IN THE BEDROOM
Frank Fowler, studente di architettura e figlio modello di genitori adoranti e orgogliosi, inizia una relazione con una donna più grande di lui, separata e madre di due bambini. Quando tutto sembra filare per il meglio torna a farsi vivo l’ex marito della donna, un bullo manesco e decerebrato, il quale, in preda ad un raptus di violenza, spara in faccia a Frank e lo uccide. A quel punto per i Fowler comincerà un percorso di sofferenza che rischierà di mandare in frantumi il loro matrimonio.
Accostato per affinità tematiche alla “Stanza del figlio” (con cui condivide una scena pressoché identica) e definito in maniera frettolosa (e anche un po’ ingenerosa) un “film d’attori”, “In the Bedroom” è un dramma dolente e insinuante, adagiato su un ritmo ipnotico e su lunghe inquadrature, che descrive in maniera impietosa e lucidissima una fenomenologia del dolore non indegna del film di Moretti.
Sin dalle prime immagini, per quanto luminose e ariose, si avverte che il dramma è in agguato e questo è solo merito della regia intelligente e sensibile di Field, che riesce a trasmettere un’inquietudine sottile e un clima di apprensione sia stando troppo vicino alle cose che inquadra (a cominciare dai più banali oggetti di uso quotidiano) sia riprendendo momenti della vita dei protagonisti, potenzialmente rilassanti, in modo da infondergli una luce spettrale (vedi la scena con le aragoste).
Il baratro che si apre sotto i piedi dei coniugi Fowler è descritto senza calcare la mano sugli effetti drammatici più triti e il disperato e sconvolgente finale, con una scelta di regia estremamente morale, è messo in scena in modo giustamente asettico, senza nessun giudizio fatto calare dall’alto, risultando in questo modo ancora più spiazzante e terribile.
Impossibile non parlare degli attori: se la maschera di dolore di Sissy Spacek sconcerta e irrita allo stesso tempo, ancora più efficace appare l’interpretazione attonita e straziata di uno smisurato Tom Wilkinson, il padre complice che tutti i figli vorrebbero avere.