La leggenda degli uomini straordinari
1899, sotto la minaccia del terribile e mascherato The Phantom, l’Europa sta per essere trascinata in una guerra dalle proporzioni mondiali, combattuta con armi iper-tecnologiche in grado di causare in poco tempo migliaia di morti…
L’eroe Allan Quatermain viene ingaggiato per sconfiggere Phantom, in una lotta senza quartiere in cui lo affiancheranno un immortale, una vampira, un agente segreto, uno scienziato, un uomo invisibile, un uomo dalla forza sovrumana…
Purtroppo, però, La leggenda degli uomini straordinari (The League of Extraordinary Gentlemen) è un’occasione sprecata.
Sulla carta, c’erano tutti gli elementi necessari per confezionare un film d’intrattenimento divertente e piacevole, se non originale: grandi capitali, ricchi effetti speciali digitali, un buon cast di caratteristi, scenografie kitch al punto giusto, il veterano Sean Connery con toupet d’ordinanza, una sceneggiatura che riprende un popolare fumetto (di Alan Moore e Kevin O’Neill) e può contare non su uno o due personaggi ben scritti e ben delineati, ma addirittura su una schiera di vere e proprie icone culturali, conosciute anche da chi non legge libri, anche da chi non ama la letteratura, anche da chi non ha la minima idea di chi sia Bram Stoker.
Dorian Gray, Mina Harcher, Tom Sawyer, il Capitano Nemo, l’Uomo invisibile, il Dr. Jekyll e Mr. Hide, Moriarty… chi non li ha almeno sentiti nominare? Chi, pur senza provare il minimo interesse per i tormenti di Robert Louis Stevenson o la feroce ironia di Oscar Wilde, non saprebbe riassumere in breve almeno una versione vulgata delle loro vicende?
Eppure tutti i possibili riferimenti, le citazioni, le riflessioni più o meno ironiche su una buona fetta di storia del romanzo a cavallo tra Otto e Novecento vanno perduti, lasciando l’impressione di un film che, non volendo lasciare nulla di non detto, finisce per annegare in una sovrabbondanza di dati inutili, in mezzo ai quali gli unici necessari si perdono.
I personaggi, dal primo all’ultimo, si riducono a macchiette; non ci sono buone battute, e i rari momenti di approfondimento psicologico scadono nel comico involontario. Invece di giocare sullo spiazzamento, fornendo versioni alternative a quelle conosciute sulle singole storie dei protagonisti, si perde tempo prezioso (e pellicola) per raccontare con dialoghi scialbi ciò che anche un bambino delle elementari conosce, figuriamoci un appassionato di cinema fantastico.
La sceneggiatura langue, per usare un eufemismo, e il film risulta piatto, poco agito, alterna momenti di azione parossistica a interi quarti d’ora in cui non succede assolutamente nulla. La regia di Stephen Norrington, che si adagia sui fattori elencati all’inizio, convinta che bastino da soli per fare un buon film, praticamente non esiste.
Gli effetti speciali e le ricostruzioni d’ambienti d’epoca sono convincenti, anche se in alcune sequenze risultano eccessivamente fumettistici (nell’accezione deteriore del termine): un esempio su tutti, un gigantesco Nautilus che si avventura senza problemi nella laguna di Venezia, e un carnevale che non solo è assolutamente inutile ai fini dello svolgimento della trama, ma oltretutto si svolge inspiegabilmente in luglio inoltrato.
Gli attori non sarebbero male, ma sono lasciati a se stessi, e persino Sean Connery che è anche produttore esecutivo del film, appare poco convinto e sotto tono. Fra tutti spicca Peta Wilson, vampira molto elegante e signorile, in un’interpretazione misurata e convincente. Non male anche Dorian Gray, interpretato da Stewart Townsend, già visto in About Adam (2000).
Il finale del film mi fa inoltre temere che sia in lavorazione (o comunque in previsione) un sequel.