AI – Artificial Intelligence

di Steven Spielberg

Lasciamo da parte gli inutili asperrimi interrogativi
tipo “Con una trama così, chissà cosa sarebbe riuscito
a fare Kubrick…”, perché non hanno senso. Il film va
giudicato per quello che è, non per quello che avrebbe
potuto essere.
La prima parte del film, più tesa, più drammatica, più
problematica, propone una serie di tematiche di grande
interesse, anche se non sempre affrontate con la
dovuta profondità (anzi, a volte, un po’ tirate via),
anche per via della fissa di Spielberg di rendere
tutto didascalico, tutto sottolineato, tutto evidente
(un esempio? Quando i genitori, parlando di David,
dicono “E’ solo un giocattolo”. Cinque minuti dopo
vediamo la scena in cui la mamma dà a David
l’orsacchiotto Teddy, definendolo un supergiocattolo,
e Teddy protesta, risentito: “Io non sono un
giocattolo!” Capito? E’ abbastanza chiaro il
parallelo? Eh? Mi raccomando!). Ben poche sono le
ambiguità, in una storia che potenzialmente ne
offrirebbe parecchie.
Ma l’abbandono nel bosco e la fiera della carne
(l’idea più crudele, forse più “kubrickiana”) sono dei
bei pezzi di cinema, senza dubbio.
Peccato, quindi, che nella seconda parte si affondi
sempre di più nel melenso, nel gratuito, nell’umorismo
involontario fino ad approdare a uno sforzatissimo
lieto fine, un trionfo di trovate di sceneggiatura
artificiose e assurde (l’espressione “Deus ex
machina” qui può essere usata quasi alla lettera; e
vogliamo parlare della ciocca di capelli conservata
dall’orsacchiotto?): indecoroso, anche di fronte ad
altre opere di Spielberg (tipo “Incontri
ravvicinati”).
Comunque, fotografia ed effetti speciali sono
notevoli, bravo il ragazzino, molto bravo Jude Law.

Domenico Zàzzara

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