PANE E TULIPANI

di Roberto Perruccio
Silvio Soldini ci ha sempre abituato a bei film e, soprattutto, a belle storie.
Come pochi, infatti, riesce a dare umanità e spessore ai suoi personaggi e alle vicende che li vedono protagonisti.
Basti ricordare la bellissima e toccante storia d’amore tra un’ispiratissimo Fabrizio Bentivoglio e la giovane ragazza Rom di “Un’anima Divisa in due”, oppure la forza e il carattere delle due indimenticabili protagoniste di “Le Acrobate”, interpretato da Licia Maglietta e Valeria Golino.
Merito anche di Doriana Leondeff, sceneggiatrice con evidenti qualità narrative delle quali Soldini difficilmente si priva.
E proprio il trio Soldini-Leondeff-Maglietta, dà vita a “Pane e Tulipani”, una storia semplice, gestita e sviluppata con la leggerezza e l’innocenza con cui si può raccontare un sogno o un desiderio, con un tocco di surreale incoscienza che caratterizza un po’ tutti i personaggi del film.
A partire dala casalinga Rosalba (L. Maglietta) che, dimenticata dalla famiglia in un Autogrill, decide di andare a Venezia in auto-stop, per godersi quel momento di libertà inatteso quanto gradito.
Ma quella che doveva essere la scappatella di una giornata, diventa un piacevole soggiorno terapeutico alla scoperta di se stessa, grazie anche a due piacevoli incontri, la massaggiatrice new-age, sfortunata in amore, Marina Massironi (spalla femminile del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo), e l’Ottocentesco cameriere, ex cantante nelle navi da crociera, interpretato da Bruno Ganz con ironia e profondita’.
Il personaggio di Ganz rappresenta il colto esoticismo, il romanticismo inatteso, che ci sorprende con citazioni dall’Orlando Furioso e colazioni principesche ogni mattina, condite sempre da bigliettini scritti con un lessico nobile e romanzesco (degno dell’Ariosto) che fa sorridere l’incredula casalinga evidentemente non abituata a questo tipo di attenzioni.
E mentre Rosalba trova lavoro in un negozio di fiori , il marito, incapace di gestire la vita domestica e di convincere l’amante a farsi stirare le camice, ingaggia un idraulico appassionato di libri gialli per ritrovare la moglie e riportarla a casa.
L’idraulico-investigatore, un po’ Colombo un po’ commissario Basettoni, è interpretato da un esilarante Giuseppe Battiston, indimenticabile nella scena del saluto straziante alla madre prima di partire per Venezia (con una musica di sottofondo degna del Padrino), oppure quando arriva al suo alloggio veneziano, un’improponibile peschereccio denominato “Zibello” e gestito da uno slavo dalle dubbie tradizioni alberghiere.
Il film, come era prevedibile, ha un lieto fine, con l’amore che sboccia tra Rosalba e Fernando(B. Ganz), e anche tra la Massironi e Battiston, sublimato da una danza quasi liberatoria in una scenografia magica, quale può essere Venezia illuminata in una notte primaverile.
Ma attenzione, non sottovalutate lo spirito innovativo di questa commedia che, con merito, cerca di allontanarsi dai soliti steriotipi della casalinga frustrata e del lieto fine per forza.
Licia Maglietta, infatti, porta sullo schermo una mamma atipica, decisamente imbranata e priva di sensi di colpa per aver abbandonato la famiglia, lei non premedita la sua fuga, ma si lascia trasportare dal vento favorevole come una barca a vela che viaggia a tutta velocità, con l’infantile superficialità di chi stà rinascendo, con la semplicità di sentirsi viva suonando una fisarmonica o ballando in una balera di dubbio gusto estetico, con un ispiratissimo Don Bachi (dal vivo) come sottofondo.
Anche il personaggio di Bruno Ganz è ricco di sfaccettature: un passato in galera, evidenti tendenze suicide, un nipote e una nuora da mantenere per colpa di un figlio irresponsabile (chiamato Alan in onore di Alan Sorrenti).
Insomma, “Pane e Tulipani” mi ha divertito, e non mi ha dato quella sensazione di “già visto” o “già fatto” che troppe commedie all’italiana tendono a lasciarmi, è scritto con passione e bravura (magistrali i testi di Ganz), interpretato egregiamente (non a caso gli interpreti principali hanno vinto il David di Donatello) e la regia di Soldini è fresca ed efficace, soprattutto in esterna, con una Venezia sempre albeggiante o crepuscolare, mai turistica.
Questo film si merita il successo di critica e pubblico che stà ricevendo, quasi sette miliardi di incassi in due mesi di proiezioni, nove David, tra i quali (meritatissimi) per la sceneggiatura e per la regia e un’ottima accoglienza all’estero, soprattutto a Cannes dove è stato presentato fuori concorso alla Quinzaine.
Soldini è l’esempio vivente che la creatività e la qualità pagano, e spero vivamente che possa aprire la strada a tanti altri registi italiani e ai loro bei film che, purtroppo, non raggiungono lo stesso successo.
Due su tutti: “Preferisco il Rumore del Mare” di Calopresti, e “Fuori dal Mondo” di Giuseppe Piccioni…In bocca al lupo.

E-mail: roper004@supereva.it

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