Potere Assoluto

di Clint Eastwood

Guardiamo con ammirazione i capolavori del neorealismo. Apprezziamo con un po’ di invidia i noir francesi. Cerchiamo ispirazione nelle commedie americane degli anni cinquanta.

Con Clint Eastwood, però, è diverso. Con lui abbiamo un rapporto diretto e intenso, che è nato nella nostra infanzia e che va al di là della mera cultura cinematografica. I nostri genitori hanno passato anni della loro vita guardando i film di Sergio Leone e sognando il west, un mondo mitico che li ha accompagnati addirittura quotidianamente. E mentre loro, ormai arrivati ad una certa età, riguardavano per la centesima volta Il buono, il brutto e il cattivo, noi, più o meno bambini, abbiamo quasi miracolosamente scoperto quell’universo di cui nono sapevamo nulla.

Lee Van Cliff e Gian Maria Volontè dominavano la scena tenendo a bada eserciti di messicani armati fino ai denti, fumando enormi sigari e maneggiando pistole e fucili come fossero giocattoli. Noi li guardavamo ammirati.

Poi arrivava lui.

“Al mio mulo non piace la gente che ride, potrebbe pensare che ce l’abbiano con lui”. Bum! Bum! Bum!

Tre colpi secchi. Tre bare in più.

Poche parole. Quasi nessuna. Silenzi che duravano dei quarti d’ora, ma che avevano un’eloquenza di gran lunga superiore a quella degli sbruffoni che, irrimediabilmente, erano destinati ad assaggiare il piombo del suo revolver.

E noi, incollati al divano del salotto, iniziavamo a sognare.

Poi l’epoca di Sergio Leone è finita. I nostri genitori hanno rimpianto il padre del western all’italiana molto più di quanto possa sembrare, e anche noi non potevamo certo fare a meno di rattristarci, dal momento che non avremmo più visto in azione quel cavaliere solitario di poche parole ma dalla pistola veloce.

Ci sbagliavamo tutti.

Il texano dagli occhi di ghiaccio fece tornare i nostri vecchi a sognare e rimise noi in quel mondo che avevamo potuto apprezzare per troppo poco tempo.

Il duro più duro di tutti riprese con forza il trono che sembrava aver perso.

Poi ci fu Callaghan. Diverso, certo, ma non così tanto come poteva apparire ad un primo approccio.

Continuammo a sognare.

Alla fine, anche il duro più duro di tutti ha iniziato ad invecchiare, ma non ha smesso di farci sognare. Ha continuato a fare il regista e l’attore e ci ha mostrato senza vergogna la sua vecchiaia. Lo ha fatto con onore, come sempre. Lo ha fatto con Cacciatore bianco, cuore nero, lo ha fatto con qualche thriller, lo ha fatto persino con I ponti di Madison County.

Ora ha fatto Potere assoluto. Un altro thriller. Sicuramente ben costruito e migliore di tanti altri, soprattutto degli ultimi che abbiamo visto.

Ma non chiedeteci di recensire, di criticare, di analizzare.

Non possiamo farlo.

Clint Eastwood è e sarà sempre Clint Eastwood. Anche se non ha più l’agilità di un tempo, anche se ora fa il padre tenero e il sessantenne innamorato, anche se non si può non notare una serie interminabile di rughe sul suo volto, c’è qualcosa che per noi non è cambiato. Qualcosa che non tradisce.

Quegli occhi.

Quegli occhi freddissimi, occhi di ghiaccio, occhi che fissavano la macchina da presa fino a far scricchiolare lo schermo.

Poi, di colpo…Bum! Bum! Bum!

Tre cattivi in terra. Tre bare in più.

Giustizia è fatta.

Non chiedeteci di recensire, di criticare, di analizzare.

Non possiamo farlo.

Abbiamo sempre in mente quegli occhi, qualunque suo film guardiamo.

Saranno i posteri, quelli che non avranno vissuto così tanto western nella loro infanzia, a giudicare.

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