SPY GAME
Un giovane agente della CIA (Brad Pitt), nel tentativo di far evadere la sua donna (Catherine McCormack) da un carcere cinese, viene catturato e condannato a morte. I suoi superiori, per non compromettere la delicata situazione diplomatica con il paese asiatico, decidono di sacrificarlo, ma non hanno fatto i conti con il fatidico agente anziano al suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione (Redford), il quale ai tempi aveva provveduto a svezzare il ragazzo recluso e che adesso non ha nessuna intenzione di lasciarlo morire.
Si è parlato di “Spy Game” come la versione aggiornata di un classico dei film spionistici quale “I Tre Giorni del Condor” e forse, tristemente, è proprio così: l’ultimo film di Tony Scott (una volta considerato il meno bravo dei due fratelli, adesso è francamente difficile stabilire quale sia il peggiore) è l’emblema dei film (di spionaggio ma non solo) del nuovo millennio: se la vecchia pellicola di Pollack aveva una tensione infallibile dal primo all’ultimo minuto, possedeva implicazioni politiche non banali, creava disagio, inquietudine, si reggeva sulla paranoia e offriva le magnifiche performances del trio Redford-Dunaway-von Sydow, il film di Scott è pateticamente privo di tensione, improbabile in centinaia di punti, tragicamente privo di emozioni, patinato, scolastico, ridicolo, desolante e interpretato da un attore capace di una sola espressione, quella sorniona di chi la sa lunga, per di più incartapecorito come neanche nei disegni di Disegni (si perdoni il gioco di parole) e da un altro, presunto divo, espressivo come un servo muto ma, questo è giusto riconoscerglielo, molto più glamour dell’umile oggetto.
Quanto alle inverosimiglianze e alle ineffabili sciocchezze della sceneggiatura, meglio non raccontarle: sono l’unico motivo per dare un’occhiata a questa ciofeca per poi riderne non appena usciti dal cinema.