Le Pornographe

Jacques, un regista di porno ritiratosi nel 1984, torna sul set per dirigere un nuovo film. Nel frattempo riesce, seppur faticosamente, a riallacciare i rapporti con il suo unico figlio, scappato di casa dopo aver scoperto che mestiere facesse realmente il padre per vivere. Ma i tempi, anche quelli dell’hardcore, sono cambiati e Jacques, deluso dalle sue esperienze con i nuovi mediocri produttori, abbandona la sua donna e decide di costruirsi una casa in campagna nella quale isolarsi.

Un film che è anzitutto una constatazione di come sia cambiato male tutto il mondo e di come l’Utopia abbia perso ogni valore. Non c’è più spazio per il porno come atto politico e i giovani, al contrario dei loro coetanei del ’68, per fare sentire la loro protesta decidono di tacere, di urlare la loro rabbia impotente attraverso il silenzio. I film devono contenere scene rapide e precise come dei videoclip e le riprese lunghe a macchina fissa vanno bandite. Per i paladini della luce rossa vagamente esistenzialista (alla Gerard Damiano), non si trovano finanziamenti e nei nuovi hard l’uomo deve sopraffare la donna ed eiacularle in faccia. L’opera di Bonello trasmette un’infinita tristezza e un grande senso di rammarico per quello che poteva essere e non è stato né mai sarà. Dietro il volto disfatto di un eccellente Jean-Pierre Léaud si intravedono ancora gli occhi pieni di stupore del piccolo Antoine Doinel, ma Antoine non correrà più verso il mare, forse potrà soltanto sognarlo ancora una volta a patto che si tenga alla larga dal mondo e che rimanga rinchiuso in una casa sperduta tra i boschi.

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