LA NOBILDONNA E IL DUCA

Tratto dalle memorie della nobildonna britannica Grace Elliot, pubblicate col titolo “Journey of my life during the French Revolution”, il film si divide in cinque segmenti: il primo anniversario della Rivoluzione Francese (luglio 1790); l’assalto alle Tuileries e la conseguente caduta di Luigi XVI (agosto 1792); le stragi del settembre 1792; l’esecuzione di Luigi XVI (gennaio 1793); il tradimento del generale Dumouriez e la conseguente messa a morte del duca Filippo d’Orleans, ex amante e poi fraterno amico della nobildonna.

Scandalosamente escluso dall’ultima edizione del Festival di Cannes per una presunta visione antirivoluzionaria e filomonarchica della Storia, l’ultima opera di Rohmer si avvicina al capolavoro. L’ottantunenne regista, oltre a dirigere un film sontuoso, regala quasi una personale teoria della messa in scena, offrendo allo spettatore un felice connubio tra il vecchio e il nuovo, mischiando abilmente una grammatica cinematografica da cinema delle origini (macchina da presa praticamente fissa, piazzata ad altezza di sguardo e in posizione centrata, veloci e frequenti dissolvenze) con le potenzialità finalmente ben sfruttate del digitale, grazie al quale gli attori, quando si muovono in esterni, sono circondati dalle scenografie dipinte da Jean-Baptiste Marot (poi rielaborate al computer) ispirate alla pittura dell’epoca.
La posizione del regista è chiara: non contro la Rivoluzione ma contro gli eccessi del Terrore e contro quelli personali di Robespierre “pericoloso come sono pericolosi tutti gli uomini troppo virtuosi”. Film di certosini dialoghi, che lascia allo spettatore la facoltà di riflettere, La Nobildonna e il Duca rimane nella memoria anche per l’interpretazione dei due protagonisti: soave la prova di Lucy Russell, impagabile quella di Jean-Claude Dreyfus nei panni del Duca d’Orleans, viscido e ripugnante come un batrace.

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