Cecilia
Di Antonio Morabito, con Pamela Villoresi, Gianni Grima
Una famiglia come tante, quella di Cecilia. Mamma, papà, due fratelli e tanta, tanta voglia di cambiare le cose. Una famiglia come tante anche per quanto riguarda nevrosi e incomprensioni, che si manifestano quotidianamente tra un’insalata e un maccherone. E allora è meglio scappare, per chiedere qualcosa di meglio alla vita e al mondo, ma anche per far capire alla “famiglia“ che così non si può andare avanti, proprio no.
È lo spunto (al centro di un cortometraggio dello stesso regista e dallo stesso titolo) da cui parte l’opera prima del giovane regista Antonio Morabito, rivolto all’indagine del rapporto tra l’individuo e il mondo circostante. E fin qui il film è intelligente e originale, nel suo tentativo di scavare, concretamente con la macchina da presa, all’interno di questo universo adolescenziale pieno di inquietudini e contraddizioni.
A questo punto, però, Morabito sceglie di non seguire Cecilia nel suo viaggio, ma preferisce rimanere a casa, con mamma e papà, e soprattutto con una serie di parenti e amici che alla notizia della fuga si precipitano per dare conforto ai propri cari. Da questo momento in poi la follia si impadronisce della casa, che diventa a poco a poco un microcosmo in cui il regista (e sceneggiatore) riproduce alcune delle dinamiche tipiche della società, dalla dittatura, all’anarchia, fino alla guerra e alla liberatoria esplosione finale. Un piccolo universo surreale, in cui l’estrema organizzazione produce solo scontento e “sciopero“ e dove la libertà totale porta necessariamente al caos. E così il film, diviso in capitoli (“Le cause“, “La crisi“, “Il caos“, “Il governo del padre“, “L’insurrezione“ e “La guerra“), racconta la vita di questa famiglia sull’orlo (superato) di una crisi di nervi. L’unica a riuscire a mantenere un contatto con la realtà è paradossalmente la sorella maggiore di Cecilia, che si riserva piccoli momenti di normalità con un anziano venditore di gelati fatti di aria. Mentre il fratello, nella sua totale e voluta apatia, si adatta perfettamente a tutte le situazioni. Personaggi senza nome, figure fisse che hanno la funzione di rappresentare ipocrisie e follie della vita moderna, resi vivi da attori (soprattutto Pamela Villoresi) molto bravi nel recitare volutamente sopra le righe.
Il film vuole però essere una commedia, e il sorriso a volte ci scappa, ma forse pigiando un po’ di più sul pedale del grottesco avrebbe graffiato di più. E poi in alcuni momenti la noia si fa sentire, e questo per una commedia è a dir poco massacrante.