GOSFORD PARK
Inghilterra, anni Trenta. Sir William McCordle e sua moglie Sylvia, una coppia di aristocratici, organizzano un weekend di caccia nella loro splendida tenuta di campagna, chiamata Gosford Park. Gli invitati sono numerosi e variopinti, tra gli altri troviamo: un attore di Hollywood che si finge inizialmente un maggiordomo per affinare le sue arti recitative, un produttore di pellicole con Charlie Chan, un eroe della prima guerra mondiale, una contessa snob e schizzinosa, e altri esponenti dal blasone più o meno nobile. Ogni invitato porta con sé i propri valletti e/o i maggiordomi i quali, unendosi ai già numerosi servitori della tenuta, con le loro vicende personali fanno da contro canto alle frivole faccende dei loro padroni. Ma una sera, nel bel mezzo di una mano di bridge, qualcuno scopre che il padrone di casa è stato fatto fuori e, considerato il fatto che praticamente ciascun invitato aveva il suo buon motivo per sperare di vederlo morto, l’indagine può avere inizio…
Dopo due prove in tono minore (“La fortuna di Cookie” e “Il Dottor T e le donne” entrambi scritti da Anne Rapp), il vecchio Altman torna a graffiare alla grande con questo film che si potrebbe definire “La Règle du jeu” che incrocia “Clue”.
In realtà della pista gialla al regista interessa poco o nulla, e allora si dedica a quello che da sempre gli riesce meglio, rappresentare con scrupolo da moralista d’altri tempi e con divertito e superiore sarcasmo una miriade di caratteri, di personaggi, di tic comportamentali tra i più vari.
E se il suo sguardo sugli aristocratici inglesi (trattenuti, immorali, avidi, sostanzialmente inutili) e sugli ospiti americani (superficiali, ignoranti e presuntuosi) appare impietoso, la sua asprezza si mitiga nel descrivere la solidarietà che si crea tra i membri della servitù, povera gente costretta a reggere il moccolo ad una congrega di infantili parassiti ormai (quasi) sorpassati dalla Storia.
Comunque nessun moralismo fastidioso, una capacità straordinaria di mettere in scena decine di personaggi sia in interni che in esterni (splendida la sequenza della battuta di caccia), una sceneggiatura da manuale (dello stesso Altman e di Julian Fellowes, giustamente premiata con l’Oscar), e un Parco Attori da portare in trionfo in blocco rendono “Gosford Park” il miglior film dell’Autore almeno dai tempi di “America Oggi”.