Arca russa

[Regia: A. Sokurov]

di Flavia Gotta

Il Palazzo dell’Hermitage a SanPietroburgo trasformato in un enorme contenitore per epoche e personaggi, all’interno del quale si rincorrono zar e nobildonne a cavallo di tre secoli; è l’epoca d’oro della storia russa, dalla Grande Caterina alla piccola Anastasia, che si aggira ancora inconsapevole tra le stanze del palazzo mentre fuori si odono i rumori dei bombardamenti.

A condurci durante la visita, proprio come una guida in un museo, la voce di una istanza narrante, che coincide con l’occhio della telecamera, si fa accompagnare da un nobile francese vestito di nero atemporale; un improbabile Virgilio capace di vedere anche nelle epoche a lui successive, ma destinato a fermarsi davanti alla vera conoscenza. Infatti è solo la cinepresa che nel finale svela allo spettatore il significato del titolo, mostrando l’immenso mare che circonda e culla l’Hermitage, sospendendolo nel tempo e nello spazio.

Ma al contrario dell’Arca di Noè, il Palazzo non è in grado di salvare nessuno dei suoi frequentatori; tutti i personaggi, dagli zar ai semplici visitatori del Museo, passano attraverso le maglie di una critica discreta ma impietosa sul valore di una cultura che ha sempre cancellato con i fasti di corte la sua mancanza di originalità.

L’ardita tecnologia utilizzata permette di sondare le ultime frontiere del piano-sequenza, proiettando lo spettatore in un flusso visivo di immagini sapientemente calibrate, sia per il gusto della composizione che per l’atmosfera rarefatta creata dalla luce.

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