IL FAVOLOSO MONDO DI AMELIE
Amelie, giovane cameriera vedova di madre e con un padre leggermente picchiato, vede intorno a se un’umanità non propriamente felice e decide di mettersi d’impegno per regalare gioia alle persone cui vuole bene. Intanto la sorte le riserva un incontro con quello che potrebbe essere l’uomo della sua vita, un tipo bislacco con l’hobby di collezionare le foto formato tessera smarrite dalle persone. Ma saprà Amelie sopprimere l’innata timidezza e svelare il proprio amore al ragazzo che così tanto l’ha impressionata?
Jean Pierre Jeunet, sciolto da tempo il sodalizio con il collega Marc Caro (insieme avevano firmato i notevoli “Delicatessen” e “La città perduta”, quest’ultimo film di culto mai distribuito in Italia), rinuncia alle tinte cupe caratteristiche del suo cinema (vedi anche il quarto episodio della saga di Alien), e tende a normalizzare anche il suo sguardo spesso visionario e il suo innato gusto per il grottesco in ragione di una storia che più edificante non si potrebbe immaginare.
“Amelie” è uno di quei film da cui, in base all’umore con il quale lo si guarda, si può essere deliziati oppure irritati (per eccesso di zuccheri), lo si può considerare irresistibile o stucchevole, può catturare o annoiare. Di fatto è realizzato con indubbia professionalità, non manca di trovate di sceneggiatura spesso irresistibili, mostra praticamente una sorpresa ad ogni inquadratura (con il rischio, però, della saturazione da informazioni visivo-sonore), ma è anche indubbia la sua scarsa consistenza, l’incapacità di mantenere alto il ritmo narrativo per l’intera durata del film, il compiacimento fine a se stesso con cui sono caratterizzati tutti i personaggi, ciascuno ovviamente con una sua mania, ciascuno forzatamente originale per qualche motivo, ma tutti con lo spessore dei pupazzetti che si mettono sulle torte.
Certo è una favola, e sono sicuramente esagerate le accuse di razzismo che in Francia hanno colpito l’opera (il regista è stato accusato di mostrare la Parigi che piacerebbe all’estrema destra, troppo ripulita, senza nessun conflitto e, soprattutto, senza immigrati), ma è una favola trendy, che si guarda allo specchio civettuola e si compiace troppo della sua immagine frivola e leccata ma, sotto sotto, insignificante.