SULLE MIE LABBRA
Carla è una segretaria frustrata dal lavoro e dal rapporto con i colleghi e con il suo capo. Avrebbe voglia di un uomo, ma il suo handicap (è sorda e porta un apparecchio acustico mimetizzato accuratamente dai capelli) la rende terribilmente timida e insicura. Paul è appena uscito di galera, non possiede alcuna competenza e si incasina perfino facendo delle fotocopie. Quando Paul viene assunto nello stesso ufficio in cui lavora Carla, tra i due emarginati scatta un feeling particolare fondato sulla solidarietà e sul rispettivo bisogno di affetto, che li spingerà a compiere, con assurda spensieratezza, un’azione criminosa a danno di alcuni pericolosi criminali.
Inserendosi nella splendida tradizione dei noir francesi (che vede forse nelle pellicole di Jean-Pierre Melville la sua punta di diamante), questo “Sulle mie labbra” rivela una sua autonomia espressiva degna di rispetto e di attenzione.
Il regista Jacques Audiard (figlio d’arte, il padre era sceneggiatore di molti film con Jean Gabin) si concentra sui suoi due personaggi principali, ne porta in primo piano le motivazioni, le contraddizioni, il disagio e la loro condizione di sradicati, e imbocca una personalissima via al noir che cancella qualsiasi tentazione pulp a favore di uno scavo caratteriale che si direbbe quasi fenomenologico, indugiando sui gesti, sui corpi, sulla fisicità pura di questi poveri, e tutto sommato inconsapevoli, Bonnie e Clyde dei giorni nostri.
Il risultato è un film affascinante, privo di forzature, e pieno di momenti di sentito e sincero romanticismo, supportato dalle ottime prove dei due protagonisti (Emmanuelle Devos e Vincent Cassel, quest’ultimo finalmente tornato ai livelli dell’ “Odio”) e sabotato, come al solito quando si tratta di produzioni diverse da quelle hollywoodiane a grosso budget, da un doppiaggio goffo e fastidioso.