esiste, esiste solamente il loro ritorno.

Ornella Castiglione
ornella.castiglione@aliceposta.it

Titolo originaleSunrise
Produzione USA
Anno1927
RegiaF. W. Murnau
Sceneggiatura Carl Mayer
Durata95 min.
(Germania 106 min.)

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