Incontri a Parigi

(Le rendez-vous de Paris)
di Eric Romher, 1995

Tre episodi apparentemente legati solo dal tema dell’infatuazione amorosa, del colpo di fulmine dell’età giovane, costruiscono invece (come ci si può aspettare da un maestro come Rohmer) una riflessione deliziosa e unitaria.

Ogni episodio sembra rappresentare un caso diverso, ma non è altro che uno dei punti di vista possibili sul tema trattato dal regista (‘l’atteggiamento’ che teorizzava Ejsenstejn, il giudizio sugli accadimenti).

Tutto si genera da una sceneggiatura semplicemente straordinaria, che lievemente insinua nello spettatore il dubbio che i personaggi possano mentire. Ma la leggerezza del tocco sta nel non confermare mai questa supposizione, lasciando che lo spettatore si immedesimi in ognuno dei personaggi e sperimenti una sensazione ambigua, di sincerità e sotterfugio allo stesso tempo.

Il caso, le coincidenze, le supposizioni, non si annidano solo nelle parole (come si dice sempre di Romher) ma anche negli oggetti, nei vestiti, nei gesti, negli sguardi, nell’ovunque di immagini semplici perchè costruite da una mano molto abile!

Film come questo meritano molte parole, proprio perchè generano un’esperienza spiccatamente soggettiva nello spettatore.

E non ce ne sono molti!

In un’epoca di tanto cinema americano ad alto costo, basato su virtuosismi tecnici, immagini mirabolanti etc. etc. , ma anche di quel poco di cinema italiano che non conosce mestiere e va in cerca di qualcosa di intellettuale, questo film riporta credo ad un punto di partenza; quel punto da cui dovrebbe partire chiunque voglia capire il rapporto complesso (e purtoppo molto confuso) tra vocazione narrativa e drammaturgica del cinema.

L’estetica cinematografica richiede una conoscenza dei mezzi espressivi e delle possibilità tecniche che oggi è ignota alla maggior parte dei registi, e con questa chiave vi invito riflettere sul nostro cinema di oggi.

Max Betti

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