Far from Heaven
di Davide Tonti
Far from heaven non è solo un film sugli anni cinquanta ma un film degli anni cinquanta.
Ambientato nell’america maccartiana, l’ultimo lavoro della regista Haynes racconta di una donna alla prese con l’amore per un uomo di colore, di suo marito alle prese con l’amore per un altro uomo, e di un uomo di colore alle prese con l’amore per la figlia. Tutti rincorrono tutti, ma l’affannarsi risulterà inutile.
Il film dipana la sua trama con molle lentezza, senza colpi di scena o improvvise accelerazioni. Il ritmo del film è quello immaginario dell’america di quegli anni. Finita la visione non risalta tanto la trama né i personaggi, nei quali è praticamente impossibile impersonarsi, ma solo il ritratto di una comunità con i suoi pregiudizi e le sue paure, ma soprattutto con i suoi colori e le sue idee.
Tutto il film è un’ampia tavolozza che presenta l’intera scala del pastello, tonalità così usate ed apprezzate negli arredi e nella moda dell’epoca. Colori pastello, colori senza un’anima e senza calore, così come quegli americani interessati solo al political correct, alle apparenze più che alla realtà delle cose.
Tutto il film è specchio di quel modo di pensare, tanto che la novella Lady Chatterly e il suo amato giardiniere in due ore di pellicola non si sfiorano mai. Niente scene di sesso, come se il Callaghan Act della Hollywood di allora fosse ancora in vigore.