TOTO’ CHE VISSE DUE VOLTE

di Ciprì e Maresco

Quando si discute di nuovi autori italiani, e se ne tessono le lodi, si citano registi come Ferrario, Calopresti, Mazzacurati, Virzì, Soldini; quasi mai si parla di Ciprì e Maresco. Perché? Sarà forse che sono i più bravi, e quindi non è nemmeno il caso di citarli, o sarà che proprio non piacciono a nessuno? Di certo i loro film ci costringono ad aprire gli occhi su realtà che vanno tenute nascoste, che abbiamo rimosso e che nessuno ha veramente voglia di vedere, ma ciò non mi pare sufficiente a spiegare l’oblio nel quale precipitano le loro opere a poche ore dalla loro uscita nelle sale cinematografiche; nel caso di quest’ultima pellicola poi, non si può neanche dire che sia mancata la pubblicità. Come tutti sanno, “Totò che visse due volte” inizialmente era stato addirittura censurato; praticamente ogni giornale ha dato spazio alla notizia, e molto è stato scritto, ma nella maggior parte dei casi è stato fatto quasi esclusivamente un discorso sulla libertà di espressione. Il punto è questo: anche se in molti ne hanno parlato bene, pochi hanno osato o voluto spiegare perché secondo loro il film era importante e meritava di essere visto. Che cos’è dunque “Totò che visse due volte”?

Prima di ogni altra cosa è un film bellissimo, lucido e intenso, ma anche un urlo di disperazione e angoscia. Angoscia vi è nella descrizione di un mondo degradato sino all’inverosimile, una fogna a cielo aperto popolata solo da topi, cani e esseri umani mostruosi, deformi, ai quali la vita ha davvero negato tutto; disperazione vi è nel rapporto di questi esseri umani con il sesso, che ci viene mostrato di volta in volta come una necessità puntualmente negata, come strumento per soddisfare bisogni materiali, come “malattia”. Disperazione vi è ancora nel desiderio d’amore regolarmente sconfitto da una realtà nella quale trionfa sempre la negazione di ogni forma di rispetto e dignità umana. Detto ciò, è davvero ancora possibile scandalizzarsi vedendo uno di questi uomini che tenta un amplesso con una statua della Madonna? Non bisognerebbe invece chiedersi come tutto questo possa esistere (e questa è solo una delle tante domande che possono venire in mente)?

Il discorso sul film non termina qui, perché ciò che a mio avviso maggiormente distingue i due registi siciliani dagli altri autori italiani è il lavoro di costruzione di ogni singola inquadratura e l’estrema cura dell’aspetto formale, entrambi realizzati con un gusto riscontrabile solo nei maestri dell’epoca del cinema muto (Dreyer, Murnau, ma non solo); il risultato sono immagini di una bellezza e di una forza espressiva che il cinema italiano aveva ormai dimenticato, ma che oggi pare non interessino più non dico il “pubblico”, ma nemmeno i frequentatori dei circuiti cosiddetti d’essai.

“Totò che visse due volte” è stato in programmazione a Torino meno di una settimana; il giorno che l’ho visto io c’erano in sala sì e no trenta persone. Alla fine ho pensato che deve essere proprio così : Ciprì e Maresco non piacciono a nessuno. A me invece non è piaciuto “Aprile”. Che c’entra, potrebbe dire qualcuno; non c’entra, ma c’entra, direbbe qualcun altro…

Boris Maccario

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