UNBREAKABLE

di M. Night Shyamalan

Directed by M. Night Shyamalan
Writing credits (WGA) M. Night Shyamalan (written by)
Genre: Thriller / Sci-Fi / Drama
Cast overview, first billed only:
Bruce Willis …. David Dunn
Samuel L. Jackson …. Elijah Price
Robin Wright …. Audrey Dunn
Spencer Treat Clark …. Joseph Dunn
Charlayne Woodard …. Elijah’s Mother
Eamonn Walker …. Dr. Mathison
Leslie Stefanson …. Kelly
Johnny Hiram Jamison …. Elijah at 13
Michaelia Carroll …. Babysitter
Bostin Christopher …. Comic Book Clerk
Elizabeth Lawrence …. School Nurse
David Duffield (II) …. David Dunn at 20
Laura Regan …. Audrey at 20
Chance Kelly …. Orange Suit Man
Michael Kelly (V) …. ER Doctor

Arrivato al quarto film da regista e al quinto da sceneggiatore, Shyamalan, nato in India nel 1970 ma cresciuto a Philadephia, ha ormai elaborato uno stile ed una poetica personali. La chiave del suo cinema, il punto di partenza intorno a cui ruotano le storie che racconta, è il “sentire”. Un sentire che assume svariate sfaccettature, che parte sempre dal semplice concetto di un “sentire comune” per poi passare attraverso una rielaborazione personale complessa e profonda: l’immaginario collettivo viene continuamente filtrato attraverso l’immaginario privato di un regista – sceneggiatore le cui caratteristiche rispondono per più di un verso a quelle di un autore.

Quella che segue non vuole essere una recensione né un saggio, ma piuttosto un insieme sparso e non finito di appunti e pensieri derivanti dalla visione di Unbreakable, ma che si legano sotto vari aspetti a Il sesto senso e, in generale, alla poetica di Shyamalan.

I bambini sono la chiave di tutto il racconto. Gli eroi dei fumetti nascono e vivono nella mente dei lettori, che sono in primo luogo, appunto, i bambini. E non a caso sono proprio i bambini a definire la natura dei due protagonisti, perché sono loro i primi a chiamare Samuel Jackson l’uomo di vetro (nome quanto mai legato all’immaginario classico dei fumetti Marvel). Ma c’è di più: sono i bambini stessi a costruire la storia del film, intervenendo direttamente per salvare Bruce Willis dall’unico elemento che rappresenta il suo punto debole, l’acqua (anche in questo caso le reminiscenze marveliane e non solo sono più che palesi). Come la tradizione vuole, infatti, il supereroe non può morire nemmeno nelle peggiori situazioni, quando tutto trama contro di lui. E i bambini, dalla cui mente l’eroe prende vita, possono decidere liberamente della sua vita.

Ancora sui bambini: non è un caso se Bruce Willis, resosi ormai conto della propria natura di supereroe ricorre alla complicità del figlio, non tanto appunto per il bisogno di svelare un segreto (e di nuovo torniamo alla tradizione: l’eroe ha sempre, prima o poi, un interlocutore “normale”, una sorta di confidente), quanto piuttosto per cercare un vero e proprio riconoscimento, per avere una conferma di questa sua scoperta da parte della massima autorità in materia. Il bambino, appunto.

Senza spostarmi troppo dall’argomento bambini, c’è un altro punto che mi pare di grande interesse: il tema dell’infanzia. È infatti da qui che nasce tutto. Come il Pinguino di Batman e come tanti altri antagonisti del fumetto classico, il cattivo di Unbreakable è un freak, uno scherzo della natura che ha subito un grave trauma infantile, forse il più grave di tutti: il rifiuto da parte dei coetanei e, per estensione, della società. Ma l’infanzia come origine di tutto compare anche nel caso dell’eroe, che proprio da piccolo ha scoperto nel peggiore dei modi (in conseguenza di uno scherzo crudele quanto banale) il suo unico punto debole, l’acqua, ricavandone un trauma che la memoria ha completamente rimosso ma che tornerà alla luce come ennesima conferma delle teorie di Samuel Jackson.

L’aspetto esteriore, ovvero i costumi e le scenografie. Tutto gioca a favore di un totale “classicismo fumettistico”. Gli esempi sono tantissimi. Ne cito qualcuno. Samuel Jackson è cattivo fin dalla sua prima apparizione da adulto: i capelli neri arruffati, il cappotto di pelle nera ma con l’interno in tessuto viola, che addirittura in alcuni passaggi rivela sfaccettature cangianti color bronzo. Il bastone di vetro, classico feticcio che rappresenta nella sua stessa sostanza l’essenza del suo proprietario (e che non a caso si frantuma preannunciando la futura ed inevitabile catastrofe). La macchina, che nonostante sia giustificatamente foderata per proteggere il fragile guidatore, ha in realtà il tipico arredamento nero e borchiato da auto del cattivo (persino il modello e il disegno richiamano celebri auto da antagonisti). E ancora, per passare a Bruce Willis, la mantella con la scritta security (un richiamo a The punisher?) che con il passare del tempo si trasforma sempre più in un simbolo, in un classicissimo mantello da supereroe con un cappuccio che non ha nulla di credibile ma che serve chiaramente alla costruzione di una “maschera”, poi confermata dall’identikit che verso il finale appare in prima pagina sul giornale.

Una questione aperta, infine, suggerita in primo luogo proprio dai costumi così caratterizzanti e confermata da una battuta che sentiamo all’inizio, quando la madre regala al piccolo Samuel Jackson un fumetto promettendogli con aria ammiccante (troppo ammiccante per essere casuale) un finale a sorpresa. Che Unbreakable sia un personale omaggio al mondo dei fumetti mi pare addirittura scontato, ma credo ci sia qualcosa di più. E se l’intero film fosse una sorta di parodia del Sesto senso? Una specie di presa in giro delle aspettative del pubblico e della critica? Non sono affatto sicuro che la risposta sia per forza affermativa, ma mi piace pensare che sia così perché in tal caso si tratterebbe di una parodia davvero “per cultori”, una parodia che si configura come tale soltanto per chi, come Shyamalan, è cresciuto leggendo i fumetti Marvel. Sì, perché soltanto chi ha passato ore e ore rivivendo le avventure dei supereroi ha sentito subito qualcosa di strano nel vedere Samuel Jackson, i suoi vestiti, le sue movenze. Per chi ha esperienza con i fumetti, non c’è nessun finale a sorpresa, perché fin dall’inizio i ruoli appaiono chiari. Il buono e il cattivo sono quasi immediatamente identificabili, anche se, ovviamente, rimane un leggero dubbio. A sentire i commenti di chi coi fumetti non ha molta familiarità, il finale è più scontato rispetto a quello del Sesto senso. Ma la verità è che il finale non aveva nessuna intenzione di essere a sorpresa, e per questo Unbreakable mi pare un ottimo film e, ancora una volta, la conferma di una poetica personale ormai affermata e tra le più interessanti nel panorama dei cosiddetti “giovani autori”.

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