AFTER LIFE

“Fuori Orario” è un programma che spesso fa imbestialire i cinefili che lo seguono: orari mai rispettati, film che partono con ritardi di ore, altri che vengono cancellati, fiduciose programmazioni di videoregistratori che poi sveleranno amarissime sorprese (tipo trovarsi il mattino dopo con la bava alla bocca per la voglia di spararsi immediatamente un “Ordet”, salvo poi accorgersi che non ti è bastata la cassetta per registrarlo tutto). Ma quando poi manda in onda delle chicche come “After Life” (e si riesce a registrarlo per intero), a Ghezzi si è disposti a perdonare tutto.

Il regista e scrittore, Kore-Eda Hirokazu, si mostra sempre interessato al tema della memoria e delle dimensioni temporali parallele, sembra perché affascinato dalla malattia che aveva colpito suo nonno, vale a dire il morbo di Alzheimer, malattia che toglie spesso a chi ne è affetto una visione coerente e unitaria delle comuni coordinate spazio-temporali. Così “After Life” è ambientato in un aldilà che sembra esattamente il nostro presente, e parla di un gruppo di persone defunte che, settimanalmente, ha l’incarico di consentire ai “neo trapassati” di raggiungere l’altra dimensione (quella della morte o quella di un’altra vita). Ma prima di varcare la soglia, ciascuno dei morti dovrà scegliere un unico ricordo della sua esistenza trascorsa che lo accompagni per l’eternità, mentre tutti gli altri saranno cancellati. I guardiani dell’aldilà avranno allora il compito di ricreare, in una sorta di vero e proprio studio cinematografico, il ricordo scelto da ogni morto, e farglielo rivivere prima di accompagnarlo dall’altra parte.

Sembrerebbe un soggetto farsesco e/o demenziale (e probabilmente, se fosse girato da noi o negli Usa, lo diventerebbe), in realtà è il motore narrativo di un film unico, che sfida ogni capacità di definizione e che, incredibilmente, coinvolge lo spettatore come se si trattasse di un noir dell’altro mondo. Il bello è che il regista porta il soggetto fino alle estreme conseguenze, senza cadere mai nel ridicolo involontario e mantenendo per due ore una tensione narrativa da fare invidia a chiunque. Anche il suo stile, poi, è pieno di sorprese: comincia con immagini frenetiche, girate con la macchina a mano, ma quando entrano in scena i morti che devono compiere il viaggio si passa ad uno stile statico e depurato di matrice bressoniana, per poi tornare nel finale (con perfetta circolarità) alla macchina a mano.

Un film che sembra provenire davvero da una dimensione parallela, terribilmente affascinante e molto spesso commovente, pieno di grazia, di bellezza e di una sensibilità straziante. Io ho avuto la fortuna, a Pesaro, di vedere un altro capolavoro di questo regista, “Distance”, ancora una volta un oggetto misterioso di una bellezza e di un fascino sconvolgenti, se dovesse passare anche quello su “Fuori Orario” consiglio a tutti gli appassionati di comprare le videocassette da 240 perché è davvero impedibile.

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