AMNESIA
Storie di varia umanità ambientate ad Ibiza: un regista di film porno (Abatantuono) cerca di recuperare il rapporto con la figlia (Martina Stella, in versione bruna) nascondendole la sua vera professione; uno sballato (Rubini) trova per caso una valigetta piena di cocaina e cerca di smerciarla; un poliziotto locale (Puigcorbè) ha dei problemi non indifferenti con il figlio tossico (Ochandiano), da cui viene ricattato in maniera ignobile.
Salvatores continua con pervicacia a non azzeccare un film: anche questa volta le sue ambizioni d’autore hanno il sopravvento su quella che poteva essere un’operina discreta anche se di irrisorio spessore. La prima parte scorre via in maniera indolore e riesce anche a strappare qualche sorriso, grazie anche all’innata simpatia (per quanto difficilmente contenibile) di Abatantuono e a quella del suo sodale Ugo Conti, ma poi lo sciagurato Gabriele, credendosi forse Kubrick, ingarbuglia le carte e sceglie di far ripartire la storia adottando questa volta un diverso punto di vista, quello di un gruppo di ragazzi tra i più odiosi mai visti su grande schermo (oltretutto doppiati in maniera indecorosa), manco avesse tra le mani una nuova versione di “Rapina a mano armata”.
A questo si aggiunga un finale davvero deludente, in stile Tarantino ma senza offendere il grande Quentin, e la sommaria definizione di un gran numero di personaggi, e soltanto allora si avrà l’idea di che razza di pastrocchio sia questo “Amnèsia”, con tutte le sue inutili inquadrature in split-screen e con una sequenza, quella dell’improvvisa eclissi di sole, tanto bella visivamente (la fotografia è di Italo Petriccione) quanto gratuita narrativamente.
Sarebbe bene che il regista milanese tornasse ai tempi di “Mediterraneo” e, soprattutto, di “Turnè”, opere non trascendentali ma che almeno dimostravano un piacere e una capacità di raccontare storie che al momento appaiono sfocate se non proprio smarrite.