L’erba di Grace

Di Nigel Cole
Con Brenda Blethyn, Craig Ferguson, Martin Clunes, Tcheky Karyo
Canada, 1988

Tra tante dabbenaggini natalizie, spunta una deliziosa fiaba anarchica ambientata in Cornovaglia, con le carte in regola per inserirsi tra i classici d’animazione per pargoli in libertà vigilata e le ipercaloriche produzioni americane, facendoci superare la tristezza delle sale ingabbiate dall’imperativo festaiolo.
Ci sono le attempate damine britanniche e gli sbirri di paese col sale in zucca, a caccia di pescatori di frodo ma pronti a chiudere un occhio sulle vedove in ambasce che coltivano cannabis, c’è il retrivo scozzese allergico al conformismo e la sua gorillesca e tenera fidanzata, pescatore di crostacei lei giardiniere improvvisato lui, c’è il prete più esperto di acquaviti che di canoniche, lo spacciatore redento dall’innocenza di una donna matura e determinata, il medico di campagna in Jaguar che passa da una sbronza all’altra con l’allegra disinvoltura dei suoi pazienti proletari e anacronistici.
Le ingenuità si sprecano, ci sono momenti debitori più delle liriche di Lennon che della poesia on the road, la sceneggiatura incespica e nessun gesto registico abbaglia per originalità, ma è un lavoro di gradevole e sapiente artigianato, arricchito dall’equilibrio degli interpreti e dalla leggerezza del copione, si presenta al Sundance e si fa premiare, meritatamente, per sincerità immaginativa, per ironia, per il valore intrinseco di un garbato rifiuto opposto alle ragioni e ai modi della globalizzazione e dell’economia dei grandi capitali.
L’erba di Grace va, giustamente, in fumo, e la bella allegoria che da esso si sprigiona aleggia nel sorriso di chi esce dalla sala, appagato da un cinema piccolo e indimenticabile.

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