ALI’
“Alì” è un film di Michael Mann, e già vengono i brividi. Mann, tra i creatori della serie “Miami Vice”, ha cominciato ad acquisire notorietà in Italia a partire dal 1992, quando diresse Daniel Day-Lewis ne “L’Ultimo dei Mohicani”, a cui seguirono i successi di “Heat” e di “Insider”. Ma non tutti sanno che questo autore superbo aveva già alle spalle uno splendido noir con James Caan (“Thief”, 1981) e soprattutto un capolavoro dal titolo “Manhunter” (1986), tratto dal primo dei tre libri di Thomas Harris con protagonista il dottor Hannibal Lecter.
“Manhunter” è almeno altrettanto bello de “Il Silenzio degli Innocenti” (vedere per credere), forse è addirittura più complesso e inquietante, peccato che sia un film praticamente scomparso dalla circolazione e qualcuno sembra addirittura ignorare che esista, tanto che Hollywood sta per sfornare un nuovo film tratto dallo stesso romanzo di Harris, con la regia (orrore!) di un tale Brett Ratner (autore di perle quali “Rush Hour-Due mine vaganti” e “The Family Man”) e con il solito, “alimentare” Hopkins ad impersonare il dottore. Ma non sarebbe stato meglio ridistribuire il film già esistente?
Tornando a Mann, appartiene a quella schiera di registi americani (come Milius, Malick, Cimino, certo Scorsese, il primo Coppola) che vedono il cinema (e la vita) in un’ottica bigger than life, e creano personaggi titanici, che assumono statura mitica e dimensioni epiche anche loro malgrado (si pensi al Russell Crowe di “Insider”).
In “Alì” il regista americano riversa con generosità tutto il suo talento e il suo stile fatto di primissimi piani di materica concretezza, alternando scene in cui il montaggio pare invisibile ad altre in cui invece succede di tutto: raccordi ignorati a bella posta, scavalcamenti di campo, bombardamento di immagini quasi subliminali, e si conferma inesauribile inventore di forme cinematografiche, strenuo sperimentatore che ha la sensibilità di evitare sempre il manierismo gratuito, narratore sommo nonché cineasta sopraffino.
Almeno un paio di sequenze del film (quella davvero virtuosistica d’apertura, costruita sul montaggio alternato di avvenimenti scandagliati addirittura su piani temporali diversi, e quella dell’incontro al night fra il campione e la donna che diventerà la sua prima moglie) sono davvero girate e montate come comanda il dio del cinema, e mettono la pelle d’oca per l’armonia con cui si sposano musica e immagini.
Potrebbe anche bastare la regia di Mann, ma “Alì” è anche altro, dalla raffinatissima fotografia di Emmanuel Lubezki (“Sleepy Hollow”) che alterna in maniera quasi impercettibile pellicola e video ad altissima definizione, fino all’incredibile cast, impegnato in un tour de force mimetico da applausi: Will Smith, nel ruolo che vale una carriera, è un Alì perfetto, mentre Mario Van Peebles che interpreta Malcolm X e un irriconoscibile Jon Voight nei panni del giornalista Cosell si vedono poco ma sono talmente bravi da lasciare il segno.