CUORI IN ATLANTIDE

Un uomo (David Morse), raggiunto dalla notizia della morte prematura di un suo amico, si reca nei luoghi in cui ha trascorso la sua infanzia. Rivivrà nel ricordo quei momenti indimenticabili, il suo difficile rapporto con la madre, il tenero legame con una compagna di giochi e, soprattutto, l’incontro con un uomo anziano dotato di straordinari quanto misteriosi poteri telepatici (Anthony Hopkins).

Tratto da uno dei romanzi del King più elegiaco e lirico (quello alla “Stand by me” o alla “It” ma senza il versante horror), il film esplora con delicatezza e sensibilità quel momento di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza che Conrad aveva oculatamente definito “linea d’ombra”. Il regista Scott Hicks, messi da parte gli entusiasmi eccessivi che avevano accompagnato il suo film d’esordio (il furbissimo “Shine”) e scottato dal flop del suo secondo film (lo sciropposo “La neve cade sui cedri”), gioca sul sicuro, affidandosi alla sceneggiatura di un veterano come William Goldman e potendo contare soprattuttosul carisma di un attore navigato come Anthony Hopkins.

La sua regia, priva di guizzi e vicina agli standard televisivi, non regala al film momenti memorabili ma almeno non tortura lo spettatore con smargiassate visive alla Michael Bay e, in virtù di inquadrature lunghe e non frammentate, lascia il giusto spazio di espressione ad attori veramente convinti e convincenti. Il risultato finale è un film probabilmente innocuo, forse non memorabile, ma di sicuro onesto e realizzato con indubbia professionalità, e che regala anche insegnamenti non banali in questi tempi di regresso, esaltando ad esempio il valore della lettura e il potere affabulatorio del racconto orale.

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