HARRY A PEZZI

Un Woody Allen al vetriolo torna sui toni GROTTESCHI dopo la parantesi più mite del musical
“Tutti dicono I love you”.

L’intera vicenda si snoda lungo il filo sottile che congiunge ARTE e VITA.

Harry è uno scrittore che nel suo ultimo libro ha attinto largamente dalle sue vicissitudini personali, minando alla base le propri certezze, quelle delle sue ex mogli, delle sue amanti e
dei suoi migliori amici.

Uno degli alter ego di Harry, nel libro, con la sua perversione, manifesta e disinibita, pone in luce l’ipocrisia del rapporto tra due sorelle, sua moglie e sua cognata, che dietro l’apparente
ed ostentato affetto, provano un sordo rancore l’una per l’altra. La PSICOANALISI e le sue contraddizioni ricevono una violenta sferzata: nel libro la moglie psicoanalista di un altro degli alter ego di Harry non può evitare che suo marito la tradisca con una delle sue pazienti (e qui ricorderei Italo Svevo che reputava la psicoanalisi più interessante come strumento artistico-letterario che come strumento scientifico esatto).

Allen non manca di evidenziare le contraddizioni della cultura ebraica (quella a lui più vicina), ma il suo reale bersaglio sono tutte le forme di culto istituzionalizzato che costringono i propri
adepti a manifestazioni esteriori del culto il cui significato profondo è incomprensibile.

Il film è COMPATTO, non presenta cadute di tono, la colonna sonora è di alto livello e la frammentarietà delle immagini mira plausibilmente a riprodurre la frammentarietà dell’esistenza dell’uomo moderno.

La PRUDERIE americana che permette che il SEXGATE clintoniano abbia per i media la stessa importanza di un conflitto nucleare viene irrisa spietatamente e profeticamente. Lo scandaloso tema della FELLATIO è difatti riproposto incessantemente per tutto il film.
Una delle scene CLOU è il viaggio che Harry compie per andare a ricevere un tardivo riconoscimento dell’Università che lo aveva defenestrato ai tempi dei suoi studi. Allen rovescia qui lo stereotipo della famigliola yankee. Harry si presenta alla propria premiazione con una prostituta di colore, un suo amico (che diverrà cadavere durante il viaggio) e suo figlio che, sottratto alla custodia della madre scatenerà l’irruzione dei poliziotti all’Università durante la cerimonia.

Splendida inoltre la visione alleniana dell’INFERNO; in un mondo in cui la mercificazione dei rapporti è pressochè totalizzante e tutto ciò che tende ad essere sublimemente tragico è impraticabile, anche gli inferi sono strutturati in scomparti come un supermercato.

L’uomo ha smarrito interamente il senso del trascendente e non può che pensare ‘flaianamente’, che l’inferno sia un posto “pieno di donne nude e che coi diavoli ci si possa
mettere d’accordo”.

Giuseppe Sansonna

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