PARLA CON LEI

Un giornalista (Marco) e un infermiere (Benigno) sono accomunati da un tragico destino: le donne che amano (una torera e una ballerina) sono entrambe in coma. Tra i due nasce una grande amicizia, che si rafforza nel momento in cui l’infermiere viene arrestato per violenza carnale ai danni della sua adorata paziente. Ma quella di Benigno è soltanto un’azione repellente o al contrario un estremo atto d’amore dalle conseguenze miracolose?

Abbandonati i toni troppo “dimostrativi” del suo precedente successo (“Tutto su mia madre”), bisogna riconoscere che mai Almòdovar aveva rischiato tanto in un film, mai aveva girato con tanta eleganza e passione e mai aveva toccato vertici così assoluti.

In un film dal meccanismo narrativo a dir poco virtuosistico e perfettamente oliato, il regista spagnolo continua a parlare della forza dell’amore, capace come per un miracolo di riportare in vita le persone, della necessità dell’amicizia che lega in maniera indissolubile due persone che hanno in comune soltanto un terribile fardello di dolore, e tratta dei massimi sistemi con una semplicità e una profondità sconcertanti, concedendosi digressioni geniali che soltanto gli Autori Massimi possono permettersi (gli spettacoli di Pina Bausch posti in apertura e in chiusura del film, l’esecuzione da pelle d’oca di Caetano Veloso, il film muto).

Ormai Pedro conosce a menadito i territori minati del melodramma, ma ciò non fa di lui un burattinaio dei sentimenti (come von Trier), bensì un regista con lo spessore del grande scrittore, che sa fin dove può spingersi senza cadere nel ridicolo involontario o nell’esagerazione plateale, un degno erede di Douglas Sirk riletto in chiave pop.

Qualcuno rimpiange gli eccessi camp della prima maniera almodovariana, ma nessuno può mettere in discussione la sua piena maturità d’autore, la sincerità della sua ispirazione e la sua impressionante capacità di dirigere gli attori. Un film magnifico.

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