AMEN
D.: Costa-Gavras
Cast: Ulrich Tukur, Mathieu Kassovitz, Ulrich Mühe, Ion Caramitru, Michel Duchaussoy
O.: Francia, 2002
Berlino, durante la Seconda Guerra Mondiale il tenente Kurt Gerstein (Ulrich Tukur), in servizio all’istituto di igiene, viene sfruttato (grazie alle sue conoscenze di chimica) per l’acquisto di grandi quantitativi di gas Zyklon B. Inizialmente ignaro dell’utilizzo che il regime fa di questo gas, Gerstein scopre ben presto che è il mezzo con cui i nazisti sterminano migliaia di ebrei nei campi di concentramento in Polonia.
La forte fede cristiana e la convinzione di poter diventare un testimone fondamentale una volta finito il conflitto, spingono il tenente a continuare la collaborazione con le SS cercando, allo stesso tempo, un appoggio tra gli amici protestanti, tra la diplomazia internazionale ancora presente in Germania e persino rivolgendosi al nunzio apostolico della Santa Sede.
Ma tutti coloro a cui Gerstein chiede aiuto non credono alle sue parole: la propaganda nazista ha ormai convinto i tedeschi che gli ebrei vengono esiliati, mentre giorno dopo giorno si consuma il feroce genocidio. Unico appoggio è il giovane gesuita Riccardo Fontana (Mathieu Kassovitz) che, come “spia di Dio”, si schiera al fianco dell’ufficiale, recandosi a Roma per convincere Pio XII (Ion Caramitru) ad intervenire contro il massacro.
Il film pare essere nato e cresciuto tra le polemiche: da quella della Chiesa (non solo Cattolica), che si è sentita palesemente condannata, fino alla protesta di Gavras (che ha lasciato l’Italia volutamente prima delle fine della promozione del film) contro la censura della locandina realizzata da Oliviero Toscani (la cui croce che diventa svastica è stata considerata blasfema).
Ma, al di la dei dibattiti, che fanno anche “promozione”, la pellicola altro non è che un enorme paradosso: con una grande qualità ed un grande difetto.
Il difetto è la regia. “Amen” non è un buon film. La recitazione è piatta inespressiva, la pellicola troppo “esclusivamente narrativa”, non ha spunti interessanti ne nella regia e tantomeno nella fotografia (entrambe poco curate). Forse i momenti di cinema più puro sono le ripetute riprese di un treno vuoto che viaggia in aperta campagna e lascia una striscia di fumo che va a confondersi con le nuvole.
E questo è l’unico indizio che fa ricordare i convogli che trasportarono gli ebrei. Non ricorrono scene di prigionieri assassinati: solo le parole di Gerstein, le pungenti battute degli ufficiali nazisti contro gli slavi e gli ebrei, i resoconti di Fontana raccontano l’olocausto.
Un punto forte della pellicola sta nell’aver fuso in modo omogeneo la storia e la fiction. Personaggi inventati (Fontana per esempio) si mescolano a quelli reali, Pio XXII, Gerstein stesso, e si calano perfettamente in un contesto storico difficile, dove veri protagonisti sono i fantasmi di quegli uomini, donne e bambini sterminati dalla megalomania di pochi altri esseri umani.
La storia del film non è un’accusa a chi pur potendo non ha fatto nulla, è un mero racconto che pone, piuttosto, uno di fronte all’altro valori morali e pragmatismo, individuo e sistema, quasi sempre rappresentati dal binomio padre-figlio: Gerstein contro un padre convinto della forza dell’ideologia nazista e cieco davanti agli eventi, Fontana contro un padre devoto e contro Pio XXII (divenuto il padre appena Riccardo prende i voti) e ancora Gerstein contro un figlio che cresce in un mondo distorto e che assimila i comandamenti e l’ideologia del regime proprio come assimila le nozioni di aritmetica.
Il problema che il film riesce a scatenare è comunque ben più ampio e senza dubbio attuale. Che potere ha l’individuo nel sistema? Che cos’è l’uomo in una società ipocrita, falsamente moralista, che non ha memoria, che non sa imparare dalla sua storia e che sa solo prostrarsi o fuggire davanti al “potente di turno”? Ecco la vera questione che “Amen” sa scatenare… e a volte basta anche un film registicamente mediocre, ma con una storia importante, a farci venire voglia di riflettere.