DAZEROADIECI

Regia: Luciano Ligabue
Cast: Stefano Pesce, Massimo Bellinzoni, Pierfrancesco Favino, Stefano Venturi

“Fino ai 30 fai parte di una generazione di cui parlano sempre tutti, dopo i 30 non fai più parte di una generazione, sei solo diventato un consumatore”.

E sempre il male di crescere, il disagio del passaggio all’età adulta, il tema centrale del nuovo film di Luciano Ligabue. Ma questa volta, a fare i conti con la realtà non è più il trentenne Freccia (Stefano Accorsi); è invece il trentacinquenne Giove (alias Stefano Pesce) che, affetto dalla sindrome di Peter Pan, parte con i suoi tre amici (“che se volete ve li regalo tutti”) alla volta di Rimini, per rivivere le emozioni di un weekend di vent’anni prima.

Ognuno si porta con se il suo fardello: Giove la difficoltà ad avere figli, Libero la malattia che lo sta portando lentamente alla morte, Biccio la sua omosessualità ed il desiderio di una famiglia, Baygon i suoi insuccessi con le donne. E tutti e quattro si portano il pesante ricordo della morte di Mirko, nella strage della stazione di Bologna, proprio in quel week end del 1980.

Tutto il film è legato dal filo conduttore del titolo: DA-ZERO-A-DIECI vanno infatti le pagelle che Giove da alla sua vita e a quella degli altri. E alla pellicola va dato almeno un 7: risultato della media tra un 8 a Ligabue-regista ed un 6 al Liga-sceneggiatore.

L’8 alla regia è meritato: il film è più maturo, più curato di Radiofreccia e Ligabue può anche permettersi di giocare con le immagini, trasformando Rimini in una palla di vetro, di quelle che giri e cade la neve o inserendo un piccolo momento “da musical” (nel mezzo di un sogno di Giove) dove per le strade della riviera romagnola i protagonisti ballano e cantano…

E un 6 (“meno… meno”) alla sceneggiatura perchè i personaggi sono soltanto degli stereotipi, troppo perfetti nei loro difetti e nelle loro debolezze da apparire oltremodo costruiti, in particolare le figure femminili. La storia però, seppure un po’ scontata, è salda, chiara e logica. Non mancano i momenti di allegria, ma neppure quelli di riflessione e di malinconia.

Ligabue sa affrontare i temi politici (la strage di Bologna) senza fare politica, in maniera delicata, unicamente dal punto di vista di coloro che hanno perso amici o parenti in quel terribile attentato. Parla della malattia e della morte, che a 35 anni ancora sembrano lontanissime, ma che poi sono proprio li davanti. Racconta di una generazione abbandonata, snobbata da troppi: di uomini che sono ancora bambini dentro ma che sono già troppo vecchi ormai per far parlare di se.

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