L’UOMO CHE NON C’ERA

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1949, il barbiere Ed Crane, uomo grigio, taciturno e tradito dall’ambiziosa moglie, incontra un losco figuro che si autodefinisce pomposamente “imprenditore” e che gli propone un affare sicuro: buttarsi nel business del rivoluzionario lavaggio a secco. Per avviare l’attività occorrono però diecimila dollari, che Crane pensa di procurarsi ricattando il ricco amante della moglie (della quale è anche il datore di lavoro). Ovviamente, trattandosi di un noir, le cose non andranno per il verso giusto e il tentativo ingenuo del barbiere innescherà una serie di eventi sempre più incontrollabili e drammatici.

Sfavillante omaggio ai noir degli anni d’oro, con rimandi sia alla letteratura (James M. Cain) che al cinema (la donna che racconta di avere visto gli ufo è pettinata e truccata come la Barbara Stanwyck de “La Fiamma del Peccato”, mentre il personaggio interpretato da Billy Bob Thornton è il classico uomo qualunque travolto da eventi più grandi di lui, come nei langhiani “La Donna del Ritratto” e “La Strada Scarlatta”). Nei film dei Coen si avverte quasi sempre l’impressione che usino più il cervello che il cuore quando scrivono e dirigono le loro opere, e anche la loro ultima fatica non è esente da un che di troppo cerebrale, ma è impossibile negare il loro talento visivo, la ricchezza della loro scrittura, la competenza filologica con cui rendono omaggio a uno dei generi che più hanno fatto grande il cinema americano.

Basta ascoltare il fascino della voce off del narratore, i personaggi che fumano continuamente sigarette senza filtro (ovvio che i due registi negli USA inanellino flop al botteghino), i tagli di luce della miracolosa fotografia in bianco e nero di Roger Deakins, per fare un salto indietro agli anni cinquanta e ripensare a tutte le donne fatali che sullo schermo hanno rovinato pavidi borghesi, a quell’impressione di ineluttabilità che ammantava i destini senza scampo di piccoli eroi senza speranza, alla forza rovinosa della fatalità che smorzava pian piano le speranze dello spettatore sulla possibilità di redenzione del personaggio nel quale si era identificato.

Grande cinema e grandissime interpretazioni da parte di tutto il cast, con una menzione particolare per il protagonista, troppo spesso ricordato solo per la sua sanguinaria storia d’amore con Angelina Jolie: Thornton recita in modo scarnificato, sfruttando al minimo le espressioni facciali, ma nel suo sguardo si legge un dolore e una frustrazione che mettono la pelle d’oca e il miglior complimento che gli si possa fare è che regge il confronto con l’eccelso Edward G. Robinson. Molto buono, per una volta, il doppiaggio italiano, che si preoccupa di riprodurre fedelmente anche il timbro di voce insolitamente basso della giovanissima Scarlett Johansson.

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